Capitolo 2

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"Terzo anno di liceo... Già il terzo anno.
Come ho fatto ad invecchiare cosí in fretta?
Mi ero preparata mentalmente per ricominciare l'anno con il piede giusto questa volta. Ma non avevo esattamente lo stato d'animo adatto.
Ma chi sono? Non mi riconosco piú...
Una volta amavo la scuola, studiare, incontrare i compagni di classe... Cosa è successo? Perchè non riesco ad integrarmi? Sono passati tre anni..."

Seduta sul letto in uno stato di trans da quasi un'ora, facendomi continuamente sempre le stesse domande, decido di alzarmi e prepararmi per questo primo giorno di scuola. Non che fossi chissà quanto entusiasta, certo avrei rivisto la mia migliore amica, ma non era un motivo sufficiente a farmi nascere un piccolo sorriso sulle labbra.
Scendo a fare colazione e la mia ciurma è già in piedi: mio fratello gironzola scalzo per casa felice ed esaltato per il suo primo giorno di scuola (ovvio, in seconda media anche io ero felice di andarci); mio padre e mia madre sorseggiano tranquilli il loro caffé. L'unica con una faccia da "rivolgetemi la parola e vi incenerisco" ero io... Tanto per cambiare.
"Ci siamo alzate belle contente stamattina a quanto pare." Mia madre e il suo umorismo mattutino, un pugno allo stomaco avrebbe dato molto meno fastidio.
Cerco di fulminarla con lo sguardo ma sono talmente stanca che piú che un'occhiataccia mi viene fuori una sottospecie di smorfia. E credetemi, chiamarla smorfia è un eufemismo.
"Si si, buongiorno. Adesso vado altrimenti perdo l'autobus." Cerco di andare via il prima possibile. Se se ne accorgono anche stavolta sono in guai seri.
"Aspetta, la merenda." Mi urla mio padre prima che potessi aprire la porta.
"Non ho fame, ciao."
Esco prima che possano fare altre domande.

Uno dei motivi per cui odio il primo giorno di scuola?
L'autobus. Che nervi. Le ragazzine del primo sono riuscite a sedersi.. E noi siamo in piedi. Ma che storia è? Non vi hanno mai detto che si da sempre precedenza agli anziani?

L'odore inconfondibile di una scuola ti indica chiaramente che non hai scampo, che un altro anno è iniziato e che se non ti fai il culo dal primo giorno fino all'ultimo rischi seriamente di essere bocciato.
Nel momento esatto in cui ho messo piede in quella scuola ho cominciato a sentire le gambe piú pesanti, un groppo alla gola e un enorme peso sul cuore.
Entro in classe, non c'è ancora nessuno...
Scelgo un banco a caso, né troppo vicino né troppo lontano dalla cattedra dei professori. Vicino alla finestra. Mi siedo e aspetto il suono della campanella.
Mi guardo intorno, la nuova aula è davvero enorme, le pareti sono tinteggiate di un color cobalto un pò rovinato, le porte erano nuove e gli infissi delle finestre ero di un bellissimo blu elettrico. Come ambiente non faceva tanto schifo... Certo, da vuoto fa davvero una bella figura e sicuramente quando arriveranno gli altri cambieró idea.
Uno squillo, forte e lungo , mi distrae dalle mie considerazioni. La campanella.
Ad uno ad uno vedo entrare in aula tutti i miei cosiddetti "compagni di avventure liceali". E tutti vengono ad abbracciarmi e salutarmi come se davvero gli fossi mancata e fossero felici di vedermi.
La gente cosí non la sopporto. Che senso ha far finta di tenere a qualcuno quando per tutta un'estate (o per meglio dire, per tutti gli anni passati nella stessa classe) non lo hai degnato di un messaggio per sapere come stava? Non hai risposto ad una delle sue chiamate? Non ha per niente senso.
Saluto tutti da persona educata ma resto molto distaccata.
Sono una persona abbastanza coerente. Quello che dico è esattamente uguale a quello che faccio.
Ho un carattere a tratti bello, a tratti brutto e insopportabile. Non amo che gli altri mi dicano cosa fare, mi batto contro tutto e tutti per difendere le persone che amo o le cose in cui credo. Ho perso tante persone per difendere le mie idee e il mio pensiero, per essermi mostrata esattamente come ero. Ci sono stata male, ma a ripensarci ora... Non credo di aver perso nulla.
La mia migliore amica fu l'ultima a venire da me. Ci siamo viste pochissimo questa estate, ma ci sentivamo tutti i giorni.
È l'unica persona in questa scuola con cui ho legato davvero sin dal primo giorno, l'unica che non mi giudica e che mi capisce. La mia Nina.
L'ho abbracciata forte. Dio se mi era mancato un suo abbraccio.
"Mi sei mancata Niky"
"Anche tu Nina"
Ci siamo guardate negli occhi e siamo scoppiate a ridere. Una strana sensazione... Erano mesi che non ridevo. All'improvviso quel peso che sentivo, è diventato piú leggero. Piú sopportabile.
Lei posò il suo zaino sul "nostro" banco. E in quel momento mi sentii pronta ad affrontare l'anno. E sapevo che con lei vicina, avrei potuto farcela.
Stavo relativamente bene, fin quando non mi prese le mani e mi guardò negli occhi.
"Che succede Niky? Cosa sono quegli occhi."
Cercai di scuotere la testa per farle capire che non c'era nulla che non andava, ma sapevo che non ci avrebbe creduto e che non si sarebbe arresa. Avrebbe scoperto cosa stava succedendo. Mi tenne per mano per quasi tutta la durata delle lezioni.

Una mattinata decisamente stressante. Inutile dire che mi sono sentita benissimo nel momento esatto in cui sono uscita fuori da scuola.
Metto subito le cuffie alle orecchie e vado verso la fermata dell'autobus. Ci vuole ancora un pò prima che arrivi. Ma preferisco stare lí, piuttosto che davanti scuola...

Tornata a casa i miei mi hanno tartassata di domande. E le mie risposte erano quasi sempre tipo queste. "Abbastanza bene", "Nulla", "I professori nuovi sono simpatici" e bla bla bla.
Dopo aver mangiato mi rifugiai nell'unico posto in cui mi sentivo me stessa, in cui potevo essere chi volevo senza che nessuno mi giudicasse. La mia stanza.
Mi misi alla tastiera e cominciai a suonare la prima melodia che mi venne in mente in quel momento.
Mi sentivo libera mentre suonavo, e tutto il dolore che sentivo si mescolava con le note prodotte dalle mie mani. Era come se per un secondo, vedessi dall'esterno me stessa e tutti i miei problemi e questo mi aiutava a rendermi conto di molte cose.
Suonai per forse un paio d'ore.
Poi mi misi a letto, con le mie immancabili cuffie e il mio solito cellulare. Cominciai a scrivere alle mie amiche... Quelle virtuali, le uniche per cui sono una persona per cui vale la pena combattere.
Poi mi addormentai nella solita valle di lacrime.

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