Capitolo 6

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Il viaggio era stato abbastanza lungo, ma direi che ne era valsa la pena, perché la bellezza di quella città non aveva limiti. E lo so, magari al di fuori si potrebbe dire il contrario. Ma il mio sogno fin da quando ero bambina era di venire a vivere qui. E per me questa città rappresenta davvero la perfezione.
Niente in quel momento avrebbe potuto rendermi piú felice.
Erano anni che non mi sentivo cosí.
Scendemmo dal treno, i bagagli pesavano, cosí io e Erika decidemmo di aspettare mio padre ,che nel frattempo era andato ad affittare una macchina, all'interno della stazione.
C'era una folla incredibile. Non avevo mai visto tanta gente in una stazione in vita mia.
"Eri, ma qui c'é sempre tutta questa gente?!"
Lei rise. "Te l'avevo detto che non é una cittá normale. Benvenuta a Milano tesoro."
Sorrisi. Infondo che mi importava, ero nella città dei miei sogni, con una persona che per me é stata sempre una sorella prima che una cugina, con la possibilità di rifarmi una vita. Tutto il resto non contava.
"Devi accompagnarmi a fare l'abbonamento allo stadio. "
Lei sbuffò e io scoppiai a ridere.
"A te e sto Milan del cavolo. Ma che ci trovi? Perdono sempre."
"La fede è la fede. E lo sai che il giorno che sono nata mio padre voleva appendere la coccarda rossonera sulla porta. Non l'ha fatto solo perché sapeva che mia madre l'avrebbe ucciso. "
Lei sorrise. "Va bene.. E San Siro sia! Ma sia chiaro. Ci verrò solo il giorno in cui si giocherà Milan-Juventus."
L'unico difetto di mia cugina, la sua smodata fede bianconera. Il che potrebbe essere anche logico, se lei capisse qualcosa di calcio. Ma non é cosí. É completamente negata! E me lo dice sempre, dimenticandosi che ho giocato a calcio per anni e che se qualcuno non ne capisce un mazza me ne accorgo...
So solo che l'unica cosa che capisce lei é Claudio Marchisio. Punto. Parla male di lui e come minimo passerai le tre settimane successive in coma per un trauma cranico.
"Va bene... Tanto quest'anno perdete. "
"Certo, convinta."
Ci guardiamo e scoppiamo a ridere, come quando da bambine giocavamo insieme. É bellissimo essere qui con lei. Anche se avrei voluto ci fosse anche Nina con noi... Ero lontana da sette ore e già mi mancava un casino.
Mentre parlavamo del piú e del meno sentimmo molta gente cominciare ad applaudire, urlare dei nomi. Fotografi con macchine fotografiche e telecamere enormi ci sfrecciavano davanti come auto da corsa per immortalare qualcosa o qualcuno.
Guardai Erika con sguardo interrogativo ma lei fece spallucce.
Cosí decisi di alzarmi dalla panca su cui eravamo sedute e vedere cosa stava succedendo.
C'era una calca di gente tutta concentrata in un punto preciso della stazione. Potevo vedere chiaramente i flash e sentire le persone urlare. Mi stava dando ai nervi.
'Ma chi può essere di cosí importante da farli urlare cosí?'
Poi mi ricordai che non ero a casa.
'Giusto, sono a Milano. Magari hanno beccato la Rodriguez. O forse che ne so Luca Argentero. Spero solo che urlare a squarciagola cosí serva a qualcosa.'
Poi sentii un uomo, forse sulla trentina, che dal retro della folla urlò: "Stefano! Stefano sei un grande!"
Mia cugina mi venne incontro  con aria divertita. La folla si stava avvicinando sempre piú al punto in cui ci trovavamo noi, sicuramente per seguire il tipo famoso.
Risi divertita e mi rivolsi a mia cugina.
"Andiamo prima che ci calpestino."
Lei sorrise di rimando. "Si, tuo padre ci sta aspettando."
Ci avviammo verso l'uscita della stazione, ma mentre camminavo, non so per quale motivo, mi girai a fissare il punto in cui si trovava la folla. Era come se qualcosa mi tirasse. Come un filo invisibile che non riuscivo a spezzare e che mi costringeva in quel punto. Mi fermai all'improvviso, avrei dovuto avere una faccia strana, visto che mia cugina cambió subito espressione. Mi chiese cosa avessi. Le dissi che avevo solo avuto un piccolo giramento di testa e che per questo mi ero dovuta fermare. Fece finta di crederci e prima di riprendere a camminare mi girai per l'ultima volta e ebbi davvero la sensazione che una parte di me fosse rimasta lí.

"Benvenuta a casa nostra!!!"
Giuro quella casa era stupenda! Piccolina, ma parfetta. Era divisa su due piani. Con due bagni, due stanze da letto, una al piano di sopra e una al piano di sotto, un salottino, una cucina e anche un piccolo sgabuzzino. Erika mi accompagno nella mia stanza. Era bellissima e avevo un bagno tutto per me. Le pareti erano tinteggiate di un color lilla e l'armadio era enorme. Tutto ciò che potevo desiderare. Ma la cosa piú bella la trovai sul mio nuovo letto. C'era un pacco. Un enorme pacco.
"Avanti, aprilo!"
Mi avvicinai al pacco, ero emozionata davvero. All'interno c'era il pallone ufficiale della Serie A e un paio di scarpette ... Le mie amate scarpette da calcio. Erano mesi che non le mettevo.
"Che cosa vuol dire?"
Mio padre si avvicinò a me. "Hai detto che é la tua occasione per ricominciare da capo. E tutti qui sappiamo quanto tu ami giocare a calcio. Quindi se vuoi ricominciare, ricomincia dal rincorrere i tuoi sogni. Torna a giocare."
In quel momento mi tornarono in mente tutti i bei momenti passati con le mie ex compagne di squadra, in lega Pro. Le gioie, i dolori, i sacrifici tra scuola, compiti e allenamenti. Le vittorie e le sconfitte. I gol...
Mi mancava, mi mancava tutto.
"Non so se ce la faccio. Ma prometto che ci penserò."
Abbracciai entrambi fortissimo ringraziandoli e chiesi un pò di privacy per sistemare le mie cose e andare a fare la doccia. Ero stanca morta, e ne avevo davvero bisogno.

Sotto la doccia non feci altro che pensare alla sensazione che provai alla stazione. Continuavo a chiedermi chi potesse essere la persona che aveva attirato tutta quella gente. La curiosità mi stava divorando.
Decisi che forse era meglio non saperlo e dopo essermi rivestita e aver dato la buonanotte mi misi a letto.

"Scusami, avrei dovuto crederti. Credere con te a questo sogno. Ora però sei qui, corri da me!"

Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, che sogno strano.
Nessun volto, nessuna immagine, solo quelle parole...
Chi er...
Quelle parole, la strana sensazione alla stazione, come una calamita che mi attirasse in quel punto, il signore che urlava 'Stefano!'
Non potevo crederci...

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