6.

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Qualcuno bussava incessantemente alla porta.
Catrinne si risvegliò di colpo dal suo sonno lungo e profondo e per qualche istante le sembrò di essere nella sua stanza, a Londra.
Le sembrò che sua madre fosse ancora sua madre e suo padre ancora un padre assente.
La triste realtà invece era un'altra, e ora lo sapeva.
-Miss Wendy!
Era Mastro.
Si precipitò ad aprirgli la porta.
-Miss Wendy, il sole è calato.
La informó porgendole un asciugamano bianco e una saponetta intarsiata rossa.
-Grazie.
-Mi segua.
In poco tempo furono fuori dalla nave. Era buio e si udivano urli e canti rozzi lontani.
-Gli uomini sono a cena.
Spiegò prima ancora che la ragazza potesse chiederlo.
Scesero sulla spiaggia e il marinaio le indico degli scogli non molto lontani.
-Vada la dietro Miss, le ho appoggiato sullo scoglio più alto un nuovo abito che potrà indossare quando avrà finito.
-La ringrazio Mastro.
Era riconoscente a quel ragazzo sempre così cortese e disponibile.

Si nascose tra gli scogli alti che trattenevano il mare formando una pozza d'acqua salata e pura.
Era tiepida, quasi calda.
Si liberò della camicia da notte e ci si immerse dentro con grande sollievo.
Era da troppo che non faceva un bagno.
Era andata solo una volta al mare nella sua vita ed era troppo piccola per ricordarlo, ma ora che era lì, immersa in quell'acqua nera guardando l'orizzonte lontano, non capiva come aveva potuto vivere senza.
Era bellissimo. La luna si specchiava nell'immensa distesa di acqua piatta illuminandola e, le stelle, dominavano il cielo.
Le guardò a lungo, una ad una.
Guardava sempre le stelle, giocava a unirle formando disegni o immaginando messaggi che esse nascondevano. Era affascinata dal loro essere così lontane, irraggiungibili, inimmaginabili.
Desiderava così tanto scoprire quali misteri nascondessero quelle galassie lontane.
Voleva staccarsi dal suolo, andare a scoprire l'universo, ma la forza di gravità la teneva incollata al suolo, prigioniera per sempre di un pianeta a cui non apparteneva.

La ferita della sera prima coperta dalla benda bianca le bruciava immensamente.

Sfregò dolcemente la saponetta sul corpo per poi passare ai capelli.
Profumava di rosa.
Si asciugò con l'asciugamano e indossó il lungo vestito bianco che Mastro le aveva lasciato sullo scoglio.
Il sale le graffiava la pelle, le prudeva ovunque, aveva bisogno dell'acqua dolce.

Era sola, avrebbe potuta scappare.
La spiaggia era deserta e la foresta oscura e silenziosa.
Non sarebbe stato molto prudente avventurarsi tra gli alberi alti con quel buio.

-Ha finito Miss?
Mastro le venne incontro risvegliandola dai suoi piani.
-Si.

-Il capitano vorrebbe cenare con voi.
Annunció quando furono ormai a bordo.
-Non se ne parla.
L'ansia iniziò ad impossessarsi di lei.
-Temo che non sia una richiesta.
-Catrinne!
La voce di Silas la chiamó alle sue spalle.
Rabbrividì quando lui le porse la mano.
-Andiamo a cena.

Il tavolo accanto alla ringhiera che sporgeva sul mare era ancora più imbandito della sera prima.
-Mangia.
Le ordinò vedendola seduta immobile con lo sguardo assente.
-Cosa ti importa?
-Tu mangia.
-No.
Lui continuò il suo pasto in silenzio mentre lei lo guardava in aria di sfida.
-Domani ci sarà l'alta marea e partiremo.
Annunció il capitano.
-Per dirigerci dove?
-Lontani da questo posto di merda.
Sintetizzó lui sprezzante.
La ragazza ne restò sorpresa.
-È bellissimo qui.
-Perchè non sei mai andata nella giungla!
Guardó i grandi alberi.
-Cosa c'è lì?
La sua curiosità inizió a prendere il sopravvento.
-Niente, solo piante velenose e indigeni idioti.
-Peró ti hanno aiutato ieri sera.
Si sfiorò la fasciatura ricordando con amarezza la sera in cui era stata privata di qualche goccia del suo sangue.
Lui cessó di mangiare per poi riprendere qualche istante dopo.
-Sono bravi a eseguire gli ordini, non si può dire lo stesso di te.
Ghignó
-E tu cosa gli hai dato in cambio?
-La vita, si sono semplicemente schierati dalla parte vincente.
-La parte vincente?
-Quella che ha te, mia cara.
Le puntó un dito contro sfiorandole il naso, lei si contrasse subito e lui sogghignò.
Cosa voleva dire?
-E non potrò averti ancora per molto se morirai di fame, mangia.
-Prima dammi delle risposte. Un piatto di pesce per una risposta.
-Andata.
Lui sembrava divertito e lei iniziò a divorare il pasto.
-Cosa mi hanno fatto ieri sera?
-Hanno mandato un messaggio.
-Che messaggio?
-Che sei viva e che sei mia.
Una scarica elettrica le percorse la schiena.
-Io non appartengo a nessuno.
Ringhió.
-Il tuo essere qua dice altro.
La prese in giro lui, ridendo e versandosi un grosso bicchiere di vino rosso.
Le sottili dita della ragazza gli strapparono il bicchiere di mano portandoselo alla bocca e buttando giù tutto.
Dio quanto ne aveva bisogno.
Lui ne fu parecchio divertito.
-Che signora!
Ridacchiò
-Se devo sopportarti tutta la sera..
Di tutta risposta ottenne risate.
Si versarono ancora entrambi da bere.
-Perché indossiamo vestiti ottocenteschi? In che razza di luogo troglodita siamo?
Cercó di ottenere informazioni sul posto.
-Trovo che questo vestito ti doni molto di più di quelli con cui sei arrivata.
-Di certo è un bel vestito.
Ammise la ragazza dimenticandosi della sua rabbia, l'alcol stava prendendo piede nel suo corpo, ormai era al terzo bicchiere a stomaco quasi vuoto.
-Penso che se lasciasse vedere qualcosa di più sarebbe ancora più bello.
Sussurró sfiorandole la manica.
Lei rabbrividì e abbassó lo sguardo imbarazzata.
Lo sentì ridere.
Le iniziò a girare la testa.
-Mi manca la musica.
Piagnucolò tirando fuori un argomento che non centrava niente.
Guardò il suo volto perfetto ormai sfocato.
L'alcol stava decisamente facendo il suo effetto.
Lo vide alzarsi e dirigersi verso di lei sorridendo.
-Mi permette mia lady?
Le porse la mano.
Si diressero veloci all'interno della nave.
I piedi scalzi di lei sfilavano sulla nave come se fluttuasse, non vedeva dove andava e le veniva da ridere.
Non era la prima volta che si ubriacava e in cuor suo era preoccupata per cosa avrebbe potuto fare ma in quel momento non le importava.
Era felice, spensierata e il fatto di essere mano a mano con un colui che l'aveva rapita non la toccava.
In quel momento vedeva solo un bellissimo ragazzo sfocato, dagli occhi gialli come le stelle ,tenerla per mano.

-Eccoci qua mia lady.
Si trovarono davanti a un grande pianoforte nero.
Si sedettero sullo sgabello lungo davanti ai tasti.
Il ragazzo dagli occhi gialli inizió a suonare "Nuvole Bianche" di Einaudi.
Non c'erano parole per descrivere quanto Caterinne amasse quella melodia.
Era la musica della libertà.
Si alzò lentamente in piedi e iniziò a volteggiare nella stanza, occhi chiusi, piedi leggeri, braccia aperte, mente sopra al cielo.
Lo sguardo del ragazzo le accarezzava la pelle.
Era così libera in quel momento.

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