13. Piccoli dettagli essenziali

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Volevo uscire con quel ragazzo a ogni costo.

Era interessante, bello e stranamente misterioso. Aveva un accento del nord adorabile e delle labbra che avrebbero potuto parlare senza che le muovesse.

Facevo di tutto per non apparire stupida e goffa, cercavo in ogni modo di non sembrare me stessa; poiché speravo disperatamente che così facendo sarei potuta piacere a un ragazzo come lui.

Della stessa razza di Elena, già.

Vedevo i miei amici da lontano che mi facevano segno di andare da loro, che mi incitavano a smettere di parlarci.

Gli ingnoravo palesemente e cercavo di zittirli, perché ero convinta che quel ragazzo ne valesse la pena.

Jacopo arrivò di corsa accompagnato dal fratello: << Dobbiamo andare Lia, muovi il culo, su. >>

<< Non ti offendere; >> disse Christian avvicinandosi alla mia destra e afferrandomi il braccio, << ma ce ne dobbiamo andare. >>

<< Vai dai, che tra un po' ti prendono per braccia e gambe e ti trascinano a forza. >> acconsentì lui abbassando la testa.

<< Bhe, magari ci rivediamo un giorno di questi. >> gli gridai mentre i Ferrini mi spingevano e mi tiravano, uno dalla schiena e uno dalle mani.

Girando la testa lo vidi alzare il bicchiere in segno di approvazione, staccando tre dita dal drink mi salutò, per poi riportarselo alla bocca e berne un sorso.

<< Ma anche no. >> mormorò Jacopo di tutta risposta; con voce seria e bassa, quasi incazzata.

In realtà non ci feci molto caso in quel momento perchè pensavo stesse scherzando, e ad ogni modo, lì e in quell'istante il ragazzo mi aveva completamente offuscato la testa.

La mattina seguente, ancora immersa tra i miei sogni e la mia Afrodite, un rumore acuto, disprezzabilmente penetrante mi riportò alla lucidità.

L'invadente Emanuele non si era fatto problemi a mettersi in piedi sul mio letto, mentre io ancora dormivo, saltando e urlando come una bambina che vede un qualsiasi film di Barbie per la prima volta.

Perché quale cazzo di ragione mia madre aveva lasciato entrare Jacopo, Christian e Emanuele in camera mia?

Appena mi resi conto che era lui iniziai a scalciare da sotto le coperte; riuscii a colpirlo, immagino, perché lo sentì scivolare e sbattere la testa sul mio lampadario.

Jacopo mi si avvicinò alla fronte stampandomici un bacio; poi si spostò sul mio orecchio e sussurrò: << Buon mattino, volpina. Ora alzati, risplendi e smetti di fare la troia. >> sinceramente non saprei dire se fosse serio o scherzoso, ma per evitare ogni malinteso gli diedi una testata, anche se non credo di avergli fatto abbastanza male.

Ero passata da "ragazza dell'alba" a "volpe", chissà se si ricordava ancora il mio vero nome.

Avevo raccontato allo stronzo della "volpe" qualche tempo prima; da allora non faceva che prendermici per il culo.

Ma d'altronde anche Elena aveva cominciato a chiamarmi così perché la furbizia non è il mio forte.

<< Perché siete qui? >> domandò la mia bocca ancora spalmata sul cuscino.

Ti vedrò nei miei sogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora