20.Confessioni

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Ero lì ferma accanto a lei, era irriconoscibile.
Il viso era tumefatto.
Le avevano rotto il naso, che era ricoperto da un vistoso gesso di sostegno.
Le macchine a cui era attaccata riempivano il silenzio della stanza con continui bip.

Perchè?

Non facevo altro che chiedermi.

Perchè una giovane infermiera doveva mischiarsi con quella gentaglia e lavorare in uno strip-club per un mostro del genere?

La porta dietro di me si aprì.
-Non può stare qui!- entró un'infermiera.
Avevo appena smontato dal turno di notte, indossavo il mio jeans scolorito e la mia felpona verde.
Annuii.
-Si lo so!- dissi,non mi andava di inimicarmela perció seguii il suo suggerimento.

-Gina, ho guardato in cartella e ho trovato solo l'emocromo, il responso della T.c non è ancora arrivata?-

Mi voltai.

Era così bello mentre fissava la cartella, una piccola ruga si era formata sulla sua fronte.
Aveva lasciato i capelli ribelli, sciolti.

Osservai le sue mani ferme che impugnavano saldamente il raccoglitore.

Non si era ancora accorto di me.
-Ancora qui?- continuó l'infermiera rivolgendosi a me.
Lui continuava a fissare i suoi fogli.

Non volevo uscire, non più. Avevo bisogno dei suoi occhi.

Non ero ancora riuscita a parlare con lui, mi sentivo una traditrice, dovevo sapere che fosse tutto a posto.
Non era il momento adatto lo so, ma volevo stare lì a guardarlo in silenzio ancora per un po'.

-Gina?- la sollecitò.
In quel momento alzò gli occhi verso di me.
Mi fissò allungo, per un attimi sembrò quasi contento.

-Questa è una terapia intensiva ne è consapevole?- disse.

Non ebbi neanche il coraggio di rispondere.

-Vada fuori di qui!- aggiunse.
Un blocco di ghiaccio sarebbe stato meno freddo.

Nei suoi occhi non vi era alcuna emozione.
Vederlo così mi faceva star male.
Mi precipitai fuori.
Trattenendole lacrime, sperai di non averlo perso.

Dovevo parlare con lui.

Così mi precipitai fuori e lo aspettai sulla panchina. Prima o poi sarebbe uscito.

Ripensai a Claudia, nessuno merita di essere ridotto così.
Nessun uomo avrebbe picchiato la propria donna in quel modo, soprattutto uno che realtà dovrebbe amarti.
L'aveva costretta a spogliarsi, per lui e per gli altri.
Le aveva tolto la sua libertà, la gioia di vivere.

Nessuno dovrebbe avere un tale potere.

Lei povera Claudia, era colpevole solo di una cosa lo amava troppo, l'amore non deve diventare un movente perché in quel caso non è più amore.

Avevo saputo di lei dagli altri tirocinanti, la notizia che una giovane infermiera che conduceva una doppia vita era stata picchiata mortalmente dal suo ragazzo era circolata in fretta.
Non la conoscevo bene eppure lei con i suoi modi distaccati quella sera nel suo locale si era presa cura di me.

Mi raggomitolai sulla panchina.
Iniziava a far freddo.

Mi persi su un filo d'erba che cresceva sull'asfalto ai miei piedi.

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