Eleonora II

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Oh, no! Era lui, lo psicopatico. Che cosa ci faceva qui? Come sempre la sfortuna mi perseguitava.
Indossava la divisa scolastica, che gli stava davvero bene tra l'altro.
Datti un contegno Eleonora, è uno psicopatico, ricordi? Come sempre mi rimproverai mentalmente.
Teneva la giacca dietro le spalle con aria di superiorità e aveva una sigaretta in bocca, be', almeno era spenta. Comunque sia, non si poteva fumare a scuola, c'era scritto anche sul regolamento.
Si avvicinò a me con un ghigno da strafottente togliendosi la sigaretta di bocca.
Oh no! E adesso che cosa voleva da me?
<<Gente!>>, richiamò l'attenzione di tutti i presenti, <<Abbiamo una nuova alunna!>>, annunciò.
In quel momento volevo diventare invisibile, avevo gli occhi di tutti puntati addosso.
Mi si avvicinò per poi sussurrarmi all'orecchio che sarebbe stato il mio peggior incubo, poi si allontanò, lasciandomi lì imbambolata, come sempre.
Ma che!? Cos'era successo? Che cosa gli avevo fatto di male? Sì, era proprio uno psicopatico. Doveva farsi curare, magari mamma gli avrebbe trovato un buon specialista.
Indignata me ne andai per la mia strada, volevo stare il più lontano possibile da quel soggetto.
Dopo aver sbagliato per ben due volte direzione, finalmente trovai la mia classe, la XX. Perché quella scuola aveva le classi contrassegnate dai numeri romani? Chi lo faceva? Erano più strani di me. Come se la figuraccia di prima non mi fosse bastata, l'insegnante di storia, mi presentò alla classe e mi fece firmare il registro. Perché dovevo firmare per segnare la mia presenza? Professori troppo pigri presumo.
Mi accomodai nell'ultimo banco in fondo alla classe, era l'unico disponibile, insieme a un altro, optai per quello vicino alla finestra così avrei potuto guardare fuori e perdermi nelle mie fantasie. I banchi erano bellissimi, erano delle scrivanie a leggio raffinate, con delle decorazioni in oro, erano stupende, ma soprattutto, costose. Anche la sedia non era da meno, era abbinata alla scrivania ed era imbottita. Comodità assoluta. Quando mi misi comoda tutti mi lanciarono occhiatine e sghignazzavano, anche il professore era strano, si agitava nervosamente sulla sedia, ma non diceva nulla. Che avevano tutti?! Non ci feci molto caso, anche perché ero abituata a certe cose, purtroppo.
Poi il professore si rivolse a me: <<Signorina...>>, spostò lo sguardo sul registro per leggere il mio nome, <<Evans, l'è stato affidato il suo tutor?>>, mi domandò.
Tutor? Che tutor? Mamma non mi aveva detto niente, e ora che facevo!?
Calma Eleonora, sii calma e controllata.
Con nonchalance risposi di no.
<<No?>>, disse il professore. Era sordo per caso?
<<No>>, ripetei, questa volta con tono un po' più alto.
<<Capisco...>>. Mi sa che non aveva capito proprio un bel niente. <<L'hanno informata dei tutor?>>, mi domandò ottusamente. Era ovvio che non ero informata.
<<No>>, ripetei per l'ennesima volta.
<<Bene>>. Bene un tubo! <<Nella nostra scuola abbiamo a disposizione degli eccellenti tutor, naturalmente non tutti ne hanno bisogno>>. Tipo io per esempio. Probabilmente per questo mamma non mi aveva detto niente. <<I più bravi alunni>>, proseguì, <<hanno la possibilità di fare da tutor ad altri, ovviamente in cambio ricevono dei crediti extra. Purtroppo per lei, sono tutti occupati, visto che l'anno scolastico è iniziato da qualche settimana, ma volendo si può chiamare un esterno. Lo ha richiesto al preside?>>, mi domandò in fine.
<<No>>. Questo tipo aveva bisogno di un cervello, la cosa era ufficiale.
<<Bene, la cosa è piuttosto semplice>>. Non per il tuo cervello, pensai sarcastica.
Prese una busta da lettera e un cartoncino per poi scriverci qualcosa sopra. Mise il cartoncino dentro la busta e la sigillò con della cera lacca. E ora? <<Consegnerò la richiesta al preside, cosicché lui potrà richiedere un tutor esterno per lei>>. Non poteva direttamente dirglielo, invece di scrivere la lettera e fare tante cerimonie? Speravo solo che gli altri insegnanti non fossero come lui.
La porta si aprì all'improvviso facendo voltare l'intera classe. Non poteva andare peggio di così. Ad aprire la porta era stato lo psicopatico che alla mia vista mi lanciò uno sguardo che mi fece raggelare il sangue nelle vene. Tutti sghignazzavano lanciando occhiatine allo psicopatico e a me, intanto il professore si agitava nervosamente sulla sedia. Ero per coso finita in una scuola di psicopatici?
<<Sam>>, si rivolse il professore allo psicopatico con voce tremante. Così lo psicopatico si chiamava Sam... ma comunque... da quando in qua un insegnante aveva paura di un suo alunno?
<<Professore...>>, disse con voce pungente lo psicopatico, <<perché quella>>, indicò me come se fossi uno scarafaggio da schiacciare, <<è nel mio posto?>>. Sgranai gli occhi. Adesso capivo cosa avevano tutti. Questo era il posto dello psicopatico. Perché mai il professore non mi aveva detto che era già occupato da un altro, specialmente da uno psicopatico!? Si può essere più dementi di così!?
Il professore iniziò a sudare freddo. <<M-mi d-dispiace>>, ballettò.
Sam gli lanciò uno sguardo da omicida. Poi lo rivolse a me. Aiuto! Con movimento fluido ed elegante si diresse verso di me. Era la fine, me lo sentivo.
Mi tirò la sua giacca addosso. <<Mettila dietro la sedia e spostati, quello è il mio posto!>>, mi ordinò, e io come un ebete gli ubbidii. Lo psicopatico mi faceva paura, lo dovevo ammettere.
Quando si fu accomodato al suo posto si mise a dormire e il professore iniziò la sua lezione come se niente fosse accaduto.
Perché il professore non diceva niente? Eppure lo vedeva che stava dormendo. Probabilmente era solo perché lo temeva. Questa situazione era assurda, la scuola lo era, come tutti da quel che avevo potuto vedere, ed era solo l'inizio.
Osservai dormire lo psicopatico per tutto il tempo come un idiota. Aveva l'aria stanca. Secondo me era uno di quei ragazzi che faceva tardi la sera, che si divertiva con gli amici ad andare in giro e a portarsi a letto le ragazze più carine e alla moda. Era certo che le ragazze non si negassero a lui e che qui a scuola tutte gli andassero dietro, era così affascinante e tenebroso dopotutto, chissà quante stragi di cuori. Dovevo ammetterlo, quel ragazzo mi incuriosiva. Aveva dei bei capelli, fui tentata di toccarli per verificare se fossero tinti o meno. Si capiva se erano tinti solamente toccandoli? Chi lo sa. Istintivamente allungai una mano per accarezzarli, erano così morbidi e belli. Tutto di lui mi affascinava, non mi spiegavo il perché ma c'era qualcosa in lui che mi attirava come una calamita.
Mi stava fissando. Oh no! Si era accorto che gli stavo accarezzando la testa. Ero spacciata. Ero prossima alla morte.
Si alzò di scatto facendomi perdere dieci anni di vita e quasi caddi dalla sedia per lo spavento e la mia fine imminente. Lo psicopatico prese la sua giacca dalla sedia, per poi dirigersi con passo svelto ed elegante alla porta e uscire. Cos'era appena successo?
Dopo quello che successe con lo psicopatico il resto della giornata passò come sempre. Tutti mi lanciavano occhiatine e ridevano di me per com'ero conciata, tutto nella norma. Per l'ora di pranzo mi rifugiai in libreria per starmene lontana da loro, la cosa bella era che in questa scuola la pausa pranzo durava un'ora, probabilmente era una cosa da ricchi.
Dopo che lo psicopatico se n'era andato in quel modo non lo vidi più, probabilmente troppo disgustato da me. Che pretendevo alla fine, non ero mai stata simpatica a nessuno, ero quella che tutti ignoravano, prendevano in giro e sparlavano alle spalle. E poi lui è uno psicopatico! Ricordai a me stessa. Ero solo una stupida illusa.
Finite le lezioni della giornata tornai a casa in autobus perché mamma era al lavoro e sarebbe tornata stasera, quindi sarei stata tutto il giorno da sola in casa, che tristezza.
Odiavo prendere l'autobus, quando c'era confusione si stava stretti, e poi la gente ti fissava. Mi fissa. Odiavo quando lo facevano. Non mi era mai piaciuto essere guardata perché tutti mi hanno sempre guardato come se fossi uno scarafaggio che andava schiacciato, così iniziai a nascondermi e a detestare di essere guardata. Certa gente non capiva che certi atteggiamenti potevano ferire le persone, fin nel profondo.
Tornata a casa mi preparai il pranzo e dopo iniziai a studiare. Per essere una scuola prestigiosa i compiti non erano tanto difficili, o forse ero io troppo intelligente, non so. Non so il perché ma continuai a pensare a lui, allo psicopatico, era diventata un ossessione per me, non capivo il perché. Da quando l'avevo visto lì al parco mentre piangeva non ero più riuscita a togliermelo dalla testa. Dovevo rivederlo e c'era un unico posto dove potevo trovarlo, almeno speravo.
Dopo essermi persa per almeno tre volte e aver chiesto a qualche passante la strada e aver ricevuto occhiatacce da chiunque, finalmente trovai il posto, ed era lì ad aspettarmi.
Come sempre era vestito di nero e teneva una sigaretta spenta tra le labbra. Mi fissava con sguardo serio e intenso, mi fece segno con la mano di avvicinarmi a lui. Non so perché, ma gli ubbidii.
<<Ciao>>, lo salutai con timore.
<<Ti stavo aspettando>>. Continuò a guardarmi con sguardo intenso inchiodandomi sul posto. <<Da adesso sarò il tuo peggior incubo, ricorda. Dovrai subire in silenzio perché sono il capo della scuola. Tutti mi temono e mi riveriscono, compresi gli insegnanti>>. Ero senza parole. Ero tentata di scappare via da lui ma le mie gambe non ne volevano sapere di collaborare. Si avvicinò a me prendendomi con delicatezza il mento per fissare i suoi occhi nei miei. Il mio cuore perse un battito. <<Tu sarai solo mia e subirai ogni cosa che ti farò, ogni tortura o capriccio, intesi?>>, mi sussurrò con voce vellutata e suadente. Lui era l'incantatore e io il suo serpente, e come un idiota annuì. Ero persa in lui. Questa volta ero veramente spacciata.

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