Sam V

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Al suono della campanella, che annunciava la fine delle lezioni, scappai via per andare da Clark.
Come sempre entrai nel suo studio senza bussare. <<Oggi non può stare con me>>.
Dalla scrivania il dottore si accomodò verso la sua poltrona di fronte a me, per poi chiedermi: <<E questo come ti fa sentire?>>.
<<Non saprei... allarmato?>>. Non sapevo come definire questa cosa e volevo che mi aiutasse a capirla, o sarei impazzito.
Rifletté per un istante. <<Secondo me ci sei rimasto male>>. Cosa?
<<Ci sono rimasto male?>>. Non capivo, era una cosa nuova per me.
<<È semplice. Per la prima volta qualcuno ti ha detto di no, il ché, è una cosa nuova per te, di conseguenza, ci sei rimasto male, anche per il semplice fatto che si tratti di lei>>. Adesso mi era tutto un po' più chiaro.
<<E quindi cosa dovrei fare?>>.
<<Accettare il suo no>>. Non mi era di gran aiuto.
<<Io voglio passare la giornata con lei, avevo anche un piano>>, obiettai.
<<Che piano avevi in mente?>>, mi chiese curioso.
Con imbarazzo gli risposi. <<Volevo fare un picnic con lei e poi, magari comprarle delle lenti a contatto>>.
<<Interessante... non dispiacerti Sam, domani avrai la tua occasione>>. La faceva facile lui, lo sapeva benissimo che non avevo pazienza.
<<Va bene, magari le manderò qualche messaggio>>, dissi rassegnato.
<<Messaggio?>>.
<<Sì, le ho chiesto il numero di telefono>>.
Mi studiò per qualche istante. <<È tutto?>>, mi chiese con sguardo serio.
Se era tutto? No, ma non sapevo se dirgli quella cosa o meno. <<Ho ordinato delle nuove divise per lei, quelle che ha non vanno bene, sono troppo grandi>>. Inghiottii un groppo di saliva.
<<Bene, se è tutto puoi andare>>. Tutto qui? Come minimo mi aspettavo una sua sfuriata.
<<Sì>>. Mi alzai e uscii via da lì.
Quando tornai a casa mi gettai sul letto a fissare il soffitto per un'eternità, ogni tanto veniva mio padre a chiedermi se volessi mangiare qualcosa, ma la mia risposta era sempre un no. Non volevo mangiare, volevo lei e nient'altro. Mi mancava terribilmente. Quando non stavo con lei la pensavo sempre, e ora che non c'era, che non potevo trascorrere il pomeriggio con Elle, mi sento vuoto e inutile.
Le ore trascorrevano lentamente, troppo per i miei gusti. Stavo morendo di fame ma non mi andava di mangiare, neanche di leggere, se era per questo. Non facendocela più, decisi di andare a casa sua, mi sarei arrampicato un'altra volta sul tubo di scolo pur di vederla.
Quando arrivai a casa sua, scavalcai agilmente la staccionata dirigendomi sotto la sua finestra. Estrassi il telefono dalla tasca dei jeans e le mandai un messaggio con scritto: Che fai?
Aspettai una sua risposta, ma niente, non arrivava. Possibile che già dormisse? Era un po' presto. Decisi di mandarle un altro messaggio con scritto: Dormi? Sei una gallina per caso? È presto per dormire.
Dopo un po' il telefono vibrò annunciandomi l'arrivo di una sua risposta.
Non sto dormendo!
Cosa? Che risposta era, e poi che modi erano? Decisi di risponderle per le rime, non si doveva comportare così con me.
Cosa stavi facendo? Sai che non mi piace aspettare, e non usare il punto esclamativo con me!
Un attimo dopo ecco una sua risposta.
Punto uno: quello che faccio non sono affari tuoi. Punto due: uso tutti in punti esclamativo che mi piacciono!!!
Le risposi come si deve.
Tutto quello che fai sono affari miei, TU SEI MIA, ricorda. E non usare i punti esclamativi con me!
Aspettai una sua risposta invano. La signorina aveva deciso di ignorarmi come al solito.
Le mandai un altro messaggio con scritto: Non mi ignorare!
Continuò a ignorarmi. Le mandai un altro messaggi dicendole che stavo venendo da lei.
Agilmente mi arrampicai sul tubo di scolo e quando arrivai in cima la vidi nascondersi sotto le coperte. Decisi di bussare, visto che la finestra era chiusa. Uscì dal suo nascondiglio con titubanza e appena mi vide cacciò un urlo. Che aveva da urlare, non vedeva che ero io?
Si alzò dal letto per venirmi ad aprire e sembrava arrabbiata, non capivo il perché.
<<Perché hai urlato?>>, le chiesi accigliato.
<<Mi hai fatto prendere un colpo, ecco perché ho urlato, e adesso vattene>>. Sembrava indignata ma io la trovavo buffa.
<<Sì, sì, abbiamo capito, che paura e bla bla. Fammi entrare, sto scomodo>>. La scansai per entrare agilmente dentro la sua stanza.
<<Vattene via>>, mi intimò.
<<Mi spieghi perché mi ignori sempre?>>. Non doveva comportarsi così con me, quante volte glielo dovevo dire!?
<<Magari se fossi un tantino più gentile e meno prepotente, magari non ti ignorerei>>. Adoravo quando mi rispondeva in questo modo.
<<Io non sono gentile, che sia ben chiaro>>. Forse con lei lo ero, oppure no? Che dilemma.
<<Chiarissimo>>. Incrociò le braccia al petto, era così carina. Notai che aveva un libro sul letto, così mi ci buttai sopra per vedere cosa stesse leggendo.
Vedendo che avevo preso il suo libro, si avventò su di me. Prontamente mi alzai dal letto per evitare il suo attacco. Leggendo le prime pagine notai che era un libro rosa, non pensavo che le piacessero certe cose. <<Interessante>>, mormorai mentre cercava di sottrarmi il libro vanamente.
<<Ridammelo>>. Esclamò poco prima di arrendersi.
<<Non sapevo che ti piacessero questi generi di libri>>, la stuzzicai.
<<Ehm... ecco... io...>>. Era imbarazzata.
Scoppiai a ridere, era così buffa e adorabile che non mi seppi trattenere.
Le ridiedi il libro per buttarmi di nuovo sul letto. <<Non mi importa cosa leggi, basta che non mi ignori e fai quello che ti dico>>. Sperai che la cosa le fosse chiara.
Arrabbiata mi tirò il libro in testa facendomi un gran male.
La sentii avvicinarsi a me. <<Mi dispiace, non volevo farti male>>, piagnucolò. No! Non volevo che piangesse.
L'afferrai buttandola sul letto per poi mettermi cavalcioni su di lei. Le tenni i polsi fermi sulla testa, così non poteva sfuggirmi. <<Sei una bambina monella>>. Era così bella, la volevo tutta per me.
Si divincolò cercando di liberarsi dalla mia morsa ma io ero troppo forte. <<Ti prego, non mi uccidere>>, mi supplicò spaventata.
Non volevo che avesse paura di me, no, lei no. <<Perché mai ti dovrei uccidere?>>.
<<Perché ti ho tirato il libro in testa facendoti male>>.
Risi della sua risposta. <<Se ti uccidessi, il mio divertimento finirebbe>>. Con lentezza, mi avvicinai al suo orecchio per sussurrarle: <<No, mia cara, c'è qualcosa di meglio dell'uccidere>>.
Cercò un'altra volta di liberarsi. <<Ti prego, non farmi del male, farò qualunque cosa>>. La cosa poteva tornarmi a mio favore.
<<Bene, adesso si che ci intendiamo>>. Le liberai i polsi per mettermi più comodo sul letto e poterla guardare.
<<Voglio che ti vesti come si deve, con abiti adatti ad una ragazza della tua età, che facciano risaltare la tua femminilità e devono essere della taglia giusta>>. Volevo vederla in tutto il suo splendore.
Prese un cuscino che mi lanciò in faccia. Forse me lo meritavo.
<<Domani mattina arriveranno le tue nuove divise>>. Era rimasta scioccata. Sì, mia cara, so tutto di te. <<Ho le mie fonti>>, le spiegai. Guardai l'ora constatando che era tardi. <<È meglio che vada, prima che noti la mia assenza>>. Papà se non mi avesse trovato a casa si sarebbe preoccupato e sicuramente avrebbe chiamato la dottoressa Grace e avrebbero fatto solo domande, loro non dovevano sapere niente di Elle. La guardai per un istante beandomi del suo splendore. <<Non fare sogni sconci... a domani>>. Mi alzai dal letto per andare alla finestra e arrampicarmi.
Mentre tornavo a casa, mi venne la straordinaria idee di portarla nel mio giardino segreto. Sì, le sarebbe piaciuto, n'ero certo.

Mi svegliai presto e pieno di energie. Ero agitato e nervoso al tempo stesso, annodai la cravatta un infinità di volte per l'agitazione. Dovevo essere impeccabile per lei.
Quando arrivò alla fermata dell'autobus, rimasi di stucco, aveva indossato la divisa che le avevo fatto recapitare ed era bellissima.
<<Ciao>>, mi salutò con timore. Le aprii lo sportello dell'auto per farla entrare. Quando entrai in auto, si allontanò da me.
Eh no mia cara, non puoi scappare da me, tu sei mia. <<Scappi da me?>>. L'afferrai stringendola a me. Aspirai a pieni polmoni la sua magnifica fragranza beandomene. <<Non devi scappare, tu sei mia, non lo dimenticare>>.
Chiuse gli occhi smettendo di respirare. <<Ti senti bene?>>. Iniziavo a preoccuparmi.
Aprì gli occhi. <<Sì, sto bene>>. La sua voce era un sussurro.
<<Respira allora>>.
<<Ok...>>.
Brava bambina. <<Oggi ti voglio portare in un altro posto segreto, vedrai, ti piacerà>>. Non vedevo l'ora di portarla nel mio giardino segreto.
Giunti a scuola, notai che si mordeva il labbra, quel gesto mi dava un'altra strana sensazione da definire. <<Ti mordi il labbro>>. Allungai una mano per liberarle il labbro dalla sua morsa. <<Andiamo in quel posto>>, le dissi prendendola per mano e sentendo quella familiare scossa elettrica.
Camminammo per un po', finché non raggiungemmo la serra della scuola, era lì che si trovava il giardino. Proprio dentro al capanno degli attrezzi si trovava un ingresso segreto. Poco prima di entrare dentro il capanno degli attrezzi si fermò di colpo.
E adesso cosa c'era? <<Perché ti sei fermata?>>.
<<Ehm... soffro di claustrofobia>>.
Forse pensava che volessi farla a pezzettini.<<Tranquilla, entriamo ed usciamo subito>>. Mi guardò confusa. <<Diciamo che è una porta>>, le spiegai ma non intendeva muoversi, così, la trascinai con forza.
All'interno del capanno c'era un mattone sul muro che se veniva premuto rivelava un ingresso segreto. Quando l'ingresso fu aperto mi ci intrufolai.
Quando fummo usciti dal tunnel rimase stupita alla vista del giardino. <<È bellissimo>>, esclamò incantata alla vista del mio giardino segreto.
<<Vieni, andiamoci a sedere su quella panchina>>. Le indicai una panchina di marmo bianco, dove andammo a sederci.
Si stava mordendo il labbro, era evidente che fosse nervosa.
<<Ti mordi il labbro>>, le feci notare.
<<Scusa>>. Era buffa come sempre.
<<Non devi essere nervosa, mica mordo>>. Mi portai alle labbra una delle mie sigarette di cioccolata.
Notai che mi guardava storto. <<Cosa c'è?>>.
<<Il fumo fa male e poi uccide>>.
La sua affermazione mi fece scoppiare in una risata fragorosa. Probabilmente era la terza persona estranea che si preoccupava della mia salute, la prima era la dottoressa Grace, ma lei era di parte, il secondo era il dottor Clark, e adesso si aggiungeva anche lei. Comunque sia, si preoccupava per nulla, di certo non sarebbe stato il fumo ad uccidermi, lo sapevo fin troppo bene e poi, le sigarette erano di cioccolata fondente, che fa bene al cuore.
Scartai la sigaretta, per poi darle un morso. <<È di cioccolata, ne vuoi un po'?>>. Allungai una mano per offrirle quel che restava della mia cioccolata.
Mi guardò stranita, forse pensava che fossi fuori di testa ma stranamente accettò il pezzo di cioccolata.
Che cosa strana, si poteva considerare come un bacio? E poi oggi era così bella con la divisa della giusta taglia, aveva un bel fisico e non riuscivo a capire perché cercasse di nasconderlo.
Mentre masticava notai che era pensierosa. <<A cosa stai pensando?>>, le chiesi curioso.
<<Mi chiedevo il perché andassi in giro con delle sigarette di cioccolata>>. Fece una strana faccia.
Il perché andassi in giro con le mie adorate sigarette di cioccolata era semplice, ma il punto era se dirglielo o meno. <<È l'ultima cosa che mi rimane di mia madre...>>. Mi riusciva difficile parlare di lei, era sempre una tortura per me, ma decisi di proseguire fino in fondo. <<Quando ero piccolo, giocavo sempre con lei, certe volte facevamo finta di fumare e usavamo queste sigarette di cioccolata>>.
<<Cosa l'è successo?>>. Che strano, qualcun altro al suo posto mi avrebbe detto mi dispiace ma lei no, infatti era diversa da chiunque altro, lei era speciale.
<<È morta quando avevo sei anni, una brutta malattia se l'è portata via>>.
<<Ti manca?>>, mi chiese in un sussurro, la sua voce era così dolce e bella.
<<In ogni istante... anche mio nonno, se è per questo, se n'è andato qualche anno fa, portandosi via l'ultima parte di me>>. Avevo voglia di scappare via e piangere.
<<Guardami>>. La sua voce era ferma e decisa.
Eseguendo il suo ordine, mi voltai verso di lei e in quell'istante fece qualcosa di inaspettato, si gettò su di me per abbracciarmi forte. Quel contatto inizialmente mi confuse, nonostante ciò, mi beai di quel contatto e inspirai la sua bellissima fragranza di primavera e ciliegie.
<<Forse sarà meglio andare, abbiamo lezione>>. Ed ero certo che non amasse arrivare in ritardo.
Si staccò da me, quel gesto mi diede un senso di fastidio, era come se non volessi mai allontanarmi da lei. <<Sì, giusto!>>. Era buffa anche quando si agitava. La presi per mano trascinandola via con me da quel giardino incantato per tornare alla triste realtà.
Quando entrammo in classe, notai che Elle era agitata, chissà mai il perché. Forse era dovuto al test di oggi? Oggi avevamo il test di economia aziendale, in genere non mi sarebbe interessato minimamente e avrei lasciato il foglio in bianco come al solito, però questa volta non potevo, adesso avevo una tutor, che era Elle e non potevo permettermi di farle fare una brutta figura o abbassarle la media, quindi, avrei fatto il test.
Il professore ci consegnò i fogli, impugnai la penna e iniziai a compilare le domande. Il test era una passeggiata, ogni domanda era facile e sapevo tutto alla perfezione. In men che non si dica completai il questionario. Quando mi alzai per consegnare il test finito, il professore mi guardò stupito e con un'attenta osservazione, constatai che anche gli altri lo erano, compresa Elle. Per me non c'era niente di assurdo o anormale, in fondo avevo un quoziente intellettivo molto alto.
Come se nulla fosse, andai ad accomodarmi nel mio posto mettendomi a osservare la mia Elle. Da dove mi era venuto fuori, la mia Elle? Che cosa strana. Cercai di non badarci più di tanto, non volevo scappare dal dottor Clark, non per il momento almeno, lui poteva aspettare, la mia priorità l'aveva un'altra persona in quel momento.
Senza distrarsi per un istante, Elle rispondeva a una domanda dopo l'altra, non aveva alcuna esitazione, era eccezionale. Non avevo mai incontrato nessuno come lei, sì, di persone intelligenti ne conoscevo ma lei lo era di più. Mi avevano sempre affascinato le persone intelligenti, con loro si sa sempre di che parlare e in genere non sono mai noiose, lei di certo non lo era. Ogni parte o gesto di lei mi affascina. Nonostante le avessi imposto di indossare la divisa della sua giusta taglia, non aveva eseguito appieno il mio ordine, continuava a portare le sue due inseparabili trecce. Non l'avrebbe passata liscia, era certo. Mentre continuavo a osservarla e lei era intenta a completare il test, pensavo come sarebbe stata bene con un po' di trucco, anche se senza era comunque splendida, magari l'avrei portata in un salone di lusso. Ora che ci pensavo, aveva bisogno anche di un guardaroba nuovo, una personal shopper mi sarebbe stata d'aiuto.

Dopo le lezioni la portai a fare un picnic, avevo pensato di andare nel posto dove c'eravamo incontrati, si poteva definire una cosa romantica? E poi, volevo essere romantico con lei? La cosa che mi era certa, era che volevo vedere il suo splendido sorriso e stupirla.
Mentre eravamo in macchina ero nervoso ma cercavo di non darlo a vedere mantenendo un espressione neutra, come facevo sempre d'altronde. Lei era lì, seduta nell'angolo opposto dell'auto a guardare fuori dal finestrino, ogni tanto si muoveva a disagio, presumevo che anche lei fosse nervosa. Ero io a renderla nervosa?
<<Sei nervosa?>>, le chiesi a un tratto destandola dai suoi pensieri muti.
Stupita dalla mia domanda si voltò per guardarmi e sospirando mi rispose: <<Sì, un po'>>. Rivolse lo sguardo di fronte a sé.
<<Guardami>>. Più che un ordine la mia era una supplica, volevo vedere i suoi splendidi occhi grigi. Ubbidiente si voltò per fissare i suoi occhi nei miei. <<Mi piacciono i tuoi occhi>>. In quel momento avrei voluto mordermi la lingua per ciò che avevo appena detto.
Rimase un po' stupita ma mi rispose con un: <<E a me piacciono i tuoi>>. A quel punto mi sa che ero io quello più stupito fra i due. Le piacevano i miei occhi e chissà che altro ancora. Cercai di riprendere il controllo di me e della domanda che le avevo posto prima. <<Mi dici perché sei nevosa?>>.
Spostò di nuovo lo sguardo, così per la frustrazione le presi con delicatezza il viso fra le mani. <<Perché>>, la esortai.
Mi guardò. <<Ecco... io... mi stavo chiedendo se... se questo fosse... una specie di... appunto>>. Chiuse gli occhi imbarazzata. Sinceramente non ci avevo pensato, ma forse, si poteva definire tale.
<<Se tu lo vuoi, allora è così, in caso contrario, no>>.
<<Può essere ciò che voglio?>>, mi chiuse mentre riapriva gli occhi.
<<Sì>>. Tirò un sospiro di sollievo. Che ragazza strana e curiosa.
Quando arrivammo nel posto da me scelto per il picnic, Elle lo riconobbe ed era evidente dall'espressione che aveva assunto, cioè restare a bocca aperta. Andai a stendere la tovaglia sotto all'albero e mi ci stesi sopra, ma lei se ne stette lì dov'era impalata a fissarmi.
<<Vieni, così mangiamo>>. Era seccante quando si comportava così.
<<Va bene>>. Con titubanza acconsentì e si accomodò lontano da me.
Alzai gli occhi al cielo seccato dal suo comportamento. L'afferrai per attirarla fra le mie braccia. <<Vedi, che se ti avvicini, non ti mangio>>.
<<Ok>>, farfugliò stordita.
Eravamo così vicini, riuscivo a sentire il suo respiro irregolare, su di me. Il suo cuore che batteva sempre più forte, come se volesse uscire dal suo petto per scappare chissà dove, magari in un posto magico. I suoi occhi erano puntati sulle mie labbra. Voleva baciarmi? Ma soprattutto, io volevo baciarla e perdermi in quel magnifico contatto? Sì, lo desideravo ardentemente e non riuscivo a spiegarmi il perché ma lo volevo.
Mi avvicinai alle sue labbra per baciarla ma si scansò. Provai una strana sensazione, sentivo dolore dentro di me ma non era il mio cuore, almeno non credevo, non stavo avendo uno dei miei attacchi. <<Perché no?>>, le chiesi con rammarico.
Puntò i suoi occhi nei miei ed erano tristi. <<Ci tengo al primo bacio, per te può essere un gioco... ma per me non lo è>>.
<<Ma io non sto giocando, tu sei mia e voglio baciarti>>, le sussurrai.
<<No, per me non funzionano così le cose, non puoi pretendere che ti baci, e poi neanche siamo fidanzati>>. Mi scansò via da sé, era infuriata con me.
<<Tu vuoi un fidanzato?>>. Potevo darle questo, un fidanzato?
Sospirò. <<Non sono disperata o come le altre, e poi mia madre non vuole che abbia un fidanzato>>, alzò gli occhi al cielo, <<Vorrei che qualcuno si interessasse per una volta a me, che mi notasse...>>.
Voleva essere notata? <<Io ti noto...>>.
<<Forse...>>.
<<Se divento il tuo fidanzato mi bacerai?>>.
Mi guardò accigliata. <<Non credere che sia così facile>>.
<<Non capisco>>. Cosa intendeva?
<<Per stare insieme a qualcuno bisogna essere innamorati e dobbiamo desiderare entrambi di stare insieme, è così che funziona>>.
<<Ah sì?>>.
<<Tu non sai proprio niente dell'amore>>, sorrise della mia ingenuità.
<<No>>. Mi piaceva quando sorrideva. <<Quindi per avere un tuo bacio, prima devo farti innamorare di me e chiederti se vorresti essere la mia fidanzata?>>.
<<Anche tu devi innamorati di me>>.
Io innamorarmi? <<Io non amo nessuno, neanche me stesso>>. L'espressione che assunse era indecifrabile. Non capivo a cosa pensasse. <<A cosa pensi?>>.
<<Davvero lo vuoi sapere?>>.
<<Vorrò sempre sapere a cosa pensi>>. Non doveva nascondermi niente, i suoi pensieri mi appartenevano e anche lei.
<<Penso che... sei una persona triste e che soffre... soffre tanto>>. Cos'era questo? Era dispiaciuta per me e per i miei tormenti?
<<Non devi preoccupartene, io e i miei demoni interiori oramai andiamo a braccetto>>.
<<Se vuoi parlarmene io sono qua, ti ascolto se vuoi>>.
Risi per le sue parole, non avevo bisogno di parlare, e poi ci pensava già il dottor Clark. <<Tranquilla, ho già uno psicologo che mi segue da tempo>>.
<<Ma lui non è tuo amico>>. La sua risposta mi spiazzo completamente, da quando in qua noi due eravamo diventati amici?
<<Noi non siamo amici>>, le risposi bruscamente.
<<Anche se cerchi di negarlo è così>>. No, non volevo ascoltarla, noi due non eravamo niente. Mi alzai dalla tovaglia stessa per terra e me ne andai via, non volevo sentire altro.

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