Eleonora VI

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Eravamo così vicini, riuscivo a sentire il suo respiro su di me. Il suo cuore irregolare. Le sue labbra sembravano così morbide, avrei tanto voluto che mi baciasse ma per lui ero solo un gioco, un passatempo.
Si avvicinò alle mie labbra per baciarmi ma prontamente mi scansai.
<<Perché no?>>, mi chiese, era evidente che fosse infastidito dal mio gesto.
<<Ci tengo al primo bacio, per te può essere un gioco... ma per me non lo è>>. Volevo che il mio primo bacio fosse speciale, dato magari per amore e non per gioco.
<<Ma io non sto giocando, tu sei mia e voglio baciarti>>, mi sussurrò col suo fare seducente ma questa volta non ci sarei cascata.
<<No, per me non funzionano così le cose, non puoi pretendere che ti baci, e poi neanche siamo fidanzati>>. Stavolta ero arrabbiata con lui.
<<Tu vuoi un fidanzato?>>.
Questo ragazzo era davvero ottuso. <<Non sono disperata o come le altre, e poi mia madre non vuole che abbia un fidanzato, vorrei che qualcuno si interessasse per una volta a me, che mi notasse...>>. Che imbarazzo dire certe cose.
<<Io ti noto...>>.
Sì, lui mi aveva notata ma non nel modo che volevo. <<Forse...>>.
<<Se divento il tuo fidanzato, mi bacerai?>>.
Eh no mio caro, non sono come le altre, che credi?! <<Non credere che sia così facile>>.
<<Non capisco>>.
<<Per stare insieme a qualcuno bisogna essere innamorati e dobbiamo desiderare entrambi di stare insieme, è così che funziona>> , gli spiegai sperando che questa volta capisse.
<<Ah sì?>>.
<<Tu non sai proprio niente dell'amore>>. Era una causa persa ma a modo suo era adorabile.
<<No>>, mi sorrise, aveva un bel sorriso. <<Quindi per avere un tuo bacio, prima devo farti innamorare di me e chiederti se vorresti essere la mia fidanzata?>>.
<<Anche tu devi innamorati di me>>, puntualizzai.
Si accigliò. <<Io non amo nessuno, neanche me stesso>>. Cosa? Come si faceva a non amare se stessi? La sua vita era così triste?
<<A cosa pensi?>>, mi chiese.
<<Davvero lo vuoi sapere?>>.
<<Vorrò sempre sapere a cosa pensi>>.
<<Penso che... sei una persona triste e che soffre... soffre tanto>>. Non volevo che soffrisse.
<<Non devi preoccupartene, io e i miei demoni interiori oramai andiamo a braccetto>>.
<<Se vuoi parlarmene io sono qua, ti ascolto se vuoi>>.
Rise. <<Tranquilla, ho già uno psicologo che mi segue da tempo>>.
<<Ma lui non è tuo amico>>. Io si invece, almeno così credevo.
Era allarmato. <<Noi non siamo amici>>, mi rispose bruscamente.
<<Anche se cerchi di negarlo è così>>.
Si alzò e andò via lasciandomi lì da sola. Sapevo che soffriva tanto e che non voleva affezionarsi a nessuno, oramai l'avevo capito ma sapevo anche che aveva bisogno di qualcuno che gli stesse accanto, ma soprattutto, che gli volesse bene. Forse alla fine non era uno psicopatico ma una persona che si sentiva tanto sola e che non conosceva il significato dell'amore.
Poco dopo venne l'autista di Sam che mi riaccompagnò a casa. Nonostante fosse arrabbiato e sconvolto, si era comunque preoccupato per me e il mio scarso senso dell'orientamento, era stato dolce. Alla fine lui era una persona dolce, il suo lato da prepotente era solo una messa in scena per sembrare forte agli occhi degli altri. Sua madre era morta quand'era piccolo e dopo la scomparsa di suo nonno le cose per lui erano peggiorate, c'era tanto dolore dentro di lui, n'ero certa a questo punto. Lui aveva bisogno di un'amica, di qualcuno di cui si potesse fidare e no di uno psicologo, aveva bisogno d'affetto e magari anche di un po' d'amore.
Per tutto il giorno non ebbi sue notizie, l'indomani in compenso trovai il suo autista che mi aspettava alla fermata dell'autobus per accompagnarmi a scuola dove lui non si presentò quel giorno. Cercai di mandargli qualche messaggio per sapere se stesse bene, ma non mi rispondeva, ero davvero preoccupata, quel ragazzo mi avrebbe fatto impazzire. All'uscita della scuola trovai di nuovo il suo autista ad aspettarmi, sperai che ci fosse anche lui ma non c'era, ci rimasi male e non fece altro che aumentare la mia preoccupazione.
<<Lui sta bene?>>, chiesi all'autista dopo che partì.
<<Non sarei autorizzato...>>.
<<Capisco...>>. Ero in ansia.
<<Ultimamente è diverso>>. Finalmente delle notizie!
<<Diverso come?>>. Non capivo.
<<Vede, in genere non si preoccupa mai per nessuno o parla con qualcuno, si potrebbe dire che sia un tipo solitario ma a quanto sembra si è affezionato a lei, il ché è strano>>.
<<Lei trova?>>.
<<Non saprei, ma a quanto pare lei è molto speciale se è riuscita dove altri hanno fallito>>. Volevo sapere altro su di lui ma ero arrivata a casa, purtroppo.
<<Non dica della nostra conversazione a Sam>>, lo pregai.
Mi sorrise. <<Stia tranquilla signorina, sarà un nostro piccolo segreto>>. Quell'uomo mi stava davvero simpatico.
Quando rientrai in casa constatai che era deserta, tanto per cambiare. Mangiai qualcosa al volo per poi fare una doccia. Oggi non avevo voglia di fare niente, volevo indossare uno dei miei pigiami morbidi, caldi e tanto accoglienti e leggere un buon libro, avevo proprio bisogno di non pensare a lui e perdermi in uno dei mondi fantastici che tanto amavo.
Dopo qualche ora sentii il telefono vibrare ma lo ignorai e poi non ricordavo in quale meandro della stanza l'avevo gettato. Un'altra vibrazioni. Poi qualcuno che bussava alla mia finestra, e chi non era se non lo psicopatico! Anche se era dura ammetterlo, ero davvero contenta di vederlo... ma ero in pigiama! Che vergogna, ed era uno dei pigiami più imbarazzanti al mondo! Rosa confetto con stampati degli orsi che mangiavano del miele da un vasetto. Volevo sprofondare in un abisso e non riemergere mai più.
Quando entrò nella mia stanza mi guardò da capo a piedi e avrei giurato che stesse trattenendo una risata.
<<Salve>>. Cosa!? Dopo che era scappato via senza né farsi vedere e sentire si presentava così, arrampicandosi dalla mia finestra e dicendomi salve come se nulla fosse!
Arrabbiata come non mai andai a prendere un cuscino e iniziai a picchiarlo, non l'avrebbe passata liscia. <<Ahi... si può... sapere... che ti prende?>>, mi chiese tra una cuscinata e l'altra.
<<Che mi prende!>>, urlai, <<Mi prende che sei scappato via lasciandomi là tutta da sola per non farti più sentire, neanche un messaggio, niente, e ora arrivi qua, in camera mia, come se nulla fosse e mi dici salve. Io ti uccido!>>. Conclusi il discorso con una cuscinata.
Mi tolse il cuscino dalle mani per gettarlo in un angolo della stanza e fece qualcosa di inaspettato, mi abbracciò stringendomi forte a sé, mi inebriai del suo dolce profumo di cioccolata. <<Mi dispiace, sono un idiota... sono scappato via... ho avuto paura...>>, mi confessò tra un sospiro e l'altro.
Paura? Aveva avuto paura e io come un idiota mi ero arrabbiata con lui, che stupita che ero.
Lo strinsi a mia volta, lo sentii irrigidirsi ma non mi respinse. <<Non devi avere paura>>.
Sospirò ancora. <<Lo so... è solo che... non sono abituato a certe cose... ho bisogno di sapere le cose, che non mi sfuggano di mano...>>.
Mi staccai da lui per guardarlo negli occhi. <<Non ti piacerebbe avere un'amica?>>.
Ci rifletté per qualche istante. <<Non saprei, non ne ho mai avuto bisogno o il desiderio>>.
<<E con me? Se divento tua amica ti darebbe fastidio?>>.
<<No...>>.
<<Posso essere tua amica?>>, gli chiesi in un sussurro. Forse alla fine non volevo essere sua amica. Avvicinò il suo viso pericolosamente al mio. <<Magari potrei volere qualcosa di più>>. Mi sentivo frastornata, era troppo vicino. Cercai di riprendermi. Dovevo! Lo allontanai da me quanto bastava per guardarlo bene, dovevo essere decisa con lui. <<Solo amici>>, precisai.
<<Va bene...>>. Avevo vinto, non potevo crederci. <<Per ora>>, mi disse con un ghigno. Come non detto. <<Bene, ti avevo promesso che ti avrei portata dall'oculista>>.
<<Come? Adesso!?>>.
<<Sì, certo>>, mi sorrise.
<<Ehm... dovrei cambiarmi>>. Ero nel pallone più totale.
<<Ok>>. Rimase lì fermo e immobile. Che aspettava a uscire!
<<Esci>>.
<<Devo proprio?>>.
<<Se non vuoi assaggiare la mia ciabatta, sì>>.
Mi guardò con perplessità. <<Dici sul serio?>>.
<<Quando si tratta di ciabatte sono sempre seria>>.
<<Ok, esco>>. Si avviò verso la porta, ma prima che uscisse si voltò per dirmi: <<A proposito, bel pigiama>>. Sfortuna volle che si era richiuso la porta alle spalle prima che riuscissi a colpirlo in testa con la mia ciabatta-cane.
Visto che non gli piacevano i miei vestiti larghi, andai nei meandri del mio armadio alla ricerca di qualcosa di più stretto che mi aveva comprato mia madre senza di me, ma soprattutto il mio consenso. Alla fine erano solo una camicia a quadri e un paio di jeans, probabilmente avevo ereditato da mamma il mio scarso senso della moda. Stranamente oggi lo psicopatico... cioè, Sam, indossava una camicia a quadri sopra una t-shirt bianca e dei jeans, oggi niente stile dark per lui, ma era comunque da mozzar il fiato. Chissà se anche questa volta ero rimasta a bocca aperta nel guardarlo... era meglio non pensarci.
Dopo essermi vestita e data una sistemata ai capelli, uscii dalla stanza trovandolo nel corridoio ad aspettarmi diligentemente.
Allungò un braccio per offrirmi la mano. <<Andiamo>>. La sua voce era così dolce. Se volevo andare via con lui? Certo.
Invece di andare dall'oculista in auto ci andammo a piedi. Era bello passeggiare con lui, aveva una bella camminata elegante, probabilmente, visto che proveniva da una famiglia ricca, era stato istruito nel portamento. Quando passava lui tutte le ragazze si voltavano per guardarlo restando a bocca aperta, almeno non ero l'unica, ma comunque, sentivo una nota di fastidio, cos'era questo sentimento, gelosia per caso? Ero gelosa delle altre? Come al solito l'aria mi fece lo sgambetto per farmi cadere a terra per baciare il marciapiede... stranamente non accadde questa volta. Sam prontamente mi aveva afferrata prima che cadessi, era il mio salvatore.
<<Se guardarsi dove andassi, invece di fissarmi come un ebete, non rischieresti di sfracellarti al suolo>>, mi rimproverò e non aveva tutti i torti. Aveva il fiato grosso, come se avesse appena corso.
<<Stai bene?>>.
Fece una strana smorfia, come di fastidio. <<Sto benissimo, andiamo piuttosto>>. Sembrava innervosito dalla mia domanda.
Nessuno dei due proferì parola finché non fummo arrivati a destinazione. Quando entrammo dall'oculista prese il suo portafogli per estrarre la sua carta di credito. Si avvicinò al bancone senza rispettare la fila mettendosi a impartire ordini. <<La mia amica ha bisogno di una visita, immediatamente>>, si rivolse con sgarbo alla povera signorina che stava dietro al bancone, era come se lei fosse insignificante per lui, un insetto schifoso.
<<Deve aspettare il suo turno, signore>>, gli rispose la signorina mantenendo un tono gentile e professionale.
<<Io non aspetto>>.
Eh no mio caro, non ci si comporta così. Mi avvicinai a lui per insegnargli un po' di educazione. <<Cosa stai facendo!>>.
Mi guardò come se fossi tonta. <<Non lo vedi?>>.
<<Non ci si comporta così>>, lo rimproverai puntandogli un dito contro. In risposta alzò un sopracciglio. <<Devi essere più gentile con le persone ed educato, e si rispettano i turni e le file>>. Non credevo a ciò che avevo appena detto, ero fiera di me.
Si accigliò. <<Io parlo agli altri come mi pare e piace e non rispetto né turni e né file, non mi piace aspettare>>.
Cosa! <<Tu adesso ti vai a sedere su una di quelle sedie>>, indicai dietro di me, <<e aspetti il turno come gli altri>>.
Si mosse a disagio sul posto per poi fare come gli fu detto, sembrava un bambino piccolo dopo che era stato rimproverato dalla madre per aver fatto un capriccio.
Mi andai a sedere accanto a lui che teneva il broncio, era davvero carino.
Mi strinse la mano facendomi sentire quella familiare scossa elettrica. <<Sei arrabbiata con me?>>, mi chiese mentre poggiava il capo sulla mia spalla.
<<No, però devi comportarti bene con le persone>>.
<<Va bene>>. Che cosa strana, stava facendo come gli era stato chiesto e senza protestare. Probabilmente prima ero davvero caduta sfracellandomi al suolo ed ero finita in coma.
Dopo un po' si addormentò con la testa poggiata sulla mia spalla, sperai tanto che non mi sbavasse sulla addosso. Mentre dormiva borbottava parole incomprensibili, di solito non lo faceva ma questa volta sì, chissà mai il perché, forse era irrequieto.
Finalmente arrivò il nostro turno e dovevo svegliarlo. Gli accarezzai i capelli e immediatamente si svegliò.
<<Sì?>>, chiese mezzo assonnato.
<<È il nostro turno>>.
Si alzò dalla sedia per andare verso il bancone, senza di me, almeno poteva aspettarmi. L'oculista mi visitò dicendo che potevo portare le lenti a contatto. Sam con il suo modo esagerato ne comprò fin troppe e mi obbligò a indossarne subito un paio. Non mi piaceva che sperperasse i suoi soldi, specialmente per me.
Dovevo abituarmi alle nuove lenti, mi sentivo più leggera e libera, erano davvero comode.
<<Ti andrebbe un gelato?>>, mi chiese quando passammo di fronte a una gelateria dall'aria lussuosa.
<<Va bene>>. Adoravo il gelato.
Da dentro la gelateria sprizzava lusso da tutti i pori, era così luminosa e luccicosa. Prendemmo le nostre ordinazioni per poi accomodarci in un tavolino, anch'esso lussuoso. Sam prese gusto cioccolato fondente e io al caffè.
<<Alla tua età bevi caffè?>>, mi chiese con una cucchiaiata di gelato in bocca, era un vero bambino.
<<Intanto è gelato, e poi ho diciassette anni, non tre>>.
<<Almeno prendilo decaffeinato>>. Com'era irritante.
<<No, grazie, va bene così>>.
<<Come vuoi, ci rimetti tu>>. Prese una generosa cucchiaiata per mangiarla in un sol boccone. Quando si trattava di voracità non lo batteva nessuno.
Anche in gelateria le ragazze lo fissavano e la cosa mi dava fastidio. C'era un gruppo di ragazze che se lo stavano mangiando con gli occhi e di tanto intanto si mettevano a parlare e a ridere fra di loro. Tanto lo sapevo che parlavano di lui, che oche, mi ricordavano la mia matrigna. Lui nel frattempo si gustava il suo gelato ignaro di ciò che accadeva intorno a lui, anche a scuola lo faceva.
<<Perché non mangi il tuo gelato? Vedi che si scioglie>>.
<<Ehm... sì, sì>>. Che stupida, mi ero incantata a fissare quelle oche. Presi una cucchiaiata di gelato dalla mia lussuosa coppa gustando il mio gelato e facendo finta di niente.
<<Chi stavi fissando?>>. Mi aveva beccata.
<<Niente>>. Come attrice facevo pena.
Si voltò dalla parte del gruppo di ragazze e le osservò per qualche istante, mentre loro gli facevano gli occhi dolci. Si voltò verso di me per inchiodarmi col il suo sguardo, ero persa. <<Ti danno fastidio quelle ragazze?>>.
Ci misi qualche istante per riprendermi e rispondere. <<No>>.
Si alzò dalla sedia per andare dalle ragazze. Si avvicinò a loro e da quel che vidi disse qualcosa che fece cambiare espressione alle ragazze. Che gli avrà mai detto? Ero perplessa, c'era d'aspettarsi di tutto da lui. Probabilmente le aveva minacciate di morte, era da lui.
Tornò da me come se nulla fosse per finire il suo gelato.
<<Cos'hai detto a quelle ragazze?>>.
<<Nulla di che>>, mi rispose facendo spallucce. Nulla di che! Era convinto che gli credessi? Se era così, si sbagliava di grosso.
<<Posso sapere cos'hai detto a quelle ragazze?>>, insistetti usando un tono di voce deciso e autoritario.
Soffermò lo sguardo su di me per poi sbuffare seccato. <<Nulla di che. Ho detto loro che mi dà fastidio essere fissato mentre mangio>>. Chissà in che modo glielo avrà detto, non oso immaginare.
Usciti dalla gelateria mi riportò a casa, tornando di nuovo a piedi. Era stata una bellissima giornata, a parte gli intoppi, si intende, ma con lui era così e mi piaceva.
Prima di entrare in casa mi fermò inchiodandomi le spalle alla porta d'ingresso, la sua bocca era vicinissima alla mia, sentivo il suo dolce alito su di me. Avevo le palpitazioni a mille e la mia vocina interiore mi gridava di scappare via e che era una sua trappola diabolica, ma il mio corpo non voleva sentir ragione. <<Domani ti porto in un altro posto e non protestare, va bene?>>. Annuii al suo volere. Si allontanò da me e io ricominciai a respirare. <<Di sopra c'è una sorpresa per te>>, mi disse ridendo per poi andarsene via.
L'osservai andare via con la sua solita camminata elegante e sparire in lontananza. Era così bello. L'effetto che esercitava su di me era sempre più forte, n'ero consapevole e tutto ciò mi spaventava. Lui non andava bene per me, ero solo il suo passatempo, nulla di più e ne meno. Ero solo una stupida ragazzina come le altre che cadeva ai suoi piedi. Entrai in casa di corsa e arrabbiata con me stessa. Quando entrai in camera mia, tolsi le lenti a contatto gettandole via, che m'importava! Non m'importava più di niente, volevo solo piangere.

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