capitolo 18

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Nel frattempo, chissà dove nel mondo, un uomo alto e magro, vestito di viola, con degli occhialini che gli coprivano gli occhi, capelli castani chiari e lunghi, racchiusi in una coda bassa, il naso aquilino e il viso allungato e ossuto, camminava in un lungo corridoio dove c'erano tante camere con numeri e nomi di persone e di squadre. Si fermò davanti a una di esse: Axel Blaze, 10, Kirkwood. Bussò e dall'interno qualcuno disse di entrare. All'interno c'era un ragazzo seduto su un letto, con la testa tra le mani. Prese un grande respiro e poi si alzò. Aveva i capelli biondo platino, gli occhi sottili color cioccolata fondente e pelle abbronzata:-mi dica-
-sarò breve, Axel- disse l'uomo poggiando una mano sul suo fianco. -un mio conoscente lavora in un ospedale di Londra e ha da poco ricevuto una paziente ... Elise Blaze- disse e Axel andò in standby, gli si bloccò tutto: cuore, polmoni, corde vocali. Sua sorella, la sua piccola sorellina che aveva cercato da anni era viva. L'aveva salvata e quindi ne era sicuro ma dopo così tante ricerche e tante speranze era finalmente riuscito a trovarla e non riusciva a crederci. Recuperò la voce e balbettò: -c-cosa? E-Elise?-
-sì, la tua cara sorellina è all'ospedale di Londra.- rispose l'uomo con tono scherzoso, come se non fosse una cosa importante. Axel preso dalla felicità cercò di uscire dalla stanza ma l'uomo lo fermò e disse: -Andremo insieme, quindi preparati che tra due giorni si parte, ma ti avverto non ti aspettare di trovare la piccola bambina che hai salvato. Non solo è cresciuta ma è cambiata anche dal punto di vista caratteriale, viste le ricerche. E un'altra cosa: sei consapevole che non puoi andare lì e dirgli che sei suo fratello? - disse l'uomo che, a quanto pareva, si stava divertendo.
-perché no? - disse Axel come se ad un tratto fosse diventato un ingenuo bimbo.

-9 anni senza una famiglia, pensando che tu fossi morto: le faresti prendere uno shock. E poi ti ricordo che non hai solo lei come sorella- disse l'altro come se fosse stato obbligato ad usare quel tono dolce.
–sì, ma Julia non si sveglierà sicuramente mentre sono via. E comunque c'è il signor Blaze qui. Elise è la mia vera famiglia, è lei la mia vera sorella- disse Axel gesticolando.
-va bene- disse l'uomo girando le spalle e aprendo nuovamente la porta -Allora si parte tra due giorni? - aggiunse.
–certo! - esclamò il ragazzo poco prima che la porta si chiudesse. Fece la valigia e andò a dormire pensando alla sua sorellina.

Elise si svegliò a causa di Torch che la chiamava: -Elise! Svegliati, ti devono visitare. - lei si stiracchiò e guardò Torch, poi l'infermiera.
–ok, mi alzo- disse mettendosi a sedere e scendendo dal letto. Torch la aiutò e lei fece la visita. Dopo, i dottori dissero che poteva essere dimessa e così Torch tornò a casa a prendere il motorino mentre Elise lo aspettava all'ingresso. Appena arrivati in casa, abbracciati, Torch si irrigidì. C'era suo padre.
-Torch, dobbiamo parlare- disse quest'ultimo.
-di cosa, papà? - rispose Torch chiudendo la porta e evitando di guardarlo negli occhi.
–di un po' di tutto- rispose il padre. Nel frattempo Torch stava trascinando Elise verso le scale.
-la accompagno sopra e scendo- disse svelto il rosso. La aiutò a salire le scale e a stendersi nel letto. Elise era preoccupata e il rosso glielo lesse negli occhi. Lui, al contrario, era stranamente tranquillo. Le baciò la fronte e scese da suo padre. -mi sembrava di averti avvertito sulla droga- disse quest'ultimo appena Torch entrò nel suo campo visivo.
–papà, non ne avevo in casa! Sono andato da un mio amico e l'ho portata a Mark. Dovevo prendermi Elise, cerca di capire! - sbottò credendoci anche lui. Sapeva bene di essere un ottimo bugiardo solo se anche lui credeva a ciò che stava dicendo.
-passiamo all'altro discorso: Elise! - disse il padre, dato che quello era l'argomento di cui gli importava maggiormente. Torch fece roteare gli occhi e sbuffò.
–papà, ascoltami ...- disse come se stesse parlando a un bambino, come se dovesse rassicurarlo. Ma suo padre alzò la voce: -Torch, spero solo sia un altro dei tuoi giochetti. - il ragazzo roteò un'altra volta gli occhi, poiché, nonostante tutto, gli dava ancora fastidio ammettere il tutto: -no papà. - disse poi.
-e allora toglitela dalla testa! - disse il padre. Torch era sicuro che, dopo quella frase, suo padre era diventato un po' più grosso. Si fece coraggio e disse quello che sognava di dire a suo padre da quando aveva capito che Elise gli interessava davvero, e glielo urlò in faccia: -papà, dannazione, siamo nel 21° secolo, non puoi obbligare due persone ad innamorarsi!-
-quel ragazzo le piacerà, è il suo tipo.- disse il padre facendo quasi ridere Torch: lei era stata prima con Mark e poi con lui, come poteva piacergli un cretino come il soggetto di cui stavano parlando. Sospirò, più per trattenere la risata che per altro. -sai benissimo perché mi serve che si sposino, andremo in rovina sennò- disse il padre con quel tono di voce che usava solo quando voleva persuadere qualcuno. E Torch quel tono lo conosceva bene. Prese a girargli intorno, per metterlo sotto pressione, era l'unico modo con cui ci riusciva. -e tu non vuoi che questo succeda vero, Torch? - i nervi di Torch sembravano delle corde tese, come tutte quelle volte in cui suo padre aveva tirato fuori quel discorso. Ecco due cose che lo facevano innervosire: il discorso riguardante il suo futuro e le persone che gli giravano intorno mentre gli parlavano. Non sapeva se la cosa gli desse fastidio perché si sentiva osservato di sotto in su o perché si sentiva circondato, rinchiuso. Solo suo padre, però, aveva quel modo di fare. -tu dovrai lavorare nella mia fabbrica e non posso consegnartela se va in rovina, sei d'accordo con me? –

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