8° CAPITOLO

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31 gennaio, sera
(Ora del Criminale Ricercato)

Novanta minuti a battere sulla tastiera e sono ancora fuori, come se fosse che mi sono fatta un espresso in endovena.

Non so ancora cosa fare. La parte più razionale di me mi dice di fare finta che non sia mai successo.

La parte meno razionale vorrebbe trovare V e tirargli un calcio dove so io.

La buona notizia è che manca ancora una settimana al mio diciottesimo compleanno, per cui se la polizia mi arresta probabilmente mi processeranno come minorenne.

Ok. Questo pensiero non è così tranquillizzante... scriverò ancora un po'...

Tre vecchi

Era il tramonto, l'ora in cui il blu del cielo si fa velocemente più profondo e le ombre sul terreno più solide.

Il sentiero al di là del cancello era cosparso di ghiaia bianca, un percorso pallido che serpeggiava verso l'alto lungo quello che sembrava il fianco di una montagna in miniatura.

C'era un silenzio inquietante. I rumori di San Francisco non riuscivano a superare la siepe: neanche clacson di automobili, né vagabondi matti, né spericolati corrieri in bicicletta.

Sentivo il suono spezzato del mio respiro e il battito del mio cuore. Il bambú frusciava e sussurrava al mio passaggio.

A metà strada verso la casa il sentiero costeggiava una piccola valle, dove c'era un piccolo stagno con l'acqua immobile color blu mezzanotte nel crepuscolo sempre più fitto.

Sulla riva opposta c'erano un masso coperto di muschio, un pino tutto storto e una gru bianca. I loro riflessi si disegnavano appena sull'acqua scura.

La gru ha voltato lentamente la testa bianca e mi ha guardato con un gelido occhio giallo. Ho avuto la fortissima sensazione che un istante prima stessero parlando tra loro (la gru, il masso e il pino), tre vecchi che discutevano di qualcosa di serio, interrotti all'improvviso dalla mia intrusione nella loro conversazione privata.

"Scusate!" Ho borbottato.

La gru, con evidente fastidio, mi ha guardata avanzare di qualche passo. Alla fine ha sbattuto le ali e si è alzata pesantemente in aria.

La parte più alta del sentiero era dominata da un vecchio prugno già in fiore nell'aria fredda dell'inverno. La gru si è appoggiata su uno dei suoi rami ed è rimasta lì a fissarmi, mezza nascosta in quella nuvola di boccioli.

Sulla veranda

La gru mi stava ancora fissando quando sono arrivata alla veranda della casa. Erano quasi le sei e non sapevo se Victor fosse in casa.

Devo ammettere che stavo un po' ripensando a tutta quella faccenda. Avere voglia di prendere a calci nel sedere un ragazzo che ti ha mollata senza ragione è cosa buona e giusta.

Però affrontare un pericoloso spacciatore è tutt'altra cosa.

D'altra parte io ho questo piccolo difetto di fabbrica per cui faccio parecchia fatica a soffrire in silenzio.

Ho suonato il campanello. Non è venuto ad aprire nessuno. Ho provato la maniglia. La porta non era chiusa a chiave. L'ho girata e ho aperto uno spiraglio.

"Victor!".

Nessuna risposta. Ma se fosse uscito non avrebbe lasciato la porta aperta, giusto? Doveva essere a casa. Stava solo facendo finta di non avermi sentito.

"Victor, mi vuoi rispondere?". Niente.

Mi sono messa a camminare su e giù per la veranda, tirando qualche parolaccia. Il Golden Gate Park si allargava sotto di me, con le sue colline e il suo verde e la sua semioscuritá.

Più in là, sopra l'oceano, l'ultimo sole bruciava nella crepa tra il sole e il cielo. La gru sul pugno mi stava ancora guardando.

"Sarà meglio che vada io" ho detto io.

La gru ha aperto il becco come per sbadigliare.

"Non ho chiesto la tua opinione".

La gru ha picchiettato il becco giallo, come per liquidarmi.

"Ah, si?" Ho detto. "Be', va al diavolo".

Ho voltato le spalle all'uccello e sono entrata in casa a passo di carica.

Il Diario di Cathy-  1° libroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora