7. Hey there Delilah - Plain White T's

52 10 0
                                    

Alessio e Andrea non alzarono il gomito e si divertirono tutti - o quasi tutti - e ballarono un po'. Furono a casa prima delle due, come voleva loro padre, e si salutarono. L'unica assonnata era Ginevra, ma a lei non erano mai piaciute quel genere di cose. Infatti, dopo aver indossato il pigiama, si addormentò.

Il giorno dopo si svegliò tardissimo e stranamente sua madre non era venuta a svegliarla, o forse c'aveva provato ma con scarsi risultati. Sapeva che non sarebbe riuscita ad alzarsi neanche se l'avrebbero spinta giù dal letto: avrebbe dormito persino sul pavimento.

Quando lunedì entrò in classe Alessio e Andrea erano già seduti e stavano discutendo e, probabilmente, non l'aveva vista.

«L'hai fatto?! Devi dirglielo!» stava dicendo Alessio all'amico.

«No, non posso... lei è... insomma: come posso dirglielo? Mi prenderà per un pazzo ossessionato.»

«Ossessionato da cosa?» chiese Ginevra, poggiando la sua borsa sul banco.

«Niente di che.» rispose Andrea, sistemandosi nel banco. «Hai scoperto chi ti manda i fiori?»

«Non mi manda i fiori...» si giustificò la ragazza, arrossendo sotto lo sguardo dei due amici.

Le settimane passavano e l'ansia per la fine dell'anno cresceva sempre di più. Avevano già iniziato a studiare per l'esame di maturità.

E ogni sabato Ginevra trovava un tulipano sul banco.

Quel giorno caldo di marzo - erano già passati due mesi da quando aveva ricevuto il CD, e non l'aveva ancora ascoltato tutto - ed era davanti al computer mentre faceva spazio nel cellulare, spostando le foto su una chiavetta USB, quando le squillò il cellulare. Lo prese e lo incastrò tra la spalla e l'orecchio.

«Pro...» non finì di completare la parola che sentì un mugolio sommesso. Staccò il cellulare dall'orecchio e lo guardò. Il nome di Alessio, sotto una foto di loro due assieme, comparve e subito capì tutto. «Alessio, stai... bene?» chiese, timorosa di conoscere la risposta.

«Puoi venire? Io... io sono nel cottage. Ti prego...» si sentiva che non stava per niente bene, e il suo affanno assieme al fatto che stesse gemendo dolorante confermavano ciò che pensava.

Ginevra lasciò il computer acceso, prese il suo giubbotto e corse fuori casa senza avvertire nessuno, con una borsa che aveva sempre pronta per questo. Prese il suo cellulare, che aveva messo in tasca, e si diresse verso la casa dell'amico che era abbastanza vicina e quindi non dovette chiedere a nessuno di accompagnarla. Mentre camminava inviò un messaggio alla sorella inventandosi una scusa e di dire alla madre che non sarebbe tornata per cena.

Quando arrivò a casa di Alessio, dieci minuti dopo la chiamata, aveva il fiato corto in quanto aveva corso per l'ultimo tratto di strada.

La casa di Alessio. Dire "casa" era troppo poco. Era gigante. Una villa a tre piani bianca. La madre era una tale perfezionista ma così simpatica. Il padre un po' di meno... raramente era a casa e, quando c'era, succedeva sempre qualcosa. Si diresse nel retro, oltrepassando il muretto. Era cresciuta in quella casa, sapeva tutte le entrate che poteva sfruttare a suo vantaggio; una di quelle era il muretto basso che c'era quando si faceva il giro della casa, vicino al cottage. La piscina era coperta e le sedie a sdraio, in legno, non erano aperte bensì chiuse e attaccate vicino ai due ombrelloni che svettavano sul prato curato. Arrivò fuori la porta del cottage ed ebbe quasi paura di aprirla; infatti lo fece con timore.

Il cane andò sull'attenti appena la vide entrare e subito dopo si rilassò quando vide che era un viso conosciuto. I pittbull sono spaventosi, ma quello di Alessio sembrava così docile... sembrava, però. Andò verso il ragazzo che, come sempre, era seduto sulla poltrona. Stessa posizione, stessa espressione dolorante, stessa fitta al cuore di Ginevra. Si avvicinò all'amico e gli fece un piccolo sorriso triste prima di appoggiare la borsa sul tavolo.

This is everything I didn't sayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora