2. Distanze

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Gerard era abituato a svegliarsi presto.
    Non che avesse dormito poi tanto. Non era riuscito a chiudere occhio per gran parte della nottata, cadendo poi in un disturbato sonno privo di sogni. Si tirò su a sedere sul letto, poggiandosi con la schiena sui cuscini. La sua nuova camera non gli piaceva. Voleva solo che tutto tornasse come prima, ma a quanto pare non era possibile.
    Sbadigliando allungò una mano verso il comodino alla sua sinistra, ed aprì il cassetto. C'era una scatola, era una vecchia scatola per scarpe, che lui in un momento di noia aveva decorato disegnando strani personaggi sulla superfice con pennarelli neri e rossi. Se la poggiò sulle gambe e lentamente, e solo dopo aver fatto un respiro profondo, sollevò il coperchio.
    All'interno c'erano delle vecchie cose. Dei fogli ripiegati, una penna, un pacchetto vuoto di sigarette, e delle foto. Vecchie foto, di quando all'apparenza tutto andava alla grande. Una foto di lui e Mikey, che sorridevano all'obiettivo, abbracciandosi. Gerard fece una smorfia. Ricordava quell'attimo. Era così tanto tempo fa. Era una vita fa. Era l'undicesimo compleanno del suo fratellino, e lui per l'occasione gli aveva regalato una cesta piena di cd che aveva trovato a prezzi scontatissimi in un negozio di musica in un angolo sperduto di Belleville. Guardò quella foto per qualche minuto, osservando l'espressione allegra di Mikey, il suo sorriso. Ricordava che aveva ascoltato quei dischi un'infinità di volte, con suo fratello, nei giorni che seguirono il suo compleanno.
    Gerard aveva quattordici anni, pesava decisamente troppo e preferiva stare con suo fratello piuttosto che con i suoi compagni di scuola, perché - sospirò ricordandosene - questi ultimi lo facevano star male.
    Pensava che crescendo le cose sarebbero cambiate, che la gente avrebbe smesso di prendersi gioco di lui, o che lui avrebbe imparato a fregarsene, come gli consigliava sempre Donna Way. Ma ovviamente non era così. Non potevi fregartene, quando nessuno a scuola voleva rivolgerti la parola, o non capiva ciò che dicevi. Non era facile vivere con i suoi alti e bassi. Passava dal convincersi di essere semplicemente un pò più intelligente della media - e si diceva che era per questo che i suoi compagni lo chiamavano "strano" - al sentirsi uno schifo totale.
    Lui non era quello che veniva scelto per ultimo per formare una squadra durante l'ora di ginnastica; lui era quello che non veniva scelto mai. Lui era grasso, lui sudava tanto, lui non riusciva a correre.
    Così, era dannatamente bello tornare a casa e passare del tempo con le uniche persone al mondo che lo amavano per ciò che era. Le uniche che lo conoscevano per ciò che era.
    Sospirò ancora, riponendo di nuovo le foto nella scatola.
    Sembrava davvero fosse passato un secolo da allora.
    Guardò l'ora sulla sveglia e decise di scendere dal letto. Il sole splendeva debolmente e l'aria era fresca, così decise che avrebbe preparato la colazione per tutti ed apparecchiato la tavola in giardino.
    Magari, si disse sorridendo a sé stesso mentre cercava nel suo borsone una maglietta pulita da indossare, sarebbe riuscito a rendere questo nuovo giorno migliore del precedente.

    «Ah, finalmente qualcuno che mi da una mano!» sorrise Donna Way vedendo suo figlio intento a sistemare la tavola in giardino. Era tutto pronto, ed ora c'era solo da aspettare che suo padre e Mikey si svegliassero. Li aveva sentiti muoversi al piano di sopra, quindi probabilmente si stavano preparando prima di scendere a fare colazione.
    Gerard sorrise, finalmente quella giornata era cominciata bene.
    Si sedette a tavola, sotto al gazebo nel quale il giorno prima era stato celebrato un altro matrimonio. Sul prato c'erano ancora petali colorati e palloncini bianchi, Donna avrebbe passato la sua giornata a sistemare il tutto, in vista della prossima celebrazione.
    Entrambi si versarono del caffè bollente, e Gerard accese una sigaretta.
    «Pensavo che magari oggi potrei andare a fare un giro con Mikey...» disse dopo aver fatto un tiro «Ieri è stato così strano... sembrava quasi non fosse affatto contento del mio ritorno...» spiegò, riflettendo sull'accoglienza di suo fratello.
    Donna sospirò «Certo che è contento... E' solo... beh, Mikey è cambiato tanto, da quando è successo il fatto...». Gerard fece una smorfia. Ecco come chiamavano il suo tentato suicidio i suoi genitori: il fatto.
    «Beh, anche io sono cambiato...» disse con un filo di acidità della voce.
    Sua madre annuì e sorrise «Lo so, Gerard, e ne sono più che felice...».
    Mikey uscì fuori seguito da suo padre, entrambi avevano l'aria assonnata. Si sedettero a tavola, suo padre taciturno come al solito. Mikey si versò il caffè in una tazza, poi prese una brioche «Non facciamo mai colazione qui fuori. E' una specie di colazione di bentornato per Gerard?» chiese masticando.
    Gerard lo guardò, sollevando un sopracciglio «No, in realtà ho preparato tutto io. Per stare un pò insieme, sai...» disse cercando di sorridere a suo fratello, che in tutta risposta si alzò tenendo la tazza in una mano e la brioche nell'altra.
    «Bell'idea... solo che ora devo andare o farò tardi...» disse facendosi strada per rientrare in casa, nel momento stesso in cui si sentì il suono di un clacson dall'altra parte della villa.
    «Dove vai? Pensavo che potessimo stare insieme, oggi!» fece Gerard, seguendo Mikey.
    Le cose non stavano andando affatto come aveva sperato.
    Seguì suo fratello fino alla porta principale di casa, dove dovette fare delle strane manovre tra tazza e brioche per riuscire ad abbassare la maniglia.
    «Dove stai andando?» chiese ancora Gerard quando lo raggiunse.
    Guardò il vialetto davanti la villa, c'era una vecchia auto accostata. Vide il ragazzino che era con Mikey il giorno prima salutare con un sorriso ed un gesto della mano. Dall'auto proveniva anche il suono dello stereo acceso a tutto volume.
    Mikey scrollò le spalle «Ho un impegno...» disse solo, raggiungendo l'amico. Suo fratello continuava a seguirlo.
    «Ok. Posso venire anche io? O è una cosa stettamente intima tra te e il tuo amichetto?» chiese acido.
    Il più piccolo alzò gli occhi al cielo «Non stiamo andando a divertirci. Ma se insisti tanto, vieni pure.» disse secco, montando in auto.
Gerard annuì, e si sedette sui sedili posteriori.
    «Buongiorno!» esclamò Frank riprendendo a guidare verso una meta a Gerard sconosciuta «Come va?» chiese guardando la strada.
    Mikey non rispose, e Gerard sbuffò «Beh, potrebbe andare meglio, se sapessi perché mio fratello è così acido nei miei confronti...» disse suonando offeso, parlando oltre il volume dello stereo.
    Frank lo guardò dallo specchietto retrovisore, poi guardò Mikey con la coda dell'occhio «Bene... vedo che avete fatto progressi da ieri pomeriggio...» disse ironico. Nessuno dei due rispose.
    Continuarono così per tutto il tragitto, fino a che Frank parcheggiò la macchina sotto un vecchio palazzo.
    «Dove siamo?» chiese Gerard guardandosi intorno, quando scese dall'auto.
    Vide Mikey avvicinarsi al portone della palazzina e fece per seguirlo, ma Frank lo fermò afferrandogli il braccio «No, noi andiamo a fare un giro e torniamo tra un'oretta...» disse sorridendo.
    «Ci vediamo dopo...» salutò Mikey, sparendo dietro il portone.
   
    «Dove sta andando?» chiese Gerard curioso, camminando al fianco di Frank verso l'alto lato della strada, dove c'era una lunga fila di negozi di vario genere.
    Il ragazzino scrollò le spalle. Certo, non toccava a lui spiegare a Gerard i problemi di suo fratello, ma non sapeva cos'altro rispondere.
    «Psicanalista. Due ore a settimana.» spiegò, guardando le vetrine al suo fianco.
    Gerard fece una smorfia, aggrottando la fronte «Psicanalista? E perché?» chiese interessato. Non sapeva che Mikey fosse in analisi. In realtà gli sembrava di non sapere più nulla.
    Frank sospirò. Gli era chiaro che Mikey avesse i suoi problemi nell'affrontare il ritorno di Gerard e tutto il resto, ma si rendeva anche conto che lo stesso Gerard sembrava appena atterrato su un altro pianeta e se i due continuavano di quel passo non avrebbero mai risolto i loro problemi.
    Accese una sigaretta, porgendone una Gerard e poi riprese a camminare «Frequenta uno psicanalista da quando ti ha tirato fuori da quella vasca da bagno.» spiegò in evidente disagio. Era ridicolo che fosse lui a parlargliene, visto che nemmeno lo conosceva.
    L'espressione di Gerard era un misto di confusione, imbarazzo e nervosismo «Credevo mi avesse salvato mio padre...» pronunciò più a sé stesso che a Frank.
    «Lui ti ha trovato, ti ha tirato fuori, è svenuto, ha cominciato a soffrire di attacchi di panico, di ansia, e un pò di cose del genere... e comunque dovresti parlarne con lui, sul serio.» rispose l'altro, cercando di togliersi al più presto da quella discussione.
    «E come faccio? Sembra che ci sia un muro tra me e lui!» chiese Gerard quasi disperato. Quella era una cosa su cui aveva lavorato: imparare a chiedere aiuto al prossimo.
    Anche se il prossimo era un ragazzino che conosceva a malapena ma che sapeva molte più cose di lui. E forse, in realtà, cominciava a dargli fastidio che quello sconosciuto fosse così immerso nella vita di suo fratello, mentre lui sembrava estraneo ad ogni cosa.
    Vide Frank fare una smorfia, guardando ancora le vetrine al suo fianco «Il punto è che voi andate nei centri di recupero, e lì imparate a superare i vostri problemi e a cambiare le cose, e poi tornate a casa e volete che tutto torni come prima che i problemi iniziassero. Ma quelli che restano a casa, quelli che vi hanno visto affondare e sprofondare, devono affrontare il tutto senza l'aiuto di nessuno. Ognuno ha i suoi tempi, e non è detto che se ora tu sei pronto a lasciarti tutto alle spalle, lo siano anche i tuoi parenti, che magari stanno ancora lottando con le ombre del problema che tu gli hai lasciato addosso.».
    Bene, innanzitutto quel Frank aveva qualcosa tipo diciassette anni, quindi Gerard lo guardava con un misto di odio e ammirazione. Insomma, parlava come un adulto e sembrava più saggio e pacato di lui. Però le cose che gli aveva appena detto non erano affatto carine. Assolutamente. Chi diavolo era per star lì a giudicare lui e la sua famiglia?
    Fece una smorfia, lanciando a terra il filtro della sigaretta «E tu che ne sai? Sei la versione nana di un analista o roba simile?» chiese acido. Si, l'idea che un ragazzino ne sapesse più di lui gli dava ai nervi.
    Vide Frank sollevare un sopracciglio «No, sono il figlio di un alcolista, ed ho passato esattamente quello che sta passando tuo fratello ora.» disse secco, entrando in un negozio di belle arti.
    Quella risposta lasciò a Gerard un retrogusto carico di vergogna. Ancora una volta aveva pensato di essere l'unico al mondo con dei problemi.
    Quella sensazione andò via subito, comunque, quando mise piede nel negozio.
Adorava l'arte, in ogni sua forma. E non dava sfogo al suo genio creativo davvero da molto tempo.
    Raggiunse Frank, che stava scrutando alcuni pennelli guardandoli come se non sapesse nemmeno a cosa servissero «Cosa ti serve?» gli chiese sinceramente interessato.
    Il ragazzino sbuffò «Ma che ne so... devo fare una specie di lavoro per il corso d'arte. Roba che non ho davvero idea da dove cominciare... cioè, ho scelto quel corso solo perché sembrava figo, non perché io abbia alcun tipo di capacità grafica... Ed ora mi tocca disegnare non so cosa con non so quali materiali. Dici che se uso dei semplici pennarelli va bene lo stesso?» chiese sorridendo.
    Gerard rise, scuotendo la testa «Puoi disegnare con qualsiasi cosa... ma se è un compito importante, se vuoi posso aiutarti io. Insomma, giuro che me la cavo davvero con questo genere di cose. Frequentavo una scuola d'arte, sai? Prima che succedesse "il fatto" ovviamente...» propose, fiero di sé. Gli piaceva disegnare, gli piaceva da morire, quindi sperava che Frank accettasse la sua offerta.
    Il ragazzino non ci pensò su due volte «Grandioso! Prendi tutto quello che ti serve, senza badare a spese, purché ne venga fuori un lavoro degno almeno di una A!» disse sollevato. Finalmente il pensiero di quel dannato compito per il corso d'Arte poteva accantonarlo, così magari avrebbe potuto  dedicarsi ad altre cose, come qualche partita a qualche videogioco con Mikey e magari anche un pò di tempo con Jamia.
    Sorrise a sé stesso. Magari sarebbe andato da lei nel pomeriggio. Avrebbero guardato insieme un pò di tv e quando il padre di Jamia sarebbe crollato sulla sua poltrona in un profondissimo sonno loro sarebbero sgattaiolati al piano di sopra, in camera sua, e magari sarebbero riusciti a passare alla fase successiva - che al ragazzo sembrava stesse durando decisamente troppo! - al semplice pomiciare toccandosi qua e là. Frank pensava di scoppiare ogni volta che succedeva. Alla fine Jamia non si concedeva mai, e stava diventando una specie di tortura.
    Guardò Gerard che tutto concentrato sceglieva pennelli, colori, matite, e infine anche una grande tela. Pagò il conto e tornò alla macchina, dove mise tutto nel cofano.
    «Bene. Tra quanto devi consegnare il lavoro?» chiese Gerard strofinandosi le mani, palesemente eccitato all'idea di riprendere in mano dei colori.
    Frank ci pensò su «Lunedì. Credi che ce la faremo?».
    «Scherzi? Certo che ce la faremo! Vogliamo iniziare oggi pomeriggio?» propose Gerard entusiasta, guardando Frank in attesa di una risposta.
L'altro ci pensò un pò e fece una smorfia, ma poi annuì. Ok, l'operazione "arrivare al punto cruciale con Jamia" sarebbe slittata ancora una volta.
   
    Quando Mikey uscì dallo studio del suo psicanalista scese in strada e trovò Frank e Gerard seduti in macchina a chiacchierare. Salì a bordo dell'auto, sui sedili posteriori, e richiuse con forza lo sportello.
    «Vedo che avete fatto amicizia...» commentò guardando il suo amico, che in tutta risposta annuì sorridendo.
    «Tuo fratello mi aiuterà con quel cazzo di lavoro per il corso d'arte...» spiegò, accendendo il motore della vecchia macchina che sua madre gli aveva regalato dopo aver messo via risparmi per una vita intera.
    Mikey sorrise. Era forse il primo sorriso di Mikey che Gerard riusciva a vedere da quando era tornato «Prenderai il massimo dei voti allora. E la cosa sarà molto sospetta...» commentò, divertito. Mikey aveva sempre ammirato le grandi doti di suo fratello, e conosceva benissimo le limitate capacità grafiche di Frank. Pensò che sarebbe stato bello poter vedere la faccia della loro professoressa quando Frank le avrebbe mostrato un disegno letteralmente perfetto e palesemente non compiuto da lui.
    Frank scrollò le spalle. L'importante era consegnare quel compito lunedì.
    «Non sapevo fossi stato tu a tirarmi fuori dalla vasca...» disse d'un tratto Gerard, voltandosi verso suo fratello, che automaticamente lanciò un'occhiataccia a Frank.
    Sospirò «Bene, ora lo sai» disse, sperando che la sua voce non tradisse alcun tipo di emozione.

Le tue paure addormentale con me... |!Frerard!|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora