Come reagireste se, d'un tratto, la vostra vita venisse sconvolta dalla guerra e vi ritrovaste intrappolati in terra nemica, costretti a combattere contro la vostra stessa nazione pur di sopravvivere? Questo è ciò che succede a Niat subito dopo aver...
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Mi sveglio in quella che sembra essere una cantina, sdraiato su una lettiga di legno. La stanza è quasi completamente al buio. L'unica luce filtra da alcune crepe nella parete e da una piccola finestrella in alto, nel muro opposto al mio. Attorno a me non vedo altro che un cumulo di casse di legno di varie dimensioni. Mi chiedo cosa ci sia dentro.
L'ultimo ricordo che ho mi riporta al momento in cui sono morto. Perché io sono morto. Non c'è altra spiegazione, lo ricordo bene. La sensazione era proprio quella.
È anche vero che non mi era mai capitato di morire prima d'allora, per cui non posso affermare con certezza che quella fosse la sensazione che si prova al momento del trapasso. Ma è sicuramente andata così. Ho sentito trascinare via dal mio corpo ogni energia, la vista era sfocata e non capivo cosa stesse succedendo attorno finché non ho sentito le fredde mani della morte su di me.
Ma allora perché abito ancora il mio corpo?
Decido di alzarmi per capire cosa mi sia successo, chiedendomi se sia diventato un fantasma, se sia finito in una specie di limbo o chissà cos'altro.
Appena mi sposto per portare i piedi a terra, sento un cigolio: il classico rumore di un vecchio letto quando qualcuno ci si muove sopra. Non mi preoccupo, pensando di essere stato io a causare quel suono. Ma subito ricordo di non trovarmi su un letto, bensì su una lettiga di legno, e il legno non cigola.
Allora cos'è stato questo rumore? Mi alzo in fretta e porto la mano al piede destro, pronto a estrarre il coltello, ma trovo solo la stoffa dello stivale dentro cui ero solito nascondere la lama.
Non vedo nulla nel buio. Avanzo lentamente nell'oscurità portando una mano in avanti, per tastare tutto ciò che non vedo, e l'altra in posizione di guardia davanti al viso. Ormai sono sempre in allerta, dopo gli avvenimenti di questi ultimi mesi.
Mentre cammino, il pavimento scricchiola sotto i miei piedi, nonostante cerchi di non fare rumore. Seguo con lo sguardo il piccolo raggio di sole che entra dalla finestrella e mi accorgo che illumina un vecchio tavolo di legno malandato. Su di esso non v'è nulla, a parte un piccolo piatto d'argento con delle molliche. Cerco di non distrarmi e di proseguire per ispezionare la stanza, quando mi rendo conto di quanto quel piccolo piatto possa essermi d'aiuto in questo momento.
Mi dirigo verso il tavolo, prendo il piatto e mi convinco ancora di più che è ciò di cui ho bisogno. È molto vecchio, sporco e graffiato, ma riflette ancora bene la luce, riesco perfino a specchiarmi perfettamente: ho la barba incolta, i capelli neri ormai lunghi e sporchi, la faccia impiastricciata e gli occhi scuri che scrutano il mio volto malandato. Indosso una camicia bianca, ormai tendente al grigio, per la sporcizia che la copre; delle bretelle marroni che reggono dei pantaloni dello stesso colore, anch'essi sudici e persino lacerati. Probabilmente sono gli stessi vestiti che indossavo quando sono morto.
Dopo essermi specchiato, maledico la mia vanità, ricordando che chi si nasconde nel buio mi sta vedendo perfettamente, sotto il fascio di luce, mentre mi specchio come un cretino, quando fino a pochi secondi prima vagavo per la stanza in posizione di guardia.
Poi ricordo di essere morto: niente può farmi male o uccidermi. Nonostante ciò, decido che è meglio essere prudente. Prendo il piatto e lo alzo sopra la mia testa, tenendolo obliquo in modo tale da rivolgerlo un po' verso la finestra e un po' verso il buio della stanza. Voglio far riflettere la luce fioca per illuminare, anche di poco, la stanza e osservare cosa si nasconde nell'oscurità. Passo al setaccio ogni angolo, e le molliche sul piatto rotolano a terra.
Mentre il fascio di luce avanza, all'improvviso il mio cuore sussulta ferocemente. Lascio cadere il piatto, che precipita a terra accompagnato da un fragoroso rumore. Urlo come un forsennato. Ho appena illuminato un uomo, in piedi, davanti a me. Barba e capelli lunghi, un po' bianchi e un po' grigi. Indossa un cappotto grigio chiaro che arriva fino alle tibie, una tuba rotta in testa, dei guanti lerci e bucati; mi osserva con sguardo maligno, perforandomi gli occhi e il cervello. Lasciato cadere il piatto, però, non lo vedo più. È tornato nell'oscurità.
Cercando di non cadere nel panico, fissando sempre il buio, mi abbasso a riprendere l'argento in mano, per illuminare nuovamente l'uomo. Ma non è più al suo posto. Adesso lo trovo a un palmo dal mio naso, mi guarda con gli occhi spalancati e poi urla: «Bu!» con un sorriso ebete e divertito stampato sulla faccia.
Sul suo viso sporco, oltre al sorriso, aggiungo anche il piatto, battendoglielo addosso con forza.
«Ahia! Ma che fai?» esordisce il tipo.
A causa del colpo, è arretrato di qualche passo, ed è di nuovo immerso nell'oscurità. Non lo vedo più, ma dal modo in cui mi si è rivolto non sembra ostile; se lo fosse stato, già mi sarebbe saltato addosso.
«Che faccio? Mi hai fatto venire un infarto! Non lamentarti se ti ho colpito, anzi, prova ad avvicinarti ancora e lo rifarò. Stavolta ti ammazzo, lo giuro!»
Il tizio inizia a sghignazzare, avvolto nell'oscurità. Una risata da idiota ma che nel buio risulta così terrificante da provocarmi brividi e pelle d'oca su tutto il corpo.
«Cosa vorresti fare? Uccidermi?» chiede prima di riprendere a ridere.
Sento che si avvicina, i suoi passi sono pesanti. Arretro lentamente, ma alle mie spalle trovo il tavolo a ostacolarmi. Ci salto sopra: da qui sarò in vantaggio, se l'uomo dovesse provare ad aggredirmi.
Passo dopo passo, lo sconosciuto viene lentamente irradiato dal fascio di luce. Quando il suo volto è ben illuminato, posa i suoi occhi su di me e subito smette di ridere. Poi, in una maschera di austerità, inizia a parlare: «Vuoi uccidermi? Fai pure. Dimmi solo come pensi di fare.»
«Ti spacco questo piatto in testa finché non ti apro il cranio. Ti piace l'idea?»
Lui allarga le braccia. «Oh, prego! Sono curioso di vedere se ci riuscirai» dice scoppiando in una nuova risata, più idiota della precedente e anche più finta, poiché all'improvviso la interrompe per guardarmi con occhi perfidi e riprendere il discorso a denti stretti: «Dato che sono già morto.»
Ehi, non andare via! Scrolla fino basso e premi il tasto per leggere il prossimo capitolo!
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