We can't do anything

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La luce che filtrava dalla finestra era accecante.

-Sta aprendo gli occhi- Una voce dolce e femminile le entrò nelle orecchie, riconoscendola; era sua mamma.
Aprì lentamente gli occhi, richiudendoli dopo che si accorse quanto era forte la luce.
Sentì il rumore delle tapparelle abbassarsi permettendogli di aprire gli occhi così da far dilatare le pupille.
Mugolò qualcosa prima di poter mettere a fuoco la stanza.
Si trovava in ospedale, lo aveva capito dall'odore di disinfettante, il soffitto bianco e gli altri tre letti che si trovavano nella stanza con accanto un comodino e qualche sedia.
Era circondato dai genitori, Arianna, Michele e Gabriele.
Questi ultimi avevano le camicie sporche di sangue.
-Cosa è successo?- Sussurrò prima di essere circondato dalle braccia della madre.
-Mio Dio, Lele, ci hai fatto spaventare.- La donna iniziò a piangere preoccupata.
-Mamma, mi sta facendo male- Sussurrò stringendo i denti e strizzando gli occhi prima di esser lasciato.
Guardò meglio i ragazzi, due enormi occhiaie segnavano i loro volti, gli occhi erano gonfi e le camicie dei ragazzi erano macchiate, soprattutto quella del suo migliore amico che si stava trattenendo dal non continuare a piangere.
Arianna invece era vestita normale, ma aveva comunque gli occhi stanchi, troppo.
Probabilmente non aveva chiuso occhio niente quella notte.
-Cosa mi è successo? Perché sono qui?- Aiutato dal padre riuscì a sollevarsi dal letto mettendosi seduto.
-Hai avuto in incidente al ritorno della discoteca, ma non è niente di grave, almeno tu.- La voce di Arianna era a pezzi, a momenti sarebbe scoppiata a piangere. Gabriele le mise un braccio attorno alla vita stringendola a se.
-Vai a vedere se Andreas è riuscito a calmare Lucas- Sussurrò il suo migliore amico alla ragazza prima di darle un bacio sulla fronte -Poi ti raggiungo- Concluse, vedendo poi la ragazza sorridergli e sparire dietro la porta.
-Lucas?- Lele alzò un sopraciglio guardando i ragazzi.
-Non ti ricordi niente di ieri sera?- Michele si sedette nella sedia.
-Mi ricordo che Elodie mi ha detto "Qualunque cosa accada, ricordati che ti amo, che non ho mai smesso di farlo. Che lo farò sempre" poi niente-Ammise il moro guardandosi poi le nocche fasciate ed accorgendosi di avere un cerotto nella tempia.
A Gabriele cedettero le gambe, ed in una frazione di secondo si ritrovò a terra con le mani nei capelli a piangere.
-Si era accorta di tutto, lo sapeva, perché cazzo non ha detto nulla!-Diede un forte calcio ad una sedia davanti a lui rovesciandola, ringhiando dalla rabbia e dalla tristezza.
-Gabriele non fare niente se non vuoi essere sbattuto fuori dall'ospedale-Michele era serio, silenzioso, i suoi occhi erano bassi, non sembrava neanche lui.
-Continuo a non capire, mi dici perché parli così?- Lele lo guardava serio, aggrottando le sopraciglia, aveva alzato leggermente la voce.
-Sai di chi è questo sangue?-Gabriele si era alzato in piedi furioso, gli occhi rossi, le iridi trasparenti tutto spettinato, si stava indicando la camicia -È di Elodie, lei è al secondo piano di questo fottuto ospedale, con Lucas che gli piange accanto. Adesso ti chiederai perché vero? Stavamo per perderla. I medici l'hanno rianimata e fatto una trasfusione urgente di sangue perché non ne aveva più in corpo, l'hanno operata, quattro ore di intervento, l'auto che si è schiantata violentemente su di voi le ha distrutto il bacino, e altre parti del corpo, un rene non le funzionerà più per un bel po', il stomaco ha subito un trauma, non accetterà più nessuna forma di cibo per un po'. Ora è in coma per miracolo. I medici hanno scoperto che è cardiopatica, le danno dieci giorni di vita massimo, e se resiste è soltanto grazie al respiratore che la tiene in vita, glielo vogliono staccare. Non hai capito? La tua ragazza tra pochi giorni morirà, e non possiamo fare niente per salvarla. Un cazzo di niente! Niente di niente ... perché non facciamo miracoli - Dopo aver urlato furioso facendo affacciare alcune persone nella stanza, si poggiò nel muro cadendo lentamente a terra piangendo ancora più forte.
Michele si alzò cercando di sollevare l'amico da terra.
-Andiamo a prendere una boccata d'aria Gabri -Sussurrò prendendolo sotto braccio Gabriele e portandolo via lanciando un occhiata al padre del moro, che farfugliò un "ci penso io".
L'uomo si voltò verso il figlio.
Lele era a pezzi, gli occhi fermi guardando il vuoto totale iniziarono a diventare lucidi, il battito accelerato.
Non sentiva neanche più la fitta che aveva alla testa.
Ora la fitta era dritta al cuore.
Si alzò dal letto scalzo e uscì di corsa dalla stanza senza dare il tempo al padre e la madre di fermarlo.
Urtò contro un infermiera rovesciando le lenzuola bianche, continuò a correre entrando di corsa nell'ascensore e premendo più volte il tasto "2" mentre le porte si chiudevano.
Si fermò a prendere fiato iniziando a ricordare leggermente il momento in cui lo caricarono in ambulanza ed Elodie veniva rianimata.
Le porte si aprirono, si trovò davanti un lungo corridoio deserto.
Iniziò ad aprire ogni porta della stanza richiudendola senza dire niente quando si accorse che al suo interno non c'era la ragazza che cercava.
Dopo una decina di camere trovò quella giusta.
Aprì la porta sentendo una voragine di malinconia attraversarlo.
La stanza era più piccola di quella dove stava lui precedentemente, il letto era solo uno, ed accanto a quest'ultimo c'erano diversi macchinari e antibiotici collegati a dei tubi.
Quei tubi portavano al magro corpo di Elodie.
Due enormi occhiaie le contornavano le palpebre, quelle labbra rosse che aveva passato ore a baciare con la scusa di volerle idratarle dicendo che le vedeva secche, quelle che sembravano ogni volta implorargli di posarle sulle sue, quelle due soffici e morbidi labbra che morsicava ogni volta che le baciava con foga, e che permettevano alla sua lingua di entrare nella bocca della ragazza non erano più color ciliegia. Erano bianche. Poteva vederlo nonostante la mascherina verde trasparente le copriva insieme al naso.
Il finissimo braccio dove la notte prima Fabio aveva infilzato le unghie era bucato da un piccolo ago.
La camicetta da notte candida che indossava era mezzo sbottonata e lasciava intravedere il petto, alla quale, erano attaccate tantissime ventose. Il respiro, glielo alzava di qualche millimetro a ritmo lento in un movimento impercettibile.
Non aveva reggiseno, e sul seno destro una ventosa più grande era attaccata, sopra il cuore, con un tubo che portava alla macchinetta che segnava i battiti.
E al di sotto era completamente fasciata, la fasciatura finiva prima dell'ombelico, poteva vederlo dai buchetti tra un bottone el'altro. Era dannatamente magra, troppo magra, sembrava quasi anoressica.
Da sotto l'ombelico era coperta dal lenzuolo.
Si avvicinò al corpo sotto gli occhi gonfi e rossi di Lucas che continuava a piangere disperato con accanto Andreas, che cercava di risucchiare le lacrime mentre lo abbracciava, sollevando poi il tessuto bianco chiedendosi solo dopo aver visto cosa c'era con quale coraggio l'aveva fatto.
Una scia di punti cucivano la pelle della ragazza per un fianco, passando poi sotto la cicatrice del cordone ombelicale andando verso l'altro fianco, ma fermandosi di punto in bianco, lasciando poi la pelle di nuovo liscia e cadaverica.
E sotto quell'enorme taglio poteva vedere il gesso scendere, fin sotto il pantalone largo e il resto delle lenzuola.
Ricoprì con il lenzuolo dove aveva lasciato la pelle prendere un pizzico di luce.
Riprese a guardarle il petto, ancora gli sembrava impossibile, quel cuore che sentiva sempre battere quando dormivano insieme che lo aiutava ad addormentarsi. Quel cuore che sentiva ogni volta che lei lo abbracciava e teneva stretto a se ogni volta che lo vedeva triste o in lacrime. Quel cuore, quel muscolo che a momenti batteva troppo forte, facendo sentir male la ragazza a momenti era malato, e lui aveva sempre dato colpa agli undici kilogrammi che la ragazza non riusciva a prendere.
Non se ne era mai accorto che il problema era un altro. Lo sapeva ora che era troppo tardi.
Sentiva solo che era tutta colpa sua.
Se non avesse dato retta agli occhi della quale si era innamorato quella mattina calda di Maggio di due anni prima in quel momento Elodie non sarebbe stata lì.
Spostò lo sguardo verso la macchina che mostrava i battiti del cuore.
Una linea bianca si alzava di poco, creando un corto e acuto suono.
Quel rumore si risentiva dopo troppi secondi per lui.
-Vattene via Lele- Lucas lo stava osservando con degli occhi ridotti a due fessure, non aveva neanche più voce.
-Non me ne vado-Spostò lo sguardo dal macchinario sul volto della ragazza.
-Ti ho detto di andartene! Non ti voglio vedere mai più! Non capisci che è tutta colpa tua? Tua e della tua stupidaggine! Se mia sorella sta morendo è tutta colpa tua!-Si era alzato e stava urlando puntando il dito verso il moro.
-Non è stata colpa sua Lucas! Smettila di incolparlo!-Arianna si era messa davanti ai due, e guardava Lucas che si era riseduto nella sedia, prendendo la mano fredda di Elodie.
Il moro continuava a stare fermo, le lacrime gli rigavano il viso, stringeva i pugni, il sangue gli pulsava nelle tempie.
Aveva voglia di prendere la ragazza e stringerla tra le sue braccia, di staccare tutti quei fottuti macchinari e portarla via, portarla a casa, al caldo, sotto il suo piumone, con Black seduto accanto al letto, con le orecchie basse, aspettando che i due lo calcolassero.
Anche se era certo che non stava simpatico a quella enorme nuvola di pelo.
Elodie gli aveva raccontato che lo aveva trovato quando aveva quattordici anni in strada quando era solo un cucciolo di pochi giorni, era inverno, e il cucciolo di Siberiano bianco tremava come una foglia dal freddo e dalla paura.
Lei era riuscito a portarlo a casa e lo aveva cresciuto.
Ed era peggio di una guardia del corpo nei suoi confronti, non sapeva chi era peggiore tra lui e Lucas.
Sembrava un essere umano, sapeva aprire la porta e richiuderla, portare ogni cosa che gli chiedevi, perfino cambiare i canali della TV.
Gli mancava solo cucinare, stirare e parlare. Perché ormai era certo che se glielo avessi chiesto ti avrebbe fatto anche la spesa. Ormai stando sempre con i ragazzi sapeva perfino accendere la lavatrice e metterci i capi dentro.
L'unico problema delle sue faccende domestiche era che toglieva la roba asciutta dagli stenditoi a morsi, distruggendo il bucato, e le mollette.
Si ricorda benissimo che la prima volta che era andato a casa della ragazza invitato a cena era stato proprio Black ad aprirgli la porta.
Ricordava ancora quando al posto della sua ragazza aveva trovato quelle enorme massa di pelo che se si metteva a due zampe quasi lo raggiungeva in altezza, bianco come la neve ed il pelo lucido e spazzolato con il collare nero, che lo aveva squadrato dalla testa ai piedi alzando un orecchio come per dire "E tu saresti il famoso Lele? Quel ragazzo della quale Elodie si è innamorata? Sparisci, mi stai già sul cazzo solo perché ci stai insieme, lei è mia" e infine si era voltato chiudendogli la porta in faccia lasciandolo fuori, con i fiori in mano, come un pirla.
E si ricorda ancora quando la sua ragazza gli aveva aperto la porta e alla domanda verso il cane "Sei geloso di Lele, vero Black?" lui se ne era andato via quasi sbuffando con la coda alta e si era seduto nella sua cuccia, quasi ringhiando, "Quindi mi hai chiuso la porta perché eri geloso eh? Mi dispiace cane, ma ora me la bacio pure la tua padrona, lei è la mia ragazza, non la tua" e pensato ciò l'aveva fatto, vedendo poi l'enorme testa di quella massa di peli voltarsi dall'altra parte.
Erano peggio di suocero e genero.
Una volta ci aveva pure parlato, seduto nel divano, Black si era portato la cuccia davanti a lui e ci si era seduto sopra per controllarlo, Elodie era sotto la doccia. Ed alla fine erano pure diventati amici, dopo che aveva dovuto dire al cane che non avrebbe mai fatto soffrire la ragazza, che capiva quanto lui ci teneva perché anche lui l'amava e cose così. E Black gli aveva messo la testa sotto la mano per farsi accarezzare.
E quando doveva andare a casa e lui gli apriva la porta non gliela richiudeva in faccia.
La porta si aprì e ne entrarono Gabriele e Michele. Lele si era seduto nel bordo del letto non riuscendo più a stare in piedi.
-Noi ce ne andiamo, credo che torneremo stasera- Gabriele stava zitto, si avvicinò ad abbracciare Lucas che ancora piangeva, dare una pacca sulla spalla ad Andreas, abbracciò pure Lele chiedendogli scusa per come si era comportato prima, e accarezzò la fronte di Elodie, sussultando quando si rese conto di quanto era fredda.
-Vieni con noi Ari?-La voce di Gabriele era bassa, quasi come se non ne avesse più.
La ragazza annuì andandosene via mano nella mano con il ragazzo dopo aver abbracciato anche lei tutti.
-Andre vieni con noi?- Michele era ancora appoggiato alla porta.
-No, rimango qui, grazie comunque- Non si voltò neanche a guardarlo in faccia.
Era rimasti solo loro tre.
-Dai Lucas, andiamo a pranzare a casa, non hai neanche fatto colazione- Andreas tirò su il ragazzo che non aveva neanche più le forze di rispondere, tanto aveva pianto e urlato dalla tristezza e rabbia, e il sonno non l'aiutava.
Andreas voleva aiutarli, almeno ad accennare un sorriso.
-Pensa se sta sognando, te lo immagini? Tantissimi angeli nudi, in mezzo a tanta gente nuda e Black che gli morsica il sedere, ti ricordi quando aveva visto me in mutande e a momenti mi mangiava vivo puntando al mio Willy, perché Elodie era in casa e poteva vedermi?-
Vide per qualche secondo i due sorridere, sorridendo a sua volta.
-Lele vieni anche tu?-Lucas si era fermato, e aveva guardato Lele, facendo finta che quello che aveva detto prima non fosse mai successo.
-No Lucas, sto qui, riposati-Si voltò verso di lui sedendosi poi nella sua sedia.
-Come vuoi-
Ora erano solo lui ed Elodie.
Intrecciò la sua mano a quella della ragazza, rialzandosi e sdraiandosi accanto a lei, mettendole un braccio attorno alle spalle e la mano che le accarezzava il viso. Baciandole poi la fronte. Gli sembrava morta, se non fosse stato per il petto che si alzava e abbassava di poco lentamente.
-Non mi lasciare, ti prego, ho bisogno di te fino alla fine- Sussurrò mentre le lacrime gli continuavano a scendere involontariamente dal suo viso.
- Se non vuoi farlo per me che sono il tuo ragazzo, fallo almeno per Lucas che è tuo fratello, non puoi lasciarlo anche tu, per favore, cerca di svegliarti, apri gli occhi il prima che puoi- Con il polso si asciugò le lacrime che continuavano a scendere.
-Te la ricordi quella casa che abbiamo visto in centro città? Quella con quell'enorme giardino, dove ti sarebbe piaciuto tanto vivere, te la ricordi? Quando ti sveglierai, la compreremo e ci andremo con anche Black a vivere. Ci sposeremo, passeremo la notte nel nostro letto matrimoniale, insieme a fare l'amore. Avremo un bambino, due, dieci, cento, anche mille se ne vuoi, mille bambini con i miei occhi e il tuo sorriso che ci saltano nel letto per svegliarci. Invecchieremo insieme davanti al caminetto, vedremo i nostri bambini crescere e andare via di casa, e noi rimarremo sempre lì a guardare il tempo scorrere. Perché tu meriti di vivere, non di morire-Altre lacrime salate scendevano dal suo volto mentre continuava a ad accarezzare la guancia della ragazza.
-Ho sbagliato tanto nella mia vita, con tutti i miei difetti, il mio stupido carattere arrogante e irascibile, i miei pensieri sull'amore. E poi sei arrivata tu, sei entrata da quella porta della classe silenziosamente, come sei entrata nel mio cuore. Non meritavo di essere amato, non meritavo neanche te. Ogni tanto mi chiedo sempre perché hai scelto me tra tutti i ragazzi che ti mettono gli occhi addosso senza che tu nemmeno te ne accorgi. In due anni non sono mai riuscito a trovare una risposta a questa domanda. E io ti amo più di me stesso, anche se non te lo dicevo quasi mai. E se te ne vai ora io non so come posso sopravvivere senza di te. Svegliati, perché se non lo farai io me ne vado con te. -Baciò la guancia della ragazza notando una piccola lacrima nel suo volto. Allora lo sentiva davvero.
Si addormentò accanto a lei per qualche minuto.
La porta si aprì e il ragazzo scese di corsa dal letto finendo in piedi, ma continuando a stringere la mano della ragazza.
Un uomo in impermeabile era nel ciglio della porta, i capelli erano bianchi, la barba leggermente lunga. Sembrava Lucas da grande.
-Lei sarebbe?- Lele guardò l'uomo un po' intimorito.
-Sono suo padre- La voce era grossa.
Al moro gli si gelò il sangue, si trovava davanti quel grandissimo pezzo di merda. Non lo aveva mai visto, poteva pure sembrare una brava persona, se solo non avesse saputo quello che aveva fatto. Si voltò di scatto verso la ragazza quando ebbe la sensazione che anche se debolmente gli stesse stringendo la mano.
Doveva mandarlo via.
-Lei non si può neanche chiamare padre-Strinse più forte la mano della ragazza.
-Tu saresti?-L'uomo aggrotto le sopraciglia.
-Il suo ragazzo- Disse deciso e determinato guardando poi l'uomo ridere.
-Ha scelto proprio male, non le potrai mai dare quello che merita-
A quelle parole Lele strinse ancora più forte la mano della ragazza. Il sangue gli era salito al cervello alle parole dell'uomo.
-Lei ha direttamente abbandonato Elodie e Lucas, lei non c'era quando loro avevano bisogno di un padre. Lei non merita neanche dei figli come loro. Non dovrebbe neanche stare qui, perché non c'è mai stato per loro, e non merita neanche di essere chiamato uomo, perché io se avrei dei figli e perdessi mia moglie non scapperei dai miei problemi come un vigliacco, rimarrei con loro, che forse soffrono più di me, e sa che cosa le dico? Se solo si avvicina alla mia ragazza la riempio di botte-
L'uomo iniziò a camminare dritto verso di sé, avvicinandosi sempre di più a lui.
-Scusami Lele se sono arrivato tardi, ma Black ... -Lucas smise di parlare quando il signore davanti a lui si voltò guardandolo.
-Lucas!-Si avvicinò al ragazzo come per abbracciarlo, ma si scansò.
-Perché sei qui? Come ci hai trovato?- Lucas affiancò il moro continuando a guardare l'uomo davanti a lui, avrebbe voluto ammazzarlo con le sue stesse mani.
-Non ci ho messo molto a trovarvi, Lucas, non c'è stato giorno che non ho pensato a te e tua sorella, mi siete mancati da morire, voglio che ricominciamo a stare tutti insieme, come una famiglia, per prendermi cura di voi- Gli occhi erano lucidi, come se si fosse commosso alle sue stesse parole.
-Sta dicendo solo stronzate, io giuro che se non se ne va via l' ammazzo con le mie stesse mani!- Lele stava per andargli incontro quando Lucas gli mise una mano sul petto fermandolo.
-Non farlo, o finiremo nel torto, ci penso io- Lucas sembrava calmissimo in confronto al moro che si risedette nella sedia, riprendendo la mano della ragazza che per qualche minuto aveva lasciato, ribaciandola vicino all'orecchio per sussurrarle un "Stai tranquilla amore, ti proteggo io".
-Noi non siamo più una famiglia, e non lo risaremo, ed ora ti vuoi prendere cura di noi? Ora che siamo entrambi maggiorenni? Sei arrivato troppo tardi John, zia Dafne ha la nostra tutela. E a casa non puoi più entrare, ora puoi anche andartene, non abbiamo bisogno di te-
John strinse i pugni abbassò lo sguardo.
-Cacciato via di casa dai miei stessi figli, non finirà qui Lucas, puoi starne certo.- Detto questo, lanciò un ultimo sguardo alla ragazza, uscendone dalla stanza.

I'll be back || Lele Esposito e Elodie Di PatriziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora