Città senza centro

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-Stai fermo.-

-Sono fermo.-

-No.-

-Sì.-

-Non è vero, continui a muoverti e a cambiare posizione.-

Roger sbuffò ridacchiando, appollaiato sulla poltroncina dove aveva deciso di accomodarsi mentre io avrei realizzato un suo ritratto: non riusciva a restare nella stessa posizione per nemmeno dieci minuti di fila, costringendomi ad aggiustare di continuo il disegno senza mai poter giungere a una versione definitiva.

-Ecco, lo vedi? Lo hai fatto di nuovo!- gli feci notare leggermente innervosita.

-Come?! Una mano! Ho mosso solo una mano!- protestò, continuando a gesticolare. Persi la pazienza.

-Ma dannazione, Roger Taylor!- gridai sbattendo una mano sulla scrivania. –Possibile che tu non sia in grado di assumere una posizione e mantenerla per... il tempo necessario a che io la fissi sul foglio?- lo fissai senza riuscire a trattenere una risata, sebbene in realtà volessi dare l'impressione di essere serissima.

-Scusami, stavo scomodo.- si giustificò accavallando le gambe e risistemandosi sulla poltrona.

Aveva insistito lui affinché lo ritraessi, e fin da principio lo avevo avvertito che sarebbe stata una faccenda piuttosto lunga, e che pertanto sarebbe stato utile a entrambi che lui assumesse una posizione comoda già in partenza. Roger mi aveva dato ragione, assicurandomi che avrebbe fatto del suo meglio, ed eccolo di nuovo immancabilmente a fare di testa sua: si era seduto sulla poltrona, poi aveva incrociato le braccia, quindi le aveva posate sui braccioli, aveva girato la testa a sinistra, era tornato in posizione frontale, s'era voltato verso destra; aveva accavallato le gambe, si era seduto a gambe incrociate, aveva appoggiato il mento a una mano, poi all'altra, il tutto nel giro di un paio d'ore, durante le quali a ogni suo movimento non avevo potuto fare a meno di chiedergli di stare fermo.

Ora si era poggiato allo schienale della poltrona, teneva le mani in grembo, con le dita intrecciate, il volto leggermente inclinato verso il basso; sul suo viso era dipinta l'orgogliosa consapevolezza del suo comportamento irritante.

-No, non eri proprio così, prima...- commentai scuotendo il capo, mentre spostavo freneticamente lo sguardo da lui al disegno.

-Prima quando?- ebbe il coraggio di chiedermi.

-E che ne so! Ti sei mosso tante di quelle volte. Aspetta, forse mi ricordo.- mi alzai e andai verso di lui per riaggiustare la posa, ma non appena sfiorai il suo braccio immediatamente si voltò, mi afferrò per una mano e mi trasse a sé.

-Credi di poter sistemare tutto con un bacio?- mormorai a pochi millimetri dalle sue labbra.

-Vediamo... ora come ti senti?- sussurrò con aria sarcastica dopo avermi baciata.

-Che razza di...- sibilai, ricambiando il bacio di poco prima. –Ruffiano.- conclusi.

Ridemmo entrambi: era stato così da sempre, sapeva farmi disperare con gli stratagemmi più fantasiosi, quasi a voler mettere alla prova il mio amore per lui, e ogni volta che raggiungevo il punto critico, trovava sistematicamente il modo di farsi perdonare, e di apparire indispensabile nella mia vita. Lo era stato, non aveva mai smesso di esserlo: quegli anni senza di lui erano trascorsi come se avessi vissuto la vita di un' altra, l'immagine sbiadita di me che fingeva di averlo dimenticato, di aver sepolto il suo ricordo in un posto ben remoto e profondo della mente, troppo sicura di me per poter anche soltanto immaginare di incontrarlo di nuovo. E invece era accaduto, e questa volta non solo non l'avrei lasciato andare, ma io non sarei scappata, non avrei rifuggito di nuovo la mia vita, quella che avrei vissuto accanto a lui. La mia vita, una vita nuova, quella che già avrei dovuto vivere anni prima, se solo non ne avessi avuto una paura tremenda. Ma molto probabilmente, adesso sarei stata in grado di affrontarla, insieme a lui.

Love, Hope and ConfusionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora