Prologo

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Quattordici anni prima...

La piccola capiva poco in quell'istante.
Sapeva solo che la mamma non era venuta a prenderla all'asilo.
E questo era molto strano.
Annabeth continuava a chiedersi se avesse fatto qualcosa di male. La mamma spesso le diceva che l'avrebbe lasciata lì se non si fosse comportata bene.
Poi, ad un certo punto, era arrivata una strana signora.
Aveva fatto vedere alle sue maestre una cosa nel portafoglio.
Le maestre le si erano avvicinate, con le lacrime agli occhi, le avevano detto che non avrebbe visto i suoi genitori per un po' di tempo. Non mai più, solo per un po' di tempo. Solo una piccola, innocente bugia, per una piccola ed innocente bugia.
Dopo le avevano chiesto di andare con quella strana donna.
In un primo momento Annabeth rifiutò. La mamma le diceva sempre di non fidarsi degli sconosciuti.
E poi non le piaceva la donna. Aveva fatto vedere una cosa alle maestre e le aveva fatte piangere. Davvero una brutta persona.
Ma non ebbe scelta, quando la signora le prese la mano e la condusse fuori dall'asilo, in una macchina.
E

ora si trovava lì, in quell'enorme stanza bianca.

Non era da sola. C'erano anche altri bambini, ma piangevano tutti. Tranne uno.
Stava sdraiato per terra a pancia in sotto, a giocare con delle macchinine.
Annabeth si avvicinò. Voleva fare amicizia con quel bambino.
-Come ti chiami?- chiese la bambina.
-Percy- rispose il bambino, lasciando la macchinina e mettendosi seduto.
Guardò Annabeth negli occhi, con i suoi con quella strana sfumatura di verde. Quella stessa sfumatura che, anni dopo, avrebbe amato con tutta sè stessa, che avrebbe reso quel bambino inconfondibile.
-Io sono Annabeth. Perché siamo qua?- continuò ancora.
-Perché mia mamma e mio papà, e tua mamma e tuo papà si sono fatti tanta bua.                              Così tanta innocenza in quelle parole, così poca realizzazione per quello che aveva vissuto e per quello che avrebbe vissuto da lì a pochi giorni.
-Ohhh- disse la bambina, portandosi le mani alla bocca.
-Hanno messo a tutti un cerotto?- chiese ancora, inconsapevole della verità.
-Penso di sì.- rispose il bambino.
-Percy, io ho paura. Se la mamma e il papà si sono fatti la bua, chi si prenderà cura di me?-chiese ancora la bambina, troppo curiosa, o semplicemente troppo intelligente per la sua età.
-Non ti preoccupare, ci sono io che ti aiuto.- rispose il bambino - Ti proteggerò dai cattivi.- continuò.
Poi fece una cosa che aveva visto fare una volta da suo padre, rivolto alla madre.
Le prese le piccole manine cicciotte nelle sue, le baciò e poi disse:-Per sempre. Te lo prometto.

***

Li separarono quei bambini che avevano legato in quel piccolo ambulatorio.
Annabeth venne portata in una casa famiglia, per un paio d'anni. Non si legò a nessuno, però. Che senso aveva legarsi con qualcuno che, forse, se ne sarebbe andato il giorno dopo?                               Era una bambina, certo, ma non era stupida. Quando divenne più grande venne portata in una famiglia affidataria, poi un'altra, e un'altra ancora. Imparò presto ad odiare il mondo, ad odiare il  destino che tesseva la trama della sua vita in modo così complesso.                                        
Imparò presto a non fidarsi di nessuno, a non illudersi.
Eppure lei se la ricordava, quella promessa. Si ricordava di lui, di quel bambino.

***

Il destino di Percy non fu poi così diverso.
Ma lui, a differenza di Annabeth, si adattò più facilmente, e visse l'infanzia e l'adolescenza in modo più felice, nonostante lo spettro di suo padre lo perseguitasse ogni notte.
Ma lei no, non la considerava una persecuzione.
Era la sua salvezza.

***

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