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Era arrivato il momento di tornare a casa.
Annabeth aveva preparato le valigie e sistemato la stanza.
Bussò all'appartamento di Percy, come di comune accordo avevano stabilito.
Avevano anche deciso che non avrebbero smesso di frequentarsi, nonostante Annabeth abitasse a Roma e lui a Firenze.
Bussò varie volte, ma nessuno aprì la porta.
Aspettò, finché Jason non la venne a chiamare per dirle che era ora.
Se ne andò, con un vuoto dentro che non aveva la minima intenzione di riempirsi da solo.

***

Percy maledì quella giornata, con tutto se stesso.
Era passato dal gioielliere per ritirare il braccialetto che aveva fatto fare per Annabeth.
Ma il padrone non lo trovava.
Avevano perso mezz'ora solo per trovarlo, poi un quarto d'ora per incartarlo.
E poi ci si era messa anche la macchina che, senza nessun motivo apparente, aveva deciso di fermarsi in mezzo alla strada.
A nulla erano valse le imprecazioni di Percy, sapeva di essere in ritardo.
E non voleva far del male alla ragazza che avrebbe dovuto proteggere.
Un'occhiata all'orologio gli rivelò che era in ritardo di tre quarti d'ora.
Corse a più non posso fino a casa, in tempo per vedere l'auto di Jason che scompariva all'orizzonte.

***

Annabeth pianse.
Anche se non lo diede a vedere, o almeno questo era quello che pensava.
Non si era accorta dello sguardo pensieroso di Piper che, avendo capito ogni cosa, scuoteva la testa lentamente.
E anche Piper non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a sbagliare così. Come aveva potuto permettere a Percy di avvicinarsi così tanto ad Annabeth?

E Annabeth, tra un pianto e un sospiro silenzioso, si chiedeva la stessa cosa.

Arrivarono a Roma.
Scese dalla macchina, corse immediatamente nel suo appartamento.
Iniziò a mettere in ordine freneticamente le cose nella valigia, fin quando Piper non entrò in camera, guardandola e continuando a scuotere la testa.
-Si può sapere che ti ha fatto?-domandò Piper. Annabeth non si confidava mai quando si trattava di Percy.
Ma Piper non sapeva che la ragazza lo faceva perché così le sembrava che i bei momenti passati con Percy restassero un po' più loro, che rimanessero più unici e indimenticabili.
-Avevamo un appuntamento. Perché non è venuto?-sussurrò Annabeth.
-Si sarà dimenticato.-rispose la ragazza bruna.
-No!- urlò Annabeth. Se c'era una cosa che sapeva su Percy era che non si scordava le cose.

***

Percy era tornato a Firenze con Nico e Will.
Già, perché anche Will era di Firenze.
Aveva passato i primi due giorni dal suo ritorno a pensare ad un modo per farsi perdonare.
Ma era stato Nico ad aiutarlo veramente.
Il pomeriggio del terzo giorno, era entrato in salotto, stufo di vedere Percy mangiarsi le unghie:-Amico, bisogna che ti dai un'aggiustata.
Sembri una mummia. Imbalsamata.
-Le mummie sono imbalsamate- aveva ribattuto Percy.
-Non è detto che tutte lo siano. O che lo siano completamente.
-Nico, non sono dell'umore adatto adesso.
-Percy, partendo dal presupposto che sei un idiota...
-Ti ho detto almeno mille volte che non è dipeso da me!
-Allora diglielo.
-Ci provo da due giorni.
La chiamo ogni quarto d'ora. Le mando messaggi che legge sempre, cui non risponde.
Non so che altro fare.
-Stupiscila.-aveva risposto Nico.
-Stupiscila.-aveva risposto Nico.
E quel semplice consiglio continuava a ronzare nella testa di Percy.
Divenne il suo mantra.
Decise di smetterla con i messaggi. Con le chiamate. Con tutto.
Prese la macchina, riparata.
Direzione Roma.

***

Annabeth era nel suo appartamento. Aveva le cuffie nelle orecchie, cantava a squarciagola, con i capelli ancora bagnati per la doccia fatta da poco.
Ad un certo punto si tolse le cuffie, per attaccare il phon alla presa della corrente.
E lo sentì.
Sentì il campanello suonare all'impazzata.
Pensò che qualche ragazzino avesse bloccato il pulsante con lo scotch.
Uscì dall'appartamento senza neanche guardare se ci fosse qualcuno allo spioncino.
E fu così che si ritrovò davanti Percy che non aveva la minima intenzione di essere ignorato ancora.
La prima cosa che fece fu tirargli un pugno nello stomaco, che non lo mosse di un millimetro.
Continuò allora a colpirgli il petto, fino a quando il ragazzo non la prese su di peso e non la portò nell'appartamento.
-No, vattene!- continuava a dirgli Annabeth. E Percy continuava ad ignorarla.
-Vai via! Non voglio più vederti! Via via!
Ma poi a zittirla ci aveva pensato Percy, baciandola.
Annabeth provò ad opporre resistenza, all'inizio.
Ma il ragazzo le teneva le mani sulle guance, cercando di infondere il quel bacio tutto quello che provava per lei.
Perché lui lo sapeva anche troppo bene.
Lei si lasciò andare, ricambiando.
Si baciarono, senza preoccuparsi di niente.
Si separarono solamente quando entrambi rimasero senza fiato.
Annabeth aveva gli occhi chiusi; Percy appoggiò la fronte sulla sua, tenendole la vita con le mani.
Dopo qualche minuto disse:-Non ce la facevo più. Stavi urlando troppo.
Annabeth rise. Lui continuo:-Ma sai, forse il bisogno di baciarti ancora superava la necessità di non rimanere sordo a vita.
Annabeth rise ancora, baciandogli ancora una volta quelle labbra che, adesso, sapevano anche un po' di lei.
Poi sospirò:-Non pensare che tu abbia risolto tutto così.

***

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