La spia, appoggiato al portico, era nel suo consueto dormiveglia, una sorta di sonno vigile che gli permetteva di riposarsi ma al tempo stesso di stare in allerta, pronto ad agire al minimo rumore. Il suo pugnale era agganciato al cinturone celato dal mantello: ad estrarlo ci avrebbe messo mezzo secondo. Aveva seguito, come era solito fare, Livia Antonia, che era così cara a Marco Bambalio. Non si era soffermato sul perché; sapeva che nel suo lavoro meno domande si facevano e meglio era. Ma di certo era strano che un uomo potente come Bambalio stipendiasse una spia per tenere sotto controllo una donna che neanche conosceva. C'era di certo qualcosa sotto, si disse, mantenendo la sua posizione. Livia gli passò accanto senza dare troppa attenzione a quella figura incappucciata, che registrò nella sua mente come un mendicante. In realtà la spia l'aveva seguita per tutto il tragitto, tagliando per una scorciatoia, così che la donna, che più volte si era voltata, sentendosi seguita, non avesse da sospettare. La spia, sentendola passare, si riscosse leggermente. Poi richiuse gli occhi, pronta a riposarsi davvero.
Livia entrò in casa sconvolta, e prese a togliersi il mantello. Accorgendosi che il tessuto era rimasto impregnato dell'odore di Damone, lo scaraventò a terra, come se scottasse. Una schiava, che l'aveva raggiunta per aiutarla, la guardò perplessa. "Scusami" le disse Livia, cercando di calmarsi. La ragazza si chinò a raccogliere il mantello con un mezzo sorriso. "Gemina dov'è?" chiese Livia, impaziente nel dare la buona notizia alla vecchia liberta. "Dorme, domina. Voleva aspettarti ma si è addormentata. Se vuoi, posso svegliarla" propose la schiava, solerte. Livia scosse la testa. "No, lasciala dormire. Le parlerò domani mattina." La ragazza chinò il capo e si allontanò, lasciando Livia da sola.
Era da mezz'ora che cercava di prendere sonno, invano. Si girava e rigirava nel letto, senza riuscire a prendere occhio. Sentiva un senso di oppressione sul petto, e sapeva bene di chi era la colpa. Si tirò a sedere, facendo dei lunghi respiri, per calmarsi. Risentiva il braccio di Damone intorno alla vita, i loro sguardi incatenati, la tensione erotica che li stava per travolgere. Basta, basta! Esclamò nella sua testa, serrando gli occhi e portandosi le mani al volto. Che cosa le stava accadendo? Davvero le bastavano due pettorali per sentirsi così? Credeva di essere più forte. Ma no, non era questo, non solo, almeno. Era come se una forza invisibile la spingesse verso di lui, e lei, per quanto tentasse di aggrapparsi al passato, era inerme, indifesa. Scavando dentro di lei, individuò cosa davvero la tormentasse: lei sapeva, sentiva che quella stessa forza li teneva legati, indissolubilmente. Quando erano insieme, era come se due pezzi abituati a essere spezzati combaciassero alla perfezione, ritrovando la loro forma. Si era sentita a casa, poco prima, Claudio era solo un ricordo lontano. Si era sentita in pace, come non le capitava da tempo. Strinse i pugni sentendo le unghie conficcarsi nei palmi. Come era possibile? Si chiese ancora. Come era possibile che uno stupido, ignorante gladiatore mai visto prima la facesse sentire così. Come se ci fosse ancora una speranza, come se ancora potesse... si bloccò, atterrita. Tu credi di aver finito il pane, ma altro ne dividerai. Con sgomento si accorse che la profezia stava cominciando ad avverarsi: se fosse rimasta ancora in quella cella, avrebbero fatto davvero l'amore, altroché! Scosse la testa: no, non lo avrebbe permesso. Si sarebbe opposta a questa forza con tutta se stessa. Si, avrebbe fatto così. Si trattava solo di resistere, no? Una volta risolta la questione di Ferunto, non avrebbe più messo piede in quella scuola. Sentendosi rilassata, si sdraiò, e, chiudendo gli occhi, trovò il sonno.
Sognò.
Era nella casa di Liviano, a Roma, nel giardino pieno di fiori. Una sensazione di benessere, data dal calore del sole e dal canto degli uccelli, l'avvolgeva. Ma quando si voltò, vide la sibilla seduta sulla fontana. Livia ebbe un sussulto, portandosi un amano alla bocca. La ragazza le sorrideva, avvolta nel suo velo bianco. Resistere non serve a niente, piccola Lupa disse, senza muovere le labbra. Tuttavia, la sua voce risuonò limpida e chiara nella testa di Livia. "Mi chiamo Livia" rispose lei, a denti stretti. Lupa è il nome che hai da quando sei al mondo. Livia è il nome che ti ha dato chi ti vuole bene. Ma chi sei veramente? "Che importanza ha, come mi chiamo? Sono sempre io" reagì Livia, di getto. La sibilla annuì, guardando il cielo. "Perché dici che resistere non serve a niente? A cosa ti riferisci?" aggiunse Livia, pur sapendo in cuor suo la risposta. La sibilla infatti, sorrise. A ciò che desideri e respingi allo stesso tempo disse. Livia fece una smorfia: "Come posso essere costretta ad amare qualcuno? Non è giusto!" La sibilla sorrise ancora. Ma tu già ami. Sei tu che costringi te stessa a non arrenderti all'amore replicò. Livia si portò le mani al volto. "Ma come è possibile? Siamo così diversi..." mormorò, ma la sibilla parve udirla benissimo: Tu credi? Eppure, entrambi portate un marchio. "Si, è vero. Ma io ho promesso a Claudio di restargli per sempre fedele...Non posso venire meno alla promessa." Rispose Livia, sentendo già gli occhi bruciargli per le lacrime. La sibilla si alzò in piedi e le andò vicino, poggiandole con delicatezza una mano sulla spalla. Non puoi fare promesse che coinvolgano altre persone. Gli dei hanno rifiutato la tua promessa le chiarì. Livia rimase sbigottita: "Cosa? E perché?" La sibilla indicò un albero, dietro al quale prese corpo una figura, che cominciò ad avanzare verso di loro. Era Damone. La sibilla si mise in mezzo a loro, guardando Livia. Perché siete destinati ad essere.
Neanche Damone aveva pace. Pensava e ripensava alla sua pelle, così diversa da quella delle schiave, eppure marchiata da un simbolo infamante. Livia era luce e tenebra allo stesso tempo, e lui non poteva fare a meno di desiderarla. Era inutile darsi dello stupido, dell'ingenuo: che poteva avere, da una donna così? Forse Livia avrebbe accettato di fare sesso con lui, ma la cosa non avrebbe avuto seguito e comunque non era quello che Damone voleva da lei. Non più. Si ricordò della sensazione di pace che lo aveva avvolto quando lei gli aveva messo una mano sulla spalla. Non si sentiva così da quando... interruppe i suoi pensieri, chiudendo gli occhi, incredulo. Da quando aveva smesso di essere un uomo libero.
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Il Leone e la Lupa #Wattys2016
FanfictionDamone è un gladiatore della scuola di Capua. È bello, sfrontato e così abile nei combattimenti che il suo lanista, Batiato, lo ha soprannominato Leone. Livia è la figlia di Antonio Liviano, un ricco patrizio di Capua molto vicino al senato di Rom...