Capitolo 17- Un marchio indelebile

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Fu con un sospiro di genuino sollievo che Livia entrò in casa, dopo una serata che era stata assurda, da più punti di vista. Dopo l'incontro d'amore con Damone, Livia si sentiva una persona diversa. Osservando il gladiatore addormentato, si era accorta che sul corpo di entrambi era comparso uno strano segno, una specie di voglia scura che non voleva sapere di andarsene. A Damone era comparsa sul petto, mentre Livia si era accorta di averla sul braccio. Fare l'amore per la prima volta con un altro uomo, sentire dentro di sé un corpo che non era quello a cui era abituata, l'aveva stravolta. Si sentiva come se avesse esagerato con il vino: brilla, leggera, ma stordita. Non sapeva dire se fosse uno stordimento positivo o negativo. Aveva lasciato Damone dormire, e si era allontanata. Avrebbe pensato male di lei? Benissimo, a lei non interessava. Molto meglio così. Tanto non si sarebbero più rivisti. Era andata a letto con lui per proteggerlo, solo questo. E sapeva che la sua strategia aveva funzionato, perché aveva percepito un occhio estraneo su di loro, a un certo punto. E il suo istinto, affinato quando era una ragazzina, non sbagliava mai: qualcuno li aveva spiati, e così Damone era al sicuro. Nessun coinvolgimento emotivo ulteriore. Si sistemò il vestito, prima di tornare nella sala, e si accorse che il segno era ancora lì. Provò a sfregare i due polsi, ma niente, rimaneva lì.

Approfittando della confusione che l'omicidio aveva provocato, Livia si congedò di fretta e salì sulla portantina, diretta finalmente a casa. Gli sguardi di tutti erano, seppur sconvolti, divertiti quando si posavano su di lei: la vedova che si apparta con il gladiatore. Ne avrebbero parlato per mesi. Ti sei sacrificata per amore le rimbombò una voce nella testa. Hai lasciato che pensassero male di te, solo per aiutare lui. «Glielo dovevo. Ho pagato il mio debito.» mugugnò Livia, riconoscendo la voce. La voce della sibilla si fece dispiaciuta: Piccola Lupa, è tempo che tu ti arrenda al destino. Quello che cerchi di evitare è inevitabile, ormai. Guarda il marchio le disse, e Livia, d'istinto, guardò la strana macchia sul braccio. Siete legati per la vita. La Lupa e il Leone. «Non siamo ancora sposati, però» la provocò Livia, ricordando la profezia. Avete unito i corpi. Unirete anche le anime. Ribatté ancora la sibilla.

«E piantala di piangere!» la rimbeccò Batiato, guardando Lucrezia che, commossa, continuava a pensare a Syria. Il lanista continuava a camminare avanti e dietro, furioso. Chi poteva essere il misterioso assassino? E soprattutto, mancava un gladiatore all'appello: come aveva fatto a liberarsi? Non riusciva a trovare risposta alle sue domande. Lucrezia, intanto, si asciugò le lacrime provando, per l'ennesima volta, una fitta di rancore verso suo marito, che non capiva nulla dei suoi bisogni. Ma si sarebbe vendicata molto presto.

Appena Livia entrò in casa, Gemina le andò incontro. Il suo viso esprimeva chiaramente le sue emozioni: gli occhi le luccicavano e il viso sembrava ringiovanito. Livia le sorrise. «Come sta Ferunto?». Gemina fece per rispondere, ma cominciò a fissare il viso di Livia. Le si avvicinò e le prese il mento tra due dita, per osservare meglio l'incarnato. Lasciò la presa e la scrutò da capo a piedi. «Sta bene, c'è ancora Ermete che lo sta medicando» rispose, abbassando lo sguardo. Era imbarazzata, e Livia ne capì il perché. «Dov'è Obscurus?» chiese, guardandosi intorno. La vecchia liberta si irrigidì. «L'ho mandato via. Ѐ meglio così.» rispose, abbassando lo sguardo. «Gemina...» iniziò, ma la vecchia liberta la interruppe: «Non dirmi nulla, Livia.» si schermì. «Come vedi, entrambe custodiamo dei segreti.» Livia la guardò. «Non posso parlarti di lui, è una cosa che...non so, mi fa paura.» la circondò con le braccia, e Gemina ricambiò il breve abbraccio. Prima che Livia sciogliesse la stretta, la vecchia liberta notò qualcosa e le trattenne il braccio. «Come te la sei procurata, questa macchia? Giuro su Giunone che non te l'ho mai vista prima!» disse, stupita. Livia ritrasse il braccio, imbarazzata. «Non so...è spuntata dopo...» si interruppe, abbassando lo sguardo. Gemina socchiuse gli occhi. «Ѐ spuntata anche a lui, per caso?» indagò. Livia annuì. Gemina si morse il labbro. «Lo sai che significa, vero? Ѐ il marchio di Venere.» sussurrò. Livia scosse la testa: «Ma che dici, è solo una vecchia leggenda...Sarà uno sfogo cutaneo.» Gemina annuì. «Sarà...» ma si vedeva che non era convinta.

Ermete era un medico greco, di Atene. Livia lo aveva conosciuto appena arrivata a Capua, ed era rimasta subito colpita dalla sua sensibilità e dalla passione genuina che aveva per il suo mestiere: Ermete infatti curava tutti, sia chi, come i ricchi, poteva permettersi anche cure di bellezza, sia chi invece non poteva pagare neanche per una visita di controllo. Livia entrò nella stanza dove Ferunto stava riposando. Ermete stava riponendo i suoi attrezzi nella borsa, e le sorrise. «Salve, Livia. Il ragazzo sta bene, aveva solo delle ferite non molto profonde, che ho medicato. Ha però bisogno di molto riposo.» La donna lo ringraziò e lo pagò. «Senti, Ermete, avrei bisogno di un preparato di erbe amare. Pensi di potermelo procurare?» gli chiese, senza imbarazzo. Ermete dovette capire, perché riaprì la borsa dalla quale prese due piccole boccette, e cominciò ad impastare un preparato, a cui aggiunse qualche goccia d'olio d'oliva e di aceto. Livia lo guardò con gratitudine. «Grazie, Ermete.» fece per estrarre qualche altra moneta, ma il medico lo fermò. «Non serve, domina. Accetterò però volentieri un trancio di agnello e una coppa di vino.» disse. Livia annuì. «Ma certo, ti faccio servire subito.» rispose, facendo un cenno a una schiava. Poi fece cenno al medico di seguirla fuori, per lasciare riposare meglio Ferunto. «Domina» iniziò il medico. «Ricordati di prendere il preparato entro un'ora, o non avrà effetto.»

Damone, tornato nella sua cella, rimuginava. Livia se ne era andata senza dire una parola, e al suo risveglio si era trovato da solo. Batiato, nonostante avesse radunato tutti i gladiatori per interrogarli sulla scomparsa di Ferunto, non si era soffermato più di tanto su di lui: evidentemente l'idea di Livia aveva funzionato, fornendogli un alibi. Si sentiva deluso, da Livia. Evidentemente, una volta ottenuto ciò che voleva, non aveva esitato a voltargli le spalle. Damone sentì occhi sempre più pesanti, e si addormentò.

Si trovava nella sua isola, e vederla così nitida gli fece venire un groppo alla gola. Salve, Leone. Al suono di quella voce, il gladiatore si voltò e vide una sibilla che lo guardava, sorridendo, seduta vicino a una fontana. «Chi sei?» Le chiese. Penso che tu abbia già una risposta. Damone ripensò alle parole di Livia, e capì. «Livia...» mormorò, e la sibilla annuì. Si, Lupa. Siete legati da una profezia. «Ma Livia non prova nulla per me. Né io per lei.» protestò Damone. Menti sapendo di mentire, Leone. Sai bene che vicino a Livia ti senti a casa, come se fossi davvero qui, in questa isola. E sai che Livia si è unita a te per amore, anche se fa di tutto per negarlo. Il gladiatore scosse la testa. «Ѐ vero, ho dei sentimenti per lei. Ma come è possibile? Un gladiatore e una patrizia? Aiutami a capire.» La sibilla guardò il mare, allungando un braccio. Molte cose saranno possibili, nel futuro. Ѐ necessario che la lupa e il leone diano l'esempio, e che aiutino a capire. Poi tornò a guardare Damone. Ora vai, leone. E ricorda: siete legati da un marchio indelebile.

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Le donne romane avevano già confidenza con le misure contraccettive, più o meno efficaci. Usavano delle erbe che a quanto pare avevano degli effetti spermicidi.

Il Leone e la Lupa  #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora