Capitolo 33- Ferita mortale

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L'arena di Capua brulicava di vita, sotto il sole estivo. Nel palchetto d'onore, oltre a Bambalio e sua moglie, vi erano anche Livia, suo padre Liviano e Gemina, che era testa quanto la sua padrona. Fullo e Batiato, i più concitati, erano sempre in piedi, gesticolando tra loro. Un po' in disparte, le loro mogli commentavano le proprie aspettative sui giochi che stavano per iniziare.

«Vedrai, Corinna. Ci sarà da divertirsi» esclamò Lucrezia, sorridendo, lanciando uno sguardo di sfida a Livia, che l'ignorò. La matrona la guardò, leggermente stupita. «Sembri molto sicura di quanto affermi, Lucrezia. Devo quindi aspettarmi qualcosa di diverso dal solito bagno di sangue?» replicò, lanciando uno sguardo sulla pista di sabbia che luccicava sotto il sole cocente. «Proprio così, mia cara. Puoi scommetterci».

Sentendo la folla chiamare il suo nome, Damone sorrise. Dietro la grata che presto si sarebbe aperta per farlo uscire, sistemandosi i calzari e l'elmo, cercò con lo sguardo l'unica ragione della sua vita. Livia. Sua moglie.

Merula, in piedi accanto a Lucrezia, vide Crisso entrare nell'arena accanto a Damone e trattenne il respiro. Avrebbe dato la sua vita per farlo uscire da lì, vivo. Ma poteva solo aspettare. Aspettare e vedere.

Fullo accoglieva con delle risatine ubriache l'entrata di tutti i gladiatori, che si disposero in fila orizzontale davanti al palchetto d'onore. Per la scuola di Batiato concorrevano Damone e Crisso, salutati dalla folla con particolare calore; per la scuola di Polisso, un lanista ancora acerbo ma con del talento, due gladiatori africani grandi come armadi; infine, per la scuola del principale rivale di Batiato, Paolo, due gladiatori della Gallia, fratelli, che potevano dare filo da torcere: piccoli di statura, ma molto robusti, erano agili come gazzelle.

Tutti i gladiatori alzarono il gladio in direzione del palco d'onore, in segno di saluto.

«Popolo di Capua!» esclamò Batiato, attirando l'attenzione della folla. «Benvenuti al torneo organizzato in onore di Gaio Valerio Fullo!». Un boato esplose avvolgendo l'arena intera, mentre Fullo si inchinava goffamente, agitando le mani grassocce. Batiato fece un cenno e i sei gladiatori si disposero, a coppie, pronti per affrontarsi.

Poiché Fullo non era un amante del sangue, e nessuno dei lanisti era comunque intenzionato a perdere i propri campioni per il capriccio di un patrizio, per quanto pagasse; non era un combattimento a morte. Potevano ferirsi, ovviamente, anche in maniera grave, ma non uccidersi. Fullo ridacchiava scorgendo i muscoli dei gladiatori brillare sotto il sole, dando sui nervi a Batiato, che seguiva con molta tensione l'incontro.

Damone e Crisso stavano affrontando i due africani. Schiena contro schiena, stavano dando il loro meglio, ognuno pensando al sorriso della propria donna, per darsi forza.

Sugli spalti, Livia seguiva ogni suo movimento a denti stretti, non staccandogli mai gli occhi di dosso, mentre Liviano la guardava preoccupato: di certo Livia temeva per la vita di Damone, ma lui temeva che potesse rivivere anche l'uccisione di Claudio. Anche Bambalio si era accorto del turbamento di Livia, e memore di quanto la sua spia gli aveva riferito, a proposito di una frequentazione tra la donna e il campione di Capua, si ripromise di intervenire.

Lucrezia era i fibrillazione. Non vedeva l'ora che il gioco finisse, perché potesse iniziare.

Gli africani erano forti, ma pesanti, e per niente agili. Prediligevano il combattimento corpo a corpo dove sarebbero stati in vantaggio. Perciò Damone e Crisso badavano a non avvicinarsi troppo, costringendoli ad avanzare di continuo, stancandoli. Poi Crisso, a un cenno di Damone, attaccò di sorpresa, sferrando un colpo alla coscia dell'africano, che imprecò per la sorpresa. L'altro si gettò su Crisso, ma Damone lo mandò a terra con una finta. Ben presto, i campioni di Capua ebbero la loro prima vittoria.

I Galli, riconoscendosi conterranei di Crisso, sputarono a terra, ghignando. Quest'ultimo non se ne curò, lanciando uno sguardo in direzione di Merula, che stava quasi trattenendo il respiro. Tuttavia, trovò la forza per sorridergli. Damone guardò in direzione di Livia, che lo guardò solamente. In quello sguardo il gladiatore lesse tutto l'amore e la forza che la donna stava cercando di trasmettergli.

I due Galli attaccarono: al contrario degli africani, erano estremamente agili, ma troppo superbi. Tendevano ad avvicinarsi con delle finte, scoprendo i loro punti deboli. Damone e Crisso li sconfissero facilmente.

Batiato era raggiante, sugli spalti. Fullo ridacchiava, battendo le manine come un ragazzino. Livia tirò un respiro di sollievo, stringendo la mano di Gemina.

Crisso guardò Merula. Si rese conto che obbedire a Lucrezia era l'unica strada per provare a darle quanto meritava. Così, estrasse il pugnale che la donna aveva fatto impregnare di veleno, e si avvicinò a Damone, che in quel momento stava ringraziando la folla, guardando però Livia. Fu un attimo: gli si mise al fiancò e lo guardò. «Perdonami» mormorò, e il gladiatore gli rivolse un'occhiata confusa. Crisso lo pugnalò al fianco.

Si scatenò il caos. Il sorriso si congelò sul viso di Batiato, trasformandosi in una smorfia d'orrore. Fullo sgranò gli occhi, rimanendo con le mani a mezz'aria. Livia urlò, trascinando con sé tutte le urla indignate della folla. «Bambina mia!» urlò Gemina, cercando di sostenerla. Liviano era impietrito, guardando Bambalio in cerca di aiuto. Il quale scattò in piedi, avvicinandosi a Batiato, che era diventato paonazzo dalla rabbia, urlando contro Crisso ogni tipo di maledizione. «Batiato, cosa sta accadendo, maledizione?» esclamò. Ma non ebbe risposta: il lanista era come impazzito, urlando e puntando il dito contro Crisso.

Solo Lucrezia era perfettamente a suo agio. Sorrideva, accarezzandosi il ventre. Sorrise a Crisso, facendogli un cenno d'intesa. Merula lo guardava impietrita, con due lacrime che scendevano inarrestabili sulle sue guance. Scosse piano la testa, continuando a guardarlo fisso.

Fu proprio quel cenno a far scattare qualcosa dentro il gladiatore. Ebbe pena e disgusto di se stesso. Guardò Damone, che era caduto a terra. Aveva pugnalato un amico, un fratello. Era venuto meno ai suoi princìpi, cercando una vita migliore. Ma aveva ragione Merula: non sarebbe uscito vivo da quella arena. La guardò, un'ultima volta, per imprimersi a fondo negli occhi i suoi tratti. Poi prese il pugnale e lo affondò nel suo ventre. Sentì un urlo, come di una cerva ferita, alzarsi fino al cielo. Cadde a terra, e fu solo buio.

E caos.

Il Leone e la Lupa  #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora