Capitolo 4- Confaerratio

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"Che significa? Perché dovresti farmi del male?" reagì Livia, che ancora non aveva abbassato la guardia. Erano passati anni da quando viveva nel lupanare, ma le era rimasta l'abitudine di dubitare di qualsiasi persona avesse di fronte. "Perché mai un gladiatore dovrebbe girare libero per la villa? Per di più indossando una tunica da uomo libero?" incalzò, in attesa di una risposta. Ma doveva riconoscere che il marchio che portava sulla pelle sembrava reale, per di più si vedeva che era ormai cicatrizzato, come il suo. Non poteva essere, quindi, che fosse stato realizzato appositamente. Damone rimase in silenzio, ponderando le parole da dire. Nel giro di poche ore la sua realtà si era del tutto rovesciata, si sentiva diverso, cambiato; e aveva un gran bisogno di riflettere. Pensava di dover sedurre la classica donna che non aspettava altro che un'avventura eccitante, da ricordare poi nei noiosi giorni a venire, e invece si era trovato davanti non solo una donna che non era minimamente interessata a lui; ma per di più portava sulla pelle un marchio infamante, come il suo, che una vera matrona non avrebbe mai dovuto portare. C'era qualcosa che non tornava, e sospettava che neanche Batiato ne fosse a conoscenza. No, si disse, Batiato ha proprio sbagliato persona. "Sto aspettando" sibilò Livia, guardandolo fisso. "Non posso dirti perché sono qui." Disse Damone, sulla difensiva. Non poteva permettersi di infamare Batiato, o ci avrebbe rimesso la pelle. D'accordo, era il suo campione, ma era pur sempre uno schiavo di cui Batiato aveva diritto di decidere la morte in qualsiasi momento. Livia digrignò i denti. "Un po' tardi per questa tua riservatezza, non trovi? Sei un gladiatore di Batiato, che questa sera aveva il compito di sedurmi" disse. "O di ricattarmi?" aggiunse, riducendo gli occhi a due fessure. "Ti ha incaricato Batiato di chiedermi del mio marchio, vero?" strinse la mani a pugno, preparandosi ad attaccare. Damone se ne accorse e alzò una mano. "Ferma, non lotterò con te. Non sapevo niente di chi fossi, né del tuo marchio." Spiegò. Livia si rilassò, continuando però a fissarlo. "Sia pure come dici. E allora qual era il piano? Sedurmi? Violentarmi? O forse volevi umiliarmi, fingendo di essere un uomo libero e rivelandoti poi un gladiatore? Parla!" esclamo, fuori di sé. Damone fece per avvicinarsi, ma in quel momento Lucrezia li raggiunse, trafelata. Livia si trincerò dietro a una maschera di indifferenza, come le aveva insegnato Merula, quando i ragazzini più grandi la prendevano in giro. Non devo mostrare debolezza, e non deve sapere che io so, pensò."Livia, grazie agli Dei! Ti ho cercata dappertutto!" esclamò, sinceramente preoccupata. Quando vide Damone, si bloccò, cercando di capire quanto si fosse spinto oltre. Ma l'uomo aveva uno sguardo impenetrabile. Livia ruppe il silenzio: "Dunque eccomi, Lucrezia. Non mi sono sentita bene, e il vostro amico mi ha aiutato. Lo stavo appunto ringraziando." Disse, sorridendo, perfettamente a suo agio. Nello sguardo di Damone passò una scintilla di incredulità, che soffocò immediatamente. Perché mi sta aiutando? Si chiese. In effetti così facendo Livia offriva un alibi ad entrambi: a se stessa, perché Lucrezia non pensasse che ci fosse stato un accoppiamento, a Damone, perché chiamandolo vostro amico, mostrava di non conoscere la sua reale condizione di schiavo. "Oh... Oh, bene. Vuoi che chiami un medico, per sicurezza?" balbettò Lucrezia, che non ci stava capendo nulla: che cosa era successo tra i due? Maledisse di nuovo suo marito Quinto e le sue idee.

"No, ti ringrazio. Vorrei andare a casa, se non ti dispiace. Sono molto stanca." Disse Livia, freddamente. Lucrezia impallidì: se l'ospite più pregiata lasciava la festa prima di tutti gli altri, avrebbero fatto una pessima figura. Ma non poteva opporsi in alcun modo, non dopo quello che Quinto aveva architettato. Perciò si sforzo di sorridere. "Ma certo, ti faccio chiamare la tua lettiga. Ma ti prego, entra in casa. Fa piuttosto freddo, qui fuori." Le disse, circondandola con un braccio con fare protettivo. "Si, Lucrezia, hai ragione. Ma vorrei fosse il vostro amico, ad accompagnarmi." La sorprese Livia, sorridendole affabilmente. Vedendo lo stupore di Lucrezia, non poté fare a meno di stuzzicarla. "Ci sono problemi, per caso? Forse sua moglie non vuole che parli con altre donne?" chiese, con finta ingenuità. "Ma no, ma no, che problemi. Andate pure, io vi raggiungo subito" replicò Lucrezia, sorridendo fino a sentire male alle guance. Damone, che era sempre più stupito, si fece avanti per accompagnare Livia, che lo prese sottobraccio. "Damone...che nome curioso, per un vero Romano!" disse, con una risatina vezzosa. Lucrezia replicò con un sorriso storto, prima di sedersi, sconsolata, sul bordo della fontana.

Il Leone e la Lupa  #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora