Gemina sorrise, guardando la vecchia nutrice che le stava tastando la pancia, con aria esperta. Era da qualche giorno che si sentiva strana, aveva un costante senso di nausea addosso, e le guance, in qualche modo, sembravano più tonde. Il viso, poi, sembrava splendere. Gemina sapeva, per sentito dire, che erano chiari sintomi di una gravidanza. Da quando si era concessa a Milone, sapeva che sarebbe potuto succedere. Ma sentiva dentro di sé che Milone era l'uomo della sua vita, l'unico uomo che avrebbe mai potuto amare. La loro relazione era cominciata tre anni prima. Era entrata nella stanza del padrone, per portargli il vino come richiesto, e se lo era trovato davanti. Era bello, alto, con le spalle forti. Sembrava una di quelle statue di Ercole che le capitava sempre di vedere, mentre andava al mercato. In particolare, le ricordava la statua dove il dio era raffigurato con la sua clava, coperto dalla pelle del leone Nemeo, trofeo ottenuto durante le dodici fatiche, nell'atto di stordire i suoi nemici. Era rimasta senza parole, immobile, a bocca aperta. Per sua fortuna, anche Milone era rimasto colpito allo stesso modo: le sorrideva, scrutandola da capo a piedi. Liviano l'aveva ringraziata, le aveva preso il vassoio dalle mani e l'aveva congedata, con delicatezza, con una piccola spinta.
«Chi è?» chiese Milone, continuando a guardare nella direzione della schiava, come se potesse ancora vederla. Liviano lo guardò, storcendo la bocca. «Per pietà, Milone, lasciala stare. Ѐ una delle mie schiave, è una gran lavoratrice. Tengo molto a lei.» Lo aveva ammonito, ben conoscendo la reputazione da seduttore del suo amico. Milone aveva annuito, ma la sua espressione prometteva disobbedienza. «Milone, dico sul serio: lasciala stare. Non ti permetto di metterla nei guai.» L'amico lo aveva guardato, in ansia: «Mi stai dicendo che hai delle mire su di lei? Te la porti a letto?» gli chiese, sentendosi assurdamente geloso. Liviano contrasse la mascella, infastidito. «Non permetterti mai più una tale confidenza. Sei la mia guardia del corpo, e ti reputo un amico. Ma non andare oltre. E per tua informazione, non ho alcuna mira su Gemina. Sono vedovo, e il ricordo di mia moglie ancora mi accompagna.» Milone chinò il capo, dispiaciuto: «Perdonami, non volevo mancarti di rispetto.» Liviano sorrise, già dimentico del piccolo episodio. «Non preoccuparti. Ma ti prego, stai lontano dai guai.»
Ma nei guai c'erano finiti, invece. Amore aveva scagliato su di loro le sue frecce, e non ci poteva essere scampo. Milone l'aveva cercata, corteggiata. Si era innamorato di lei, del suo corpo affaticato, che sapeva farlo impazzire quando si accostava al suo, e aveva dimenticato le sue mille conquiste, imparando finalmente ad amare. Gemina si sentiva benedetta dagli dei, quando lui la teneva tra le sue braccia: gli sembrava che un solo attimo, dei loro momenti, potesse durare per sempre. Milone voleva liberarla e sposarla. Aveva racimolato, con fatica, la somma necessaria da versare a Liviano. Un giorno di tre anni successivo al loro primo incontro, emozionati e tremanti, si erano presentati al suo cospetto. Liviano, dapprima, si era arrabbiato: era un uomo paziente e gentile, ma non sopportava di essere preso in giro. Aveva sgridato Milone, gli aveva dato dell'incosciente. «Mi hai disubbidito!» aveva urlato, ma poi si era calmato. Aveva conosciuto il vero amore, e sapeva perciò riconoscerlo negli altri. Non c'erano dubbi: quei due erano davvero innamorati. «Va bene, avete il mio permesso. Mi verserai la somma necessaria, e sarete liberi. Potrete sposarvi qui, se lo desiderate.» aveva detto, e Gemina, dalla felicità, gli si era buttata ai piedi, ringraziandolo mille volte.
«Non ci sono dubbi. Sei incinta.» sentenziò la nutrice, sorridendole. Gemina sorrise, sentendo le lacrime pungerle gli occhi. Di fretta, si rivestì e si alzò, in cerca di Milone. Bruciava dalla voglia di dargli la buona notizia: il matrimonio, fissato per il mese successivo, verrà benedetto da un figlio. Camminava in fretta, ridendo, dirigendosi verso la casa del suo promesso sposo. In verità, Milone le ha sempre ribadito di non recarsi mai a casa sua senza avvertirlo. Il perché, Gemina non lo hai mai chiesto. Ma quel giorno si sentiva troppo felice per pensarci. Raggiunse la capanna, luogo degli incontri d'amore con Milone. Bussò forte alla porta, chiamando i suo nome, ma senza risposta. Decise di aspettarlo, e si sedette su una panca là fuori. Dopo una mezz'ora, le parve di scorgere la figura familiare di Milone. Si alzò in piedi, per corrergli incontro. Ma, giunta a qualche passo da lui, si bloccò. Milone avanzava, completamente coperto di sangue. Tra le mani, un coltello. Appena la scorse, si bloccò anch'egli, sentendo quasi la vita abbandonarlo. Senza una parola, Gemina gli voltò le spalle e cominciò a correre, piangendo, incurante dei richiami di Milone, che le corse dietro. Giunta alla casa di Liviano, si rifugiò nella stanza del padrone, che, stupito, cercò di capire quanto successo. Raccolse le confidenze della schiava, e poi, accarezzandole i capelli, la rassicurò.
Milone continuava a battere sul cancello, disperato. Liviano gli andò incontro, scuro in volto. Lo fece entrare, prendendolo poi per il collo della tunica: «Ti avevo detto di lasciarla perdere.» sibilò, astenendosi a fatica dal prenderlo a pugni. «Non ho potuto, me ne sono innamorato!» reagì Milone. Liviano assunse un' espressione sarcastica: «Oh, davvero? Così innamorato da nasconderle la tua vera professione. Ma come credevi di poter vivere con lei, nascondendole tutto?» gli aveva chiesto. Milone non aveva risposto, e Liviano lo aveva guardato, severamente. «Sei licenziato. Ti darò quanto ti spetta, e te ne andrai.» aveva concluso, gettando ai piedi di Milone un sacchetto di monete, e voltandosi, per lasciarlo solo. «Non puoi farmi questo, Liviano! Come farò a mantenerla, dopo il matrimonio?». In quel momento, Gemina era apparsa sulla soglia. «Non ci sarà nessun matrimonio.» disse, guardando Milone e sentendo il cuore spezzarsi. «Ero venuta a dirti che aspetto un figlio. Ma non posso accettare che suo padre sia un assassino.» aggiunse, cominciando a piangere. Milone aveva cercato di raggiungerla, ma Gemina si era ritratta indietro. «Gemina, guardami, sono sempre io, Milone! Non è cambiato nulla!» aveva cercato di dirle, ma la schiava era rimasta impassibile, guardandolo con odio: «Tu sei un assassino, Milone. Non voglio che mio figlio ti cresca vicino.» aveva detto, prima di sparire dentro casa.
«Sei incinta. Questo vuol dire che non potrai lavorare, diciamo, per almeno quattro mesi. Hai idea del danno che mi provocherebbe, questo?» chiese Liviano, guardando con severità Gemina, in piedi di fronte a lui. «Lo so, domine. Ti chiedo perdono.» replicò, con aria mesta. «Milone ha versato comunque la tua somma. In teoria, sei libera.» Gemina scosse la testa. «Non la voglio.» Liviano, perplesso, la guardò. «Non vuoi cosa? La libertà?». Gemina scosse di nuovo la testa: «Sono soldi sporchi di sangue. E poi, non saprei dove andare. Rinuncio alla mia libertà, se posso rimanere qui, con voi, domine». Liviano annuì, gravemente. «Lo amavi molto, vero?» sussurrò, rivolto più che a se stesso che alla schiava. «Senti, Gemina, posso ancora richiamare Milone. Posso dargli un lavoro onesto, e potreste...». «No.» Gemina lo interruppe, secca, guardando fisso davanti a sé. «Milone mi ha ingannata. Non voglio più avere niente a che fare con lui.» sentenziò, sentendo i frammenti del suo cuore farsi ancora più piccoli. Liviano sospirò. «Se è quello che vuoi, va bene. Per quanto mi riguarda, da oggi sei una donna libera. Sarai mia liberta, e percepirai un regolare stipendio per i tuoi servizi. A patto però che tu rimanga qui, con me. Crescerai tuo figlio qui, e crescerai i miei figli, se mai ne avrò.» disse, sorridendo. Gemina si gettò in ginocchio: «Che Giove ti benedica sempre, padrone. Mi salvi la vita.»
Milone, dopo l'abbandono di Gemina, aveva vagato senza sosta. Per la sua stupidità, aveva perso sua moglie e suo figlio. Per la disperazione, si era inoltrato nei bassifondi, diventando un uomo che si vergognava a guardare allo specchio. Aveva abbandonato il suo nome, e si era fatto chiamare Obscurus. Ma non aveva mai abbandonato Gemina: si era tenuto informato, vegliandola da lontano. Aveva saputo della nascita del figlio, maschio; dell'arrivo della piccola Livia, e del trasferimento a Capua. Ma anche Gemina si era tenuta informata: non aveva mai smesso di amarlo, neanche un minuto, neanche un secondo della sua esistenza. Si erano amati da lontano, fingendo di odiarsi per sopravvivere.
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Il Leone e la Lupa #Wattys2016
FanficDamone è un gladiatore della scuola di Capua. È bello, sfrontato e così abile nei combattimenti che il suo lanista, Batiato, lo ha soprannominato Leone. Livia è la figlia di Antonio Liviano, un ricco patrizio di Capua molto vicino al senato di Rom...