Capitolo 1

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Mi sono chiesta tante volte perché l'abbia fatto. Mi sono chiesta se il problema sia stata io, se non gli sia piaciuto stare con me.
Quella notte, mi aveva detto che mi amava, ed io gli avevo creduto. Ma ora non ci credo più; se ami resti, e lui non è restato.

Dopo aver trovato il bigliettino, sono scoppiata in lacrime. Ho urlato contro un cuscino, ho sbattuto i piedi contro il materasso perché non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui ogni volta, le persone, lasciano un segno dentro di te, e poi se ne vanno.
Dopo poco, è iniziato il funerale della nonna, e lì è stato un casino. Ho pianto a dirotto, i miei occhi sembravano due lavandini rotti, e le lacrime mi offuscavano la vista, i singhiozzi mi soffocavano, il mio cuore era gelato.

Il secondo giorno, ho chiamato Laila. Le ho chiesto se avesse notizie di lui, se fosse tornato a scuola, ma lei mi ha detto che a scuola lui non c'era. Abbiamo parlato, le ho spiegato cosa era successo, e lei era confusa e sconvolta tanto quanto me.

Non ho mangiato per tre giorni, solo un biscotto ma sono stata costretta da Marta, dopo poche ore sono andata a vomitarlo. Non lo voleva quel biscotto, il mio stomaco. Lui, lo stomaco, era troppo pieno di angoscia, tristezza.

Il quarto giorno, la vigilia di Natale, sono venuti a casa della zia dei parenti. Altri cugini per intenderci meglio, e ho dovuto recitare la parte della ragazza contenta di rivederli dopo tanto tempo. La verità è che non volevo vedere nessuno. A cena ho mangiato poco, la notte ho buttato fuori tutto.
E uguale il giorno seguente, e quello dopo ancora, in cui gli zii mi hanno costretta ad andare a casa di alcuni amici. La cera del mio viso era pessima, pallida e sciupata, fredda. Non mi sono truccata, non mi sono vestita bene, e quasi mi sono vergognata per aver fatto quella figura.

Finite le feste, mi sono chiusa nella camera che mi aveva offerto la zia, in cui il letto odorava ancora di lui, anche se le lenzuola le avevo lavate. Su quel letto, sotto quelle lenzuola, gli ho detto che lo amavo. Lo amavo davvero, dio se lo amavo. Come quando ami qualcuno talmente tanto, da sentir male al petto. Ma lui non mi amava, non mi voleva, e ormai me ne stavo facendo una ragione.

Il settimo giorno sono riuscita a non parlare di lui per ventiquattro ore, le ho contate. L'ho pensato, ma non ho fatto il suo nome. Mi sono decisa a credere che se qualcuno non ti vuole, non puoi costringerlo a stare con te. Meglio saperlo lontano e felice, piuttosto che accanto a me ma infelice.
Ma è davvero felice lontano da me?
Questa è la domanda che per sette giorni mi sono posta, e poi la risposta era ovvia: certo, altrimenti sarebbe restato.

Finite le vacanze di Natale, ho preso una decisione. Ho chiamato Laila e le ho chiesto se a scuola era tornato, ma lei mi ha risposto che il professore di inglese aveva informato la classe che lui aveva lasciato la scuola. Per questo motivo, ormai sicura che non lo avrei più rivisto, ho salutato gli zii e ho raccomandato Marta di invitarmi quando la bambina, o il bambino, sarebbe nata o nato, dopodiché, ho preso il treno e mi sono diretta in aeroporto.

E rieccoci qui, stesso treno stessa ora, stesse luci stesso freddo. Io ed il mio bagaglio mettiamo piedi nell'aeroporto, circondata da persone che veloci corrono intente a prendere il loro volo puntuali. Trascino il mio bagaglio e stringo fra le dita il biglietto con il passaporto mentre mi dirigo per fare il check-in, nuovamente, per andare oltreoceano. E allora di nuovo: «Nome?»
«Cleo»
«Cognome?»
«Harvey»
«Età?»
«Diciannove anni».

Finito di registrare tutti i miei dati, aspetto il momento dell'imbarcazione sull'aereo.
Con le cuffie nelle orecchie e la musica in testa, mi siedo su una poltroncina nera. Apro il mio libro un po' malandato e leggo qualche riga, mentre le diverse scarpe delle persone mi scorrono sotto gli occhi. Un paio, in particolare, attira la mia attenzione. Non va avanti, si ferma davanti a me.
Non posso fare a meno di alzare lo sguardo per scoprire chi ho di fronte, ed un ragazzo dai capelli neri e gli occhi azzurri mi sta fissando.

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