Capitolo 6

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Il viaggio è stato lungo, in macchina Ken guidava e Sarah non faceva altro che sbavargli dietro. In fondo Ken è un bel ragazzo, ma è molto scorbutico e antipatico... mi ricorda qualcuno.
Laila e Jace non hanno fatto altro che fare i piccioncini, continuavano a baciarsi e a ripetersi quanto sei bella, quanto sei mio, quanto ti amo, quanto ti voglio. Ma che diamine!
Poi c'era Madison che ha passato il tempo al cellulare, sentivo il rumore fastidioso dei tasti rimbombarmi nelle orecchie peggio della musica alla radio con il volume al massimo. Mi sono sentita meglio quando sono uscita da quella macchina, ma la sensazione di sollievo è cessata appena ho messo piedi in quella casa. La solita confraternita, non è cambiata per nulla.
«Qualcosa non va?» mi chiede Madison quando nota che resto immobile sulla porta. Scuoto il capo e cerco di riprendermi da quella sensazione di nostalgia che mi invade il corpo.
«È tutto okay», gli rispondo.

Tyler

Stasera le strade della California sono deserte. Fa freddo fuori, ma non potevo non provare la mia nuova auto: una Chevrolet Corvette nera. Meglio così, almeno posso correre senza dovermi preoccupare di chi sta nella mia stessa strada.
Ho deciso che non resterò a casa di mia madre, intendo rendermi completamente indipendente, quindi sono alla ricerca di un appartamento, oltre che di un lavoro.

Accelero e mentre passo veloce per una strada già più abitata, sento la musica a volume alto provenire da davanti a me. La musica si fa sempre più alta, finché la sorpasso. Mi rendo conto che si tratta di una festa; sarà una di quelle che fanno i figli di papà quando i genitori non sono in casa.
Proseguo ancora un po', giusto per raggiungere un parcheggio, poi scendo dall'auto e mi dirigo verso la spiaggia, scavalco il muretto e mi siedo sulla sabbia, osservando come le onde del mare giungono in riva, per poi tornare indietro.
Rivolgo la punta del naso verso l'alto, il cielo è limpido. Neanche d'estate succede di trovare un cielo così, ci mancano solo le stelle.

Cleo

Sono ormai due ore che sto giocando ad obbligo o verità con gli altri della confraternita, già avevo poca voglia di giocare, ma dopo un po' uno si rompe. Mi alzo senza farmi notare da nessuno, e anche se decidessi di salutare prima di uscire dalla casa, nessuno mi noterebbe comunque: sono tutti troppo ubriachi o troppo fatti.
Decido allora di tornare al campus, sono le tre di notte ed il buio è ormai calato. Non c'è alcuna luce nel cielo, né un accenno di Luna, né una stella. Fa freddo, mi stringo nella mia giacca, ma comunque sento freddo lo stesso.
A quest'ora gli autobus non passano, quindi penso proprio che dovrò farmela a piedi.

Sto per attraversare la strada quando una macchina nera sfreccia davanti a me. Prende in pieno una pozzanghera e mi schizza tutta l'acqua addosso. Non si ferma, non chiede scusa, sfreccia via e si porta con sé il rumore assordante che le gomme dell'auto fanno sull'asfalto.
Strillo perché l'acqua è fredda; mi bagna fin sulla gonna che mi aveva prestato Laila, ed allora inizio ad implorare.
«Cosa?! Ma siamo seri?!», urlo. Alzo le braccia verso l'alto, quasi ce l'avessi con Dio.
«Ma perché a me? Ma che cazzo. Vaffanculo tu e la tua macchina di merda!»
Gli urlo contro, invano, perché so che l'auto ormai è troppo lontana per sentirmi.

Me ne torno in dormitorio, ci impiego circa quaranta minuti da quando sono uscita dalla casa in cui c'era quella festa. Incredibile, no? Ogni volta ripeto che lì non ci entrerò più, eppure la volta dopo sono ancora lì dentro.
Salgo le scale e raggiungo la mia stanza, mi ci chiudo dentro ed inizio a spogliarmi e a levare il trucco, dopodiché indosso un paio di pantaloncini inguinali e una canotta larga ed esco sul balconcino della stanza per fumare una sigaretta. Stendo sulla ringhiera la gonna e le calze per farle asciugare prima, mi metto le cuffie nelle orecchie e, per qualche minuto, resto lì ad ascoltare musica mentre l'aria fredda mi penetra nella pelle e raggiunge le ossa. Domani avrò un raffreddore bestiale, già lo so, ma non importa, poi ci penseremo a domani.

Tyler

L'ho presa in pieno. Sono sfrecciato sull'asfalto senza badare a quella pozzanghera e, soprattutto, alla ragazza sul marciapiede. Credo di averla bagnata, l'ho sentita urlare, ma non avevo tempo di fermarmi.
Poi ho acceso la musica, il volume ora è alto, ascoltare questo baccano mi aiuta a non pensare. Se c'è qualcosa che fa più rumore dei miei pensieri, mi sento meglio.
Solo quando sto per raggiungere casa, abbasso il volume per non disturbare il vicinato.
Parcheggio nel garage che per anni è stato vuoto e scendo dall'auto, tornando a casa in punta di piedi per non svegliare la mamma.

Quando entro, la trovo in salotto sul divano. È stesa sotto una coperta e respira profondamente; il suo volto è illuminato dalla luce che fa lo schermo della tv, la quale vado a spegnere senza farmi sentire. Poi vado in camera mia, lasciando le scarpe all'entrata. Levo la maglietta e i jeans un po' attillati, ma va bene così, dato che ho le gambe lunghe.
Li getto sul pavimento e mi metto a letto, sotto il piumone, con addosso solo i boxer.
Domani sarà una giornata lunga, devo cercare lavoro, e devo trovare una casa. Sarà meglio che questa notte la passi bene, se domani non vorrò avere le occhiaie che mi arrivano sotto i piedi.

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