Capitolo 4

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Tyler

Sono appena tornato in America, sono nato qui ma all'età di sette anni, io e mia madre ci siamo trasferiti in Inghilterra. Mia nonna abitava lì, e mia madre non voleva più starle così lontana. Voleva vederla tutti i giorni, o quasi, e non più solo due o tre volte l'anno. Sentirla al telefono durante il giorno, quando voleva, e non più dovendo controllare l'orologio con il timore di svegliarla.
Quando la nonna è morta, la mamma è tornata in America, ma io avevo già trovato un lavoro in Inghilterra e le cose a scuola andavano bene, non volevo lasciare tutto così. Avevo trovato perfino una ragazza, ma quando ho visto che le cose non andavano bene, ho deciso di tornare a casa. Papà non lo vedo da tredici anni, ha abbandonato me e mia madre quando io ero piccolo; la mamma me lo ha sempre descritto come un uomo buono, in realtà io me lo ricordo ancora, cattivo quando beveva, assente quando c'era con la testa. Mia madre mi ha fatto anche da padre, ed è stata il padre migliore che potessi avere. Ha sempre lavorato tanto, solo per riuscire a mantenere me, ma raggiunti i sedici anni ho deciso che era ora di iniziare a ripagarla con la stessa moneta. Come già accennato, in Inghilterra avevo un lavoro. Di giorno studiavo, la notte lavoravo come barman, poi metà del mio stipendio lo inviavo a mia madre per aiutarla, che ormai lei è anziana e con tutti i suoi mali non può permettersi più di lavorare.
Quando io e la mia ex abbiamo rotto, mi è sembrato il caso di tornare in America. Mia madre mi diceva spesso che le mancavo, e lei mancava a me, quindi eccomi qui.

Suono il campanello e la porta si apre dopo poco, ma prima si sentono i passi leggeri di chi si sta avvicinando. Quando la porta si apre, la donna che sta sulla soglia sfoggia il sorriso più bello che io le abbia mai visto in viso, allora lascio cadere a terra i miei bagagli e l'abbraccio.
Lei è bassina, mi cinge la vita con le braccia ed io le copro le spalle. Il suo profumo è sempre lo stesso, quello che, a risentirlo, mi ricorda gli anni passati, la mia infanzia, quando prima di andare a dormire, restava sul letto con me e mi leggeva le mie fiabe preferite.
Restiamo così per un po', poi mi invita ad entrare. Non sono mai stato più contento di rivedere mia madre, casa mia, quella che non vedevo da anni.

Cleo

Io non ci credo, ho dormito un sacco. Quando mi sveglio è già giorno, le tapparelle sono alzate e la luce debole del sole illumina la stanza. Mi sfrego un occhio e mi stiracchio con le braccia, poi sposto il piumone e scendo dal letto. Noto che i letti di Laila e Sarah sono già ben fatti, la mia valigia è stata svuotata, e sulla mia scrivania c'è un biglietto che dice chiaramente:
" Siamo andate a fare colazione, non volevamo svegliarti. Ti abbiamo svuotato la valigia, i vestiti sono nell'armadio e nel nostro bagno c'è la roba per la doccia, te ne consiglio una, ti sentirai meglio. Ti aspettiamo al bar, Sarah. "

Sorrido nel leggere il biglietto, Sarah e Laila sono due ragazze molto premurose, ed io non so proprio come farei senza di loro. Lascio il biglietto sulla scrivania e seguo il consiglio di Sarah; prendo la roba per la doccia ed esco dalla stanza, andando nel bagno del dormitorio femminile per darmi una rinfrescata.
L'acqua è calda ma anche fredda, insomma in realtà né l'una né l'altra, ma quando ci esco, mi sento meglio. Strizzo i capelli lisci e li lascio cadere sulle spalle, alcune ciocche si appiccicano sulla pelle umida. Poi mi avvolgo in un asciugamano e torno in camera. Qui, dopo essermi chiusa la porta alle spalle, mando un messaggio a Laila.
'sto arrivando', le scrivo.
'ti aspettiamo qui', mi risponde.

Asciugo i capelli, lisci e castani chiari, con qualche sfumatura sul biondo, poi li lego in una coda alta. Non mi trucco, non ho molta voglia di farlo. E poi, non mi deve guardare nessuno, non devo farmi piacere da qualcuno, quindi va bene così. Apro l'armadio e prendo un pantalone nero ed attillato, sopra ci abbino un maglione bianco e sotto delle Vans nere. Prendo poi il telefono e la chiave della stanza, dopodiché esco e mi dirigo verso il bar della scuola.

Fra i corridoi, incontro diversi compagni. Tutti che mi danno il bentornata e che mi chiedono come sto, o come sono andate le vacanze di Natale, altri che invece mi chiedono di Trevor.
Trevor.
Non facevo il suo nome da quando mi ha lasciato da sola, da quando ha deciso di andarsene.
Ed ogni volta mi faccio coraggio, trattengo il respiro, e rispondo loro non lo so, non mi interessa.

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