Capitolo XLVI - Litigio a base di pere

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Tutto è immobile e silenzioso se non per una leggera brezza che rallegra le foglie. Perciò non è silenzioso. Lo è relativamente. Sì, sto impazzendo. Resta il fatto che il figlio di Ecate non si vede da nessuna parte. Credo che non lo vedrei nemmeno se ce lo avessi davanti dal momento che è invisibile.

Oh maledizione, dov'è Lipsi quando serve!? Faccio qualche passo, titubante, ma non ho proprio idea di cosa fare.
-Cerca delle tracce.- sussurra Logan. Mi guardo intorno, ma non riesco a capire da dove provenga la sua voce. Continuo ad osservare il paesaggio intorno a me, ma non noto niente. Che cosa dovrebbe aver lasciato? Dei graffi sulle corteccie?

-Tu guardi senza vedere.- dice nuovamente a bassa voce.
-Che cosa dovrei vedere?- chiedo infastidita dal poter sentirlo e non vederlo. C'è una pausa e inizio a credere che non risponderà, ma poi aggiunge, ancora più piano di prima:
-Tutto.- La sua voce, calda e suadente, mi provoca un brivido involontario. Spero non se ne sia accorto.

Basta. È un gioco per bambini, non posso perdere così. Certo, dubito che sia stato pensato per persone invisibili, ma io sono una maga e una semidea. Devo pensare come un Corvonero. O come una figlia di Atena.

Allora. Si sarà pur mosso, no? Il terreno è ricoperto da rametti e uno spesso strato di aghi di sempreverdi. Nei punti in cui mi trovavo è leggermente pressato. Impronte. Ritrovo il punto da cui è partito. Le sue orme sono leggemente più profonde delle mie, ma si muove così rapido e preciso che gli aghi sono a malepena smossi. Le seguo. Si interrompono poco dopo, davanti alle radici di un albero. Impreco sottovoce. Doveva anche saper arrampicarsi, ovviamente.

La foresta è passata da conifere a quercie. Le foglie, mosse dal vento, producono così tanti fruscii che è impossibile distinguerli da quelli provocati da Logan. Sogghigno. A meno che tu non sia in grado di controllare il vento. All'improvviso l'aria diventa immobile e placida. Nessun rumore, se non il mio respiro regolare. È solo questione di tempo. Attimi per la precisione. Un leggerissimo fruscio poco sopra di me. Alzo lo sguardo.

Il figlio di Ecate, non più invisibile, è stravaccato su un ramo, le braccia incrociate dietro alla testa, con aria rilassata e il suo solito sorrisetto di scherno sbilenco.
-Mi ero stancato di aspettare.- confessa scendendo dall'albero con agilità. Faccio una smorfia.
-Seh, certo.-
-Comunque adesso arriva la parte più bella. Devi provare a prendermi.- Neanche il tempo di metabolizzare ciò che ha detto che, con uno scatto, lui si è già inoltrato tra gli alberi. Dei, se è veloce. Espiro profondamente e lo mando a quel paese, ma in un modo molto più volgare, poi parto all'inseguimento.

Lui corre, io perlopiù arranco fra le radici, rischiando più volte di inciampare. Devo stare attenta sia a dove metto i piedi sia a quel dannatissimo semidio che ogni tanto diventa invisibile per riapparire nella direzione opposta. Gli alberi si infittiscono e, a saltare da una parte all'altra come un coniglio sociopatico e schizzofrenico, comincia a mancarmi il fiato. Come era scontato succedesse, inciampo.

Un forte bruciore implode nel mio ginocchio, tuttavia so che guardassi cosa mi sono fatta, non riuscirei più a proseguire. Il dolore non soltanto lo si prova, ma lo si vede. Quindi, senza badare alla possibile ferita, mi rialzo e riprendo la mia faticosa e stentata avanzata. La caduta mi ha fatto schizzare l'adrenalina a cento. E... finalmente Lipsi! Il percepire le radici mi risparmia altre brutte cadute e il sapere esattamente dove si trova il ragazzo mi evita di essere ingannata dai suoi trucchetti, ma di certo non mi aiuta a raggiungerlo. Si muove con scioltezza, come se corresse fra gli alberi da tutta la vita. Forse è così.

Sbuchiamo in una piccola radura dove il semidio si arresta, permettendomi così di raggiungerlo. Non sembra stanco, solo un po' accaldato. Mi viene voglia di tirargli un pugno su quel bel viso. Volevo dire un bel pugno su quel viso. Forse. Mi siedo per terra. Da ferma riesco a sentire un dolore pulsante al ginocchio.

-Sei proprio scarsa.-
-Sai, non mi metto a correre fra gli alberi tutti i giorni.- rispondo acida.
-Dovresti. Così eviti di cadere come una pera.- Ahi, tasto dolente. Anche in senso letterale.
-Ho una vita sociale attiva, io!- Il che non è propriamente vero, ma quasi. Intanto comicio ad alzare i pantaloni per vedere la ferita.
-Ho più ammiratrici io che tu amici.- dice soggignando. Drigno i denti. La sua affermazione mi da parecchio fastidio, ma non so perchè. Mi convico che a farmi questo effetto è la seconda parte della frase.
-E tu ne hai tanti quanti le nuvole in questo momento.- ribatto, troppo presa dal sollevare i pantaloni senza provare fitte atroci per fare battute decenti. Il cielo è totalmente vuoto. Sento il ragazzo alzare lo sguardo bicolore per controllare e realizzo che io lo sapevo senza aver guardato. Grazie, Lipsi.

-Quelli che tu chiami amici ti possono tradire da un momento all'altro. Si può contare solo su sè stessi.- afferma, rigirando il coltello nella piaga. Soffro perchè di mio non riesco a fidarmi di nessuno, nemmeno di me stessa e tutti continuano a parlare di tradimento. Molto d'aiuto. Intanto, con molta cautela, sono quasi arrivata all'altezza della ferita. Sento qualcosa di caldo e vischioso scorrere lungo la gamba. Mi mancano pochissimi centimetri. Non sono sicura di voler guardare. Sento l'angoscia crescermi nel petto.

-Beh, tranquillo che di te non mi fiderò mai!- gli urlo. Il dolore mi fa impazzire, ma lui di più.
-Posso dire lo stesso per te! Io ti sto solo cercando di insegnare a sopravvivere!- ribatte a tono.
-Nascondino non mi salverà mai la vita!- Mi fa male ciò che dice. Perchè so che è vero.
-Vedremo.- Apro bocca per ribattere, ma involontariamente scopro il ginocchio. Per un attimo dei puntini bianchi mi danzano davanti agli occhi. Sbatto le palbebre. Stringo i denti per non urlare. Un profondo e largo taglio slabbrato mi attraversa il ginocchio. Ce tanto, tantissimo sangue. Mi si inumidiscono gli occhi. Logan impallidisce.

-Ecco, vedi! Se tu non fossi uno stupido maledetto arrogante...- trattengo a stento un singulto per quanto io stia lottando contro le lacrime -...e se non avessi voluto fare quel tuo stupido maledetto gioco comportandoti da stupido maledetto sbruffone, io non sarei caduta come una stupida maledetta pera e non mi sarei fatta questa stupida maledetta ferita, non proverei tutto questo stupido maledetto dolore e non perderei tutto questo stupido maledetto sangue! - sbotto furiosa. Lui rimane immobile e mi fissa inespressivo. Non riesco a vedere cosa dicono i suoi occhi poichè ho la vista appannata.

Mi alzo bruscamente, con una smorfia di dolore. Mi avvio veloce quanto la ferita mi permette in direzione della casa, fin troppo lontana. Il ragazzo fa per seguirmi.
-Io...- tenta di dire.
-Sta zitto! Non ti scusare perchè dubito tu possa provare dei veri sentimenti!- Accellero il passo. Sembra offeso ed esita per un istante, prima di raggiungermi di corsa. Mi posa la mano sulla spalla. Al suo tocco mi si stringe lo stomaco e non sembra solo rabbia. Mi ripeto che lui è la causa di tutto il mio dolore. Lo scaccio con violenza.
-Adesso mi servono gli amici, tu va pure dalle tue ammiratrici.- Si blocca di colpo e lascia ricadere le braccia lungo i fianchi. L'ho detto solo per ferirlo. Tutto ciò che voglio è stare sola. Le lacrime iniziano a scendere e riprendo a correre, la vista offuscata, con solo Lipsi a guidarmi.

Semidea a HogwartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora