Capitolo LXIV - Cappello di piume

663 77 38
                                    


Mi agito inquieta nel letto. Le parole di mamma mi perseguitano peggio di Peeves*. Ogni volta che la mia coscienza fa per sprofondare nel fantastico mondo del subconscio, un misto tra angoscia e terrore s'insinuano nel mio petto come una puntura di spillo.

Mi alzo, spazientita. Se non dormo perchè sprecare il mio tempo. L'iperattività torna a farsi sentire. Nonostante li avessi abbandonati da un bel pezzo nel baule dei miei pochi averi, riesco a trovare il mio album da disegno e l'astuccio. Prendo in mano la matita e la mia mente diventa improvvisamente vuota.

In realtà qualcosa c'è. È costantemente lì, in un angolino della mia mente costantemente ignorato. Inizio ad abbozzare i primi tratti. La mia mano continua da sola tracciando linee impresse nel mio sguardo. Marchiate a fuoco.

Le lancette dell'orologio in cucina segnalano che sono passate tre ore quando poso la matita. Fisso il disegno. E poi non ce la faccio più. Le emozioni di quello che è ormai ieri, nostargia, frustrazione, dolore e tutto quello che avevo sepolto il giorno della mia fuga, scivolano lentamente sulle mie guance, fino a diventare una copiosa liberazione.
Smettila, nemmeno un ghiacciolo al cospetto di Apollo fa così tante lacrime sciogliendosi.
Poi il mio sguardo torna sul disegno. C'è qualcosa che rende il tutto inverosimile. Con un impeto di rabbia impugno la matita e traccio rapidi e pesanti solchi.

Mi ributto sotto le coperte. Nonostante tutto, sento le mie palpebre farsi pesanti. Inizio a scivolare nell'oblio. Per terra giace il ritratto di un ragazzo. Un ritratto fatto con così tanta precisione da sembrare una fotografia. In bianco e nero. Un contrasto di colori forte quanto quelli dentro e fuori al ragazzo. Un ragazzo di una bellezza tale da sembrare quasi aliena. Un ragazzo con gli occhi di due colori diversi. Due occhi calmi, pensierosi e magnetici con un pizzico di malizia. Due occhi rovinati da dei solchi scuri. Perchè, se ora quel ragazzo non fosse un ritratto, i suoi occhi urlebbero. Urlebbero di combattere. Urlebbero di vedere. Urlebbero di meritare la libertà. Ma quel ragazzo è solo un ritratto.

Una fitta di dolore sul braccio. Con un gemito mi giro dall'altra parte e riprendo a dormire. Altra fitta di dolore nell'altro braccio. Mugugnando un'imprecazione mi porto la mano nel punto che mi fa male e sento qualcosa di caldo e vischioso. Apro lentamente gli occhi. Sangue. Riprendo lucidità. Due coltelli sono piantati nel materasso. Mia madre è sulla soglia della porta.
-Perchè?- domando balzando in piedi e cercando qualcosa per fasciare le ferite.
-Eri più reattiva quando sei arrivata qui.-
So che ha ragione, ma il mio orgoglio mi impone di ribattere.
-Scusa, ma non mi aspettavo attentati nel sonno da mia madre!-
-Devi essere lucida. Sempre.-
Fantastico. Ora non si può neanche provare a dormire che tua madre cerca di rimboccarti le coperte con dei pugnali affilati. La mia vita è complicata.
-Ti voglio di sotto tra dieci minuti. Niente scuse.-

Spreco addirittura un secondo per sbuffare. Mentre mi lavo la faccia, spruzzo il deodorante cercando di farne finire il meno possibile sulla mia faccia. Infilo dei pantaloncini e una maglietta completamente a caso, dei calzini e districo al volo la matassa informe dei miei capelli. Al volo nel senso che mentre bevo rapidamente una tazza di tè bollente, perdendo le papille gustative probabilmente, una spazzola mi insegue pettinandomi senza pietà. Afferro delle barrette ai cereali e mi precipito giù dalle scale. Sulla mia testa si erge impavido uno chignon arruffato. Arrivata  a metà strada, mi blocco e per un pelo non precipito giù per le scale. Dannazione. Le scarpe. Torno indietro imprecando.

Quando arrivo finalmente in garage, mamma mi fissa severa. -Undici minuti.- dice rimproverevole
Spero stia scherzando.
-Ho ucciso le mie pupille gustative e  il mio cuoio capelluto, oltre ad essermi quasi ammazzata io.-
-Potrei anche essere transigente se tu fossi minimamente presentabile.-
Mi guardo. Ho un calzino diverso dall'altro, la maglietta nera al rovescio e i pantaloncini blu. Mai abbinare nero e blu, è la filosofia di mia madre.

Rialzo lo sguardo con aria colpevole. Dentro ardo di rabbia. In dieci minuti non faccio nemmeno in tempo a scegliere quale tipo di biscotti mangiare. Il mio umore va sotto lo zero assoluto quando mia madre tira fuori un foglio di carta. Il mio disegno. Il battito del mio cuore inonda le mie tempie. Deglutisco.
-Ridammelo.-
Me lo porge. Resto per un attimo troppo sconcertata per reagire. Non mi aspettavo cedesse così facilmente. Lo afferro bruscamente. Purtroppo lei vuole sempre essere all'altezza delle mie aspettative.
-Brucialo.-
Ma l'unica cosa che brucia sono i miei occhi.
-No.-
-Hai promesso.-
Devo fare tutto ciò che mi dice. Senza protestare. Ingoio una matassa di rovi.
-Incendio.- sussurro.
La fiamme consumano rapidamente il foglio. Era solo un pezzo di carta.

-Non puoi fidarti di loro- ormai non li chiama nemmeno "i tuoi amici"-e la misericordia non fa vincere le guerre.-
Ha ragione. Però magari i biscotti sì. Dotrei provare.
-Ora la tua punizione.-
Una gabbietta con un uccellino fulvo si materializzano nella stanza.
-Devo trasformarlo in un cappello di piume o...-
La verità arriva troppo presto, tagliente come il vetro.
-Uccidilo.-
Strano gli occhi incredula. Non può fare sul serio. L'ultima volta che ho fatto un incantesimo del genere è stato contro i resti di un cuscino. Guardo il volatile. Piccolo, fragile, indifeso. Innocente. Sbatte le alette spaventato, ma quando incrocia il mio sguardo sembra tranquillizzarsi. Sento le sue piume fremere. Una creatura così piccola con una libertà così grande. Una libertà che io non avrò mai.

Tutto quello che dice. Senza protestare.

Sollevo la bacchetta. Il fringuello si posa sul trespolo. Inclina leggermente la testolina e mi fissa. È un figlio del cielo. È un mio fratello.
-Sono solo ossa e piume con una coscienza limitata.- dice lentamente mia madre.
Mi mordo il labbro. Non volerà mai più. Non potrà mai più avere dei piccoli. Non potrà più accudire quelli che ha già. La lista delle libertà di cui lo sto per privare è infinita.
-Lui è libero. Tu no.- interviene nuovamente mia madre.
Questo pensiero è una freccia che mi colpisce in pieno petto. Lui è libero. Io no. Perchè? È solo uno stupido uccello, che cosa ha fatto per meritarselo? Mi guarda fiducioso.

-Avada Kedavra!-

*Pix per chi ha letto la prima versione.

Scusate se il capitolo è meno divertente del solito, ma quello che sta succedendo sarà molto importante per la storia. Spero vi piaccia ugualmente!

Semidea a HogwartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora