19. Guai al cimitero

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«Pronto?», rispose Angel.

«Angel, ma che cazzo di fine hai fatto ieri sera? Perché hai saltato il tuo turno di guardia senza avvisare nessuno? Hai idea del casino che hai combinato?», disse la voce all'altro capo del telefono.

Il suo turno al cimitero: l'aveva completamente dimenticato, ma chi poteva biasimarlo dopo quello che era successo al museo? Dopo tutto anche quella giornata sarebbe stata uno schifo, come la precedente. La sua vita stava prendendo un andazzo che non gli piaceva affatto; l'unica cosa positiva era che adesso c'era David e in effetti non era niente male come controparte.

«Allora ci sei? Che stai dormendo?», riprese Robert.

«A dire il vero sì, stavo dormendo.»

«Cosa? Tu non dormi mai.» continuò a strillare Robert.

«Beh, stamattina invece mi sono addormentato. Scusa. E ieri sera è successo un gran casino al museo, non puoi nemmeno immaginartelo.»

«Ah già, adesso lavori in quel posto. Ti aspetto al cimitero tra cinque minuti. Abbiamo un sacco di cose da dirci.»

E troncò di netto la conversazione. Il suo tono suonava minaccioso, così come lo era stato quello del Master la sera prima; del resto Robert non apprezzava affatto che Angel avesse anche un altro lavoro, normale, al di fuori del cimitero e della squadra speciale. Nel mondo reale, uno pseudo-padre sarebbe stato felice di veder lavorare lo pseudo-figlio in un museo prestigioso, invece che in un lugubre cimitero, a trattare con zombie e mostri di ogni genere; ma a quanto pareva, Angel non viveva nel mondo reale e il suo quasi padre non era per niente contento che avesse quel nuovo impiego. Quando glielo aveva detto, qualche settimana prima, avevano avuto un violento litigio perché Robert non capiva il bisogno di Angel di avere una vita all'infuori della squadra; forse aveva riposto in lui troppe speranze, come se lui potesse risolvere definitivamente la questione dei soprannaturali, mentre la situazione non era poi cambiata di molto, da quando si era aggiunto alla divisione. Forse era deluso da lui perché non si comportava come avrebbe voluto, ma quella era la sua vita e non doveva renderne conto a un uomo che non era niente per lui. O magari sapeva che il presidente del museo era il Master, ma allora perché non glielo aveva detto? Angel sentiva la necessità di avere una vita lontano da quel cimitero e da quella squadra perché un senso di soffocamento e di disagio lo colpiva un po' troppo spesso nell'ultimo periodo; e poi aveva ventotto anni e non aveva mai vissuto come gli altri suoi coetanei. Aveva passato buona parte della sua vita in un orfanotrofio, fino a quando Robert non l'aveva visto casualmente parlare con uno zombie, al cimitero dove era sepolta sua madre; aveva visto in lui un dono speciale e aveva visto l'enorme sofferenza che si celava dietro ai suoi occhi. Così l'aveva preso sotto la sua ala protettiva e gli aveva insegnato tutto quel che sapeva sui soprannaturali; gli aveva trovato una casa, il lavoro al cimitero e lo aveva addestrato per la squadra, cercando però di tenerlo sempre lontano dal pericolo vero e proprio. Era arrivato però il momento di avere una vita autonoma e di realizzare i suoi sogni, provando ad ottenere ciò che avevano (o a cui almeno aspiravano) anche gli altri ragazzi della sua età: divertirsi con le ragazze e gli amici, trovare un amore vero, avere un conto corrente in attivo, un bel lavoro e una bella macchina magari.


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