11. Il presidente del museo

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Davanti alla voce che aveva parlato, si ergeva una splendida ragazza, alta quasi un metro e ottanta per via dei tacchi a stiletto vertiginosi, dalla pelle color porcellana e dai capelli neri come i suoi occhi; indossava uno strettissimo abito-bustier di pizzo nero lungo fino al ginocchio, che lasciava intravedere un microscopico paio di slip neri e l'assenza del reggiseno e qualsiasi altra copertura al corpo nudo. L'unico accento di colore era dato dal rossetto rosso fuoco, che incorniciava due labbra perfette, carnose al punto giusto, appena dischiuse. Era di una bellezza sconvolgente, quasi dolorosa e la sua posa, con le mani sui fianchi e le gambe leggermente divaricate, non faceva altro che accentuare il dolore. Stava fissando Angel dritto negli occhi, con quegli occhi talmente scuri da non permettere di distinguere la pupilla dall'iride e allo stesso tempo talmente espressivi da far credere che stesse scavando nella profondità della sua anima. Poi, con uno scatto sinuoso, quasi impercettibile, si spostò di lato e lasciò emergere la figura che stava nascondendo; era un uomo sui trentacinque anni, basso, che raggiungeva a malapena il metro e sessantacinque, con lunghi capelli neri dai riflessi blu, molto sottili e liscissimi. Anche i suoi occhi puntavano Angel, ma questa volta erano di un particolare verde tendente al grigio ed erano sottolineati da un pesante trucco scuro con le stesse tonalità. Portava un completo nero di raso, con camicia nera e cravatta rossa, meno elegante rispetto a quello di David Norman, ma comunque impeccabile e perfetto. Come la ragazza, aveva il volto chiarissimo, bianco, come un attore di teatro giapponese e allo stesso modo la sua espressione era una maschera, bellissima e terrificante. Angel si sentiva paralizzato e non sapeva cosa fare, così pensò di aspettare che fosse il presidente a parlare di nuovo, ma visto che non si decideva a farlo e il tempo passava, prese l'iniziativa.

«Mi chiamo Angel Black. La stavo aspettando. Credo ci sia qualcosa di cui dobbiamo parlare.»

«Lo credo anch'io. Keira, conduci il signor Black nel mio ufficio e attendi il mio arrivo. Devo svolgere il mio ruolo istituzionale di presidente prima.»

Quando gli parlò la seconda volta, fu anche peggio e Angel si sentì raggelare il sangue nelle vene; avrebbe avuto un incontro privato e ravvicinato col presidente, magari pensava che avrebbero potuto parlare in una saletta laterale o in corridoio, non in un luogo appartato e misterioso. Sì perché mentre camminava, si rese conto che non aveva mai sentito nessuno del museo nominare un "ufficio del presidente" e di certo ai piani superiori non c'era, altrimenti l'avrebbe visto; quindi dove stava andando con la dea dell'erotismo? Ora che la guardava da dietro, Angel notò che Keira (che a quanto pare era l'assistente personale del presidente, anche se non aveva mai visto né sentito di un'assistente che si presentava a un happening in un museo praticamente nuda) portava un perizoma, che lasciava in bella vista un sedere piccolo ma ben tornito, senza la minima traccia di imperfezioni estetiche; quella visione gli impedì di chiedere spiegazioni, anche se forse avrebbe dovuto, e allo stesso tempo di preoccuparsi troppo della sua sorte futura. Quando la ragazza si fermò, per poco Angel non gli andò a sbattere contro, dato che non stava esattamente guardando dove camminavano o dove erano diretti; finalmente si risvegliò dal suo torpore e si rese conto di essere in una zona a lui sconosciuta dell'edificio.

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