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Risentire l'odore del cemento bagnato e della muffa sui muri per l'ennesima volta gli fece trattenere un conato di vomito.

Era stato in comunità per un tempo che parve interminabile, pensava.

Era una stanza molto grande e poco curata, aveva il pavimento in cemento non rivestito e sempre umido, un'illuminazione fin troppo forte emanata da una lampadina al neon e delle sedie disposte in cerchio al centro.

Quella era la stanza dove si riunivano una volta alla settimana tutte le persone che "facevano a pugni con la vita", così le chiamava.

Uscito da quella prigione non ci avrebbe messo mai più piede. Infondo, però, si trovava in quel posto squallido per uscire da una prigione ben peggiore.

"Mi chiamo Louis, ho 24 anni, sono dipendente dal gioco d'azzardo e questo è il 92esimo giorno che passo lontano dal mio vizio." Un applauso lo accolse mentre, nella sua mente, malediceva chiunque avesse ideato un gesto così rumoroso. Sentiva che la testa avrebbe potuto scoppiargli da un momento all'altro e sporcare con il sangue tutte quelle persone che lo avevano causato.

Alzò lo sguardo quando sentì la voce di un giovane.

"Mi chiamo Harry, ho 19 anni e sono sei mesi che il mio corpo non assume nessun tipo di stupefacente." Ci fu di nuovo l'applauso, ma questa volta la mente di Louis era altrove. Guardava Harry di sottecchi senza farsi notare.

Aveva uno sguardo apatico, fisso nel vuoto che faceva trasparire un velo di malinconia. I suoi ricci castani erano tirati su da una fascia nera che gli copriva leggermente la fronte. Due aloni scuri circondavano i suoi occhi verdi smeraldo che incrociarono il suo guardo proprio in quell'istante. Louis assunse un'aria indifferente, distratta, mentre Harry si alzava dalla sedia senza dire una parola e imboccava il corridoio. La prima regola della comunità era proprio quella di non alzarsi durante una seduta, ma, molte volte, egli lo faceva e Niall, dirigente della struttura, cercava di non farci caso. Harry, infatti, era un tipo molto impulsivo e spesso non badava ai sentimenti altrui. Un giorno il giovane litigò in modo brusco con suo padre e lo spedì in ospedale, quella mattina era particolarmente nervoso e agitato. Pensava alla sua adolescenza volata via in un soffio di vento, passata per i tre quarti sotto effetto di stupefacenti. Quando suo padre si avvicinò per chiedergli dove fosse stato tutta la notte gli tirò un pugno in pieno viso e rigettò, su di lui, senza alcun motivo, tutte le sue frustrazioni. Dopo essersi sfogato girò l'angolo dell'enorme giardino e sparì per una settimana. Dopo poco i suoi genitori vennero a conoscenza del fatto che voleva curarsi.



...



Era una notte bellissima, il cielo candido e pulito mostrava con fierezza l'infinità di stelle che lo avvolgeva. L'aria fresca di Settembre accarezzava con dolcezza la pelle di Louis sdraiato sull'amaca, intento a fumare una sigaretta. La notte gli regalava emozioni forti e contrastanti. Ripensava alle notti passate con le persone che ora lo minacciavano di morte, a cui doveva una grossa somma di denaro, alle notti passate nei casinò fra luci e suoni che lo facevano sentire a casa. Sommerso da mille pensieri mentre avvicinava alla bocca,con un gesto ormai familiare la sigaretta che teneva fra le dita, per prendere un'altra boccata di nicotina, sentì un rumore alle sue spalle e si girò di scatto.

Harry camminava in modo molto lento, pensieroso anche lui, verso l'amaca dove si fermò un attimo quando vide Louis. Le sue mani erano infilate nelle tasche dei jeans che gli cadevano alla perfezione sui fianchi, lo sguardo stanco gli dava un'aria vulnerabile, osservò Louis.

"Puoi lasciarmi un tiro?" la sua voce era spenta, stranamente gli piaceva sentirlo così.

Harry era come nudo agli occhi di Louis perché in quel momento aveva perso la sua aria da bello e dannato. Era semplicemente Harry,un ragazzino di 19 anni, pieno di rimorsi e di solitudine nel cuore. Fece l'ultimo tiro e gli porse la sigaretta senza proferir parola. Le sue labbra erano morbide, rosse e gentili sul filtro. Si godeva a pieno ogni tiro come se fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto.

"È finita -disse Louis- si torna a casa" per chi c'è l'ha una casa, pensò.

"È arrivata la fine di ogni vizio, ma non delle conseguenze che porta esso" disse Harry, assumendo un tono rassegnato. 

"Ti capisco bene, amico, i problemi restano" Harry guardò per un'attimo Louis e si girò. Non si era mai interessato ai problemi altrui in quella comunità e anche in generale nella vita. A lui interessava solo di se stesso.

"Noi non siamo amici, ma per questa volta, dato che sono stanco, te lo lascerò pensare" disse freddo. 

Voleva solo una vita normale e sperava in questo una volta uscito da lì..ma gli serviva aiuto.

"Ho bisogno di una mano e a quanto pare..anche tu.." Cercava di ricordarsi il nome di quel bellissimo uomo sdraiato sull'amaca.

Egli capì.

"..Louis Tomlinson!"

"Giusto, Louis"

"Fammi capire meglio.."disse l'uomo incuriosito.

Harry spiegò che era ricco, figlio unico e che gli spettava una grossa somma di denaro in eredità, ma che i suoi genitori non avevano nessuna intenzione di dargli finché non si fosse sistemato, ovvero sposato o per lo meno finché non avesse avuto una storia seria.

"Harry, io sono un uomo. A meno che tu non sia gay e anche dichiarato alla tua famiglia la vedo lunga." Il giovane si rese conto di non averci mai pensato, ma non gli sembrava un ostacolo.

"Non è un problema, ho sempre fatto di testa mia e questo non ostacolerà il nostro piano." disse il giovane con fermezza.


"Perché lo chiedi proprio a me?" chiese l'uomo con un sorrisetto malizioso, rompendo il silenzio che si era venuto a creare. 

"Perché sembri l'unico qui dentro incasinato quanto me- il giovane si fermò, aspettando una risposta, ma Louis era intento ad accendersi un'altra sigaretta- allora è deciso, ci daremo una mano a vicenda" disse Harry, dirigendosi verso l'entrata, ma prima si girò un'ultima volta.

"Ah, Tomlinson, levati quel sorrisetto dal viso."








41 Days• l.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora