Capitolo 21 - Caffè e amore

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Julian entrò con la solita aria innocente da angioletto. Mi si strinse lo stomaco a vedere quell'espressione nei suoi occhi.

-Julian- dissi, riponendo la pistola nella relativa fondina. Il ragazzo avanzò, portandosi ai piedi del corpo di Caleb.

-No... non può essere... come... come è successo?- chiese, con una lacrima che gli rigava la guancia destra. Chiusi gli occhi, angosciato. La mia agonia era vedere la sofferenza in lui. Perché provavo quella sensazione?

-Noi l'abbiamo trovato qua- disse Dalton, quando Julian scosse la testa, indicandomi.

-Cody... come... cosa è successo?- mi domandò, allibendo Dalton. Io mi voltai verso gli altri, notando che mi fissavano con un cipiglio. Non avevano certo dimenticato la mia pseudo-confessione di prima. Mi schiarii la gola.

-Julian, forse è meglio che ti accompagni a prendere un caffè- proposi. Lui mi guardò, capendo il perché, e annuendo successivamente. Attesi che Julian mi superasse ed uscisse dalla porta, quando tentai di fare altrettanto. Una mano mi braccò: Jared mi fissava.

-Non sei tu l'assassino, Cody, ne siamo sicuri. Non eri nemmeno a scuola quando è morto Pavel. Ma dovrai spiegarci come mai ti porti una pistola dietro- mi disse, con calma. Qualcosa in quello che spiegò mi fece ragionare. Come faceva a sapere che io non ero a scuola alla morte di Pavel? Nessuno sapeva quando Pavel e Jonah erano morti. Mi riscossi, annuendo. Considerai che Jared potesse essere l'assassino. Avrei dovuto indagare sul suo alibi, ma in quel momento, era il mio sospettato numero uno.

L'agente che era in me si mise in stand-by, per permettermi di consolare Julian. Uscii dalla casa e lo vidi lì, da solo nel freddo della serata autunnale. Mi si strinse il cuore. Gli presi la mano, mi venne automatico quel gesto. Volevo solo confortarlo, volevo fargli sapere che io c'ero. Evidentemente non era più solo lavoro. Ma, avrei avuto il tempo, a caso finito, di valutare se io amassi veramente un uomo o no.

Percorsi tutta la strada in imbarazzo, in totale silenzio. Per mia fortuna non c'erano molte persone in giro a quell'ora, mi rendeva meno arduo il fatto di stare tenendo per mano un uomo.

Arrivammo alla caffetteria del campus. Entrammo ancora mano nella mano. Il locale era vuoto, vi era solo la cameriera che ci sorrise.

-Cosa vi porto?- domandò, io mi accorsi di avere ancora la mano intrecciata a quella di Julian, così la tolsi di colpo, arrossendo. Lei sorrise, lui anche. Poi, Julian parlò.

-Due caffè. Per me un macchiato con poco latte e due di zucchero, per te... un espresso italiano- decise lui, facendomi sorridere a mia volta. Ci sedemmo, e il clima ritornò tetro. Mi schiarii la voce e cominciai.

-L'ho trovato lì. È stato avvelenato. Ho rilevato le impronte e le manderò a far analizzare. Ci sono vicino Julian, so che ci sono vicino. Lo sento- dissi, lui annuì. La ragazza arrivò coi nostri caffè, ce li porse e tornò al bancone: stava pulendo per prepararsi alla chiusura. Io tornai a guardare Julian.

-Ho un vuoto dentro, Cody. Lui mi era stato vicino. Era in quella confraternita per colpa mia. Non posso accettarlo- spiegò, avvilito. Io scossi la testa, riprendendo la sua mano, non curandomi della cameriera.

-Non è colpa tua. Ti prometto che troverò quel bastardo e che passerà il resto della sua vita in un carcere federale di massima sicurezza- risposi, stringendogli la mano. Lui annuì, quasi capisse. Sapevo benissimo che avrebbe provato dolore per molto tempo, ed era forte. Non era mai crollato, non aveva dato segni di cedimento. Quel ragazzo era veramente forte. Sentivo di starmene innamorando, ma non mi pesava.

Finimmo i nostri caffè, e ci dirigemmo alla confraternita. Arrivati a metà strada, mi fermai.

-Vieni a dormire da me- proposi -Non sei al sicuro là-

Lui sembrò pensarci, così mi avvicinai, lentamente, adagiando e respirando sul suo collo. Poi, lo baciai, con passione, desiderio e amore. Volevo solo proteggerlo da quello schifo di mondo. Lui meritava di essere protetto.

Mi staccai, lui annuì.

-Va bene, ma niente sesso. Mi fa male ancora il culo- lo disse con sarcasmo, ma il suo viso era scuro. Io sorrisi e gli presi ancora la mano.

-Torniamo alla confraternita, prendi le tue robe e vieni da me- proposi. E così facemmo. Arrivammo in breve tempo alla confraternita. Aprimmo la porta. Julian salì le scale, io mi diressi in salotto. Dalton e Jared erano ancora lì, il cadavere era scomparso. I due stavano contemplando ciò che era scritto su un foglio bianco, discutendo animatamente. Appena mi videro si zittirono.

-Cosa è successo?- chiesi, quando Dalton mi parlò sopra.

-Come sta Julian?- domandò, io scossi la testa.

-Non bene ma gli passerà. Cos'è quel coso?- risposi, indicando il foglio. Dalton me lo porse, stranamente senza fare storie. Jared strabuzzò gli occhi. Lessi le due righe che componevano lo scritto:

All'Alpha della Eta Beta. Il Gran Consiglio, riunitosi nella giornata odierna, ha deliberato la necessità di uccidere l'Omega che sta rifiutando gli incarichi ufficiali, sabotando le nostre richieste.

Il Portavoce del Gran Consiglio.

Non ebbi il tempo di domandare nulla, perché Julian scese le scale, con uno zaino in spalla. Restituii la lettera a Dalton, che la posò sul tavolo. Presi la borsa del killer, che avevo lasciato dietro al divano, fingendo che fosse mia, e me la caricai in spalla.

-Julian dorme da me stanotte- li informai, Dalton annuì, Jared mi toccò la spalla.

-Stai attento, amico- mi disse, lasciandomi uscire con il ragazzo che, probabilmente, amavo.

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