Capitolo 26 - E vissero per sempre... (forse)

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-Tu non sei un assassino, Caleb- dissi, avvicinandomi lentamente al ragazzo.

-Stai fermo o ti faccio saltare la carotide- mi minacciò, con una tranquillità impressionante. Sorrise, sedendosi su una sedia.

-Caleb- provai a dire, quando mi zittì con un gesto confuso.

-Sono stato addestrato a uccidere. Mi hanno detto che l'unico motivo della mia insulsa vita era quello di vivere sotto copertura, di essere il killer silenzioso di un organizzazione lobbistica criminale. Mi hanno cresciuto, allevato come una bestia. Hanno ucciso mio padre, fatto impazzire mia madre. Mio fratello è un killer, io sono un killer e mia sorella sarà un killer. Questo è il piano divino, la decisione dei piani alti- spiegò, feci per ribattere ma Julian mi anticipò.

-Tu puoi scegliere, Caleb. Scegli la luce anziché dell'oscurità. Domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere- disse lui, sorridendo al ragazzo che rispose al sorriso.

-James Joice- specificò, nominando l'autore della citazione che gli aveva proposto Julian. Quest'ultimo si avvicinò ancora, spalancai gli occhi: stava giocando col fuoco. E io non volevo si ferisse. Caleb si alzò, girando la pistola e puntandola contro Julian.

-Mi dispiace- disse, guardando il suo migliore amico negli occhi e preparandosi a sparare. Fu in quel momento che vidi nei suoi occhi la distrazione. Ci stava pensando. Non attendevo altro. In meno di un secondo mi fiondai addosso a lui che si voltò e premette il grilletto verso di me. Arrivai prima e riuscii a deviare il colpo spostando il suo braccio dal gomito, poi lo atterrai, premendo la mano per fargli lasciare la pistola. Lui mi assestò un pugno al volto, io ricambiai il favore. Riuscì a farmi girare, rotolando finì sopra di me. In un gesto frenetico, afferrai la pistola di riserva nella fondina alla calza e gliela puntai addosso. Lui alzò le mani, con fare di resa.

-Alzati, Caleb- ordinai, lui così fece, con un sorriso strafottente dipinto sulle labbra.

-Non ti permetteranno di arrestarmi. Uccideranno me e te prima che arriviamo a qualunque palazzo federale. E, se per caso ci arrivassimo, ci penseranno i tuoi colleghi corrotti a farci fuori- disse, io piegai la testa.

-Oh ma io non voglio arrestare te. Tu sei una vittima, come tutti noi. Sei una vittima del sistema, un ragazzo che ha bisogno di terapia e psicofarmaci per tornare normale. Io voglio i tuoi capi. Dimmi un nome- proposi, lui scoppiò a ridere, quindi Dalton si fece vicino a me, mi fissava.

-Ti do io un nome- decise, io aggrottai la fronte, Caleb spalancò gli occhi.

-Se lo fai sei un uomo morto, lo sai- minacciò, più per metterlo in guardia secondo me. Dalton annuì.

-Sono già un uomo morto- confessò, trovando la mia approvazione. Se non avessimo arrestato i colpevoli, saremmo morti tutti. Caleb intervenne.

-Vuoi dei nomi? Barack Obama, Papa Francesco, La Regina Elisabetta. Potrebbero essere tutti coinvolti, persone più potenti di tutti noi. Non scherzare, Agente Cooper, non puoi pensare di arrestarli. Falla franca, finchè puoi, scappa, fuggi con Julian. Proteggi loro, se vuoi- disse lui, facendomi ragionare. Aveva ragione, ma non potevo fare come diceva. Che uomo sarei stato? Guardai Julian, poi Dalton e Jared, per poi fissare ancora Caleb. Scossi la testa, e guardai nuovamente Dalton.

-Il nome- ordinai, lui sospirò.

-James Martyle, il portavoce. Conosco solo lui- rispose, io ringraziai brevemente, prima di organizzare i pensieri. Diedi la pistola a Dalton, che la puntò su Caleb, poi estrassi il cellulare e chiamai Georgina. Rispose immediatamente.

"Cody, dimmi"

-James Martyle- risposi, lei fece un verso.

"Il milionario della Martyle Industries, cosa c'entra?" chiese.

-Lui è il portavoce della setta- dissi, lei ringraziò ed attaccò. Così feci un'altra telefonata, attesi qualche secondo prima che una voce squillante rispose.

"Colin Wood. Con chi parlo?" disse lui.

-Colin, sono Cody. Ho bisogno che mi fai un favore. Vieni alla Ohio State immediatamente con un paio di uomini fidati e un furgone- gli chiesi, lui sembrava preoccupato ma accettò.

"Stai bene? Chiamo due persone e arrivo, Cody, dammi... un paio d'ore, forse tre" io accettai, e attaccai, poi mi rivolsi a Caleb.

-Come hai fatto? Dove li tieni?- chiesi, lui sorrise.

-Li ho salvati, Cody. Li catturavo, fingevo la loro morte. Gli spiegavo la situazione e poi li mandavo da un uomo che li avrebbe addestrati. Voglio abbattere il Consiglio quanto te. Ma così ci farai solo uccidere. È una cosa graduale, devi corroderlo dall'interno. Arrestarli non servirà- io annuii. Forse aveva ragione, ma ormai non si tornava più indietro. Era ora di fare giustizia. Mi fidavo del sistema.

Colin arrivò con due agenti fidati, lo ringraziai. Gli diedi l'indirizzo di una casa sicura, un posto che nessuno conosceva, mi era stato assegnato dal mio superiore in caso che la missione fallisse e io mi sarei dovuto nascondere nel mio caso precedente. Feci salire sul furgone Dalton, Jared e Caleb. Mi voltai verso Julian, socchiudendo gli occhi. Nessuno poteva vederci lì, erano tutti fuori dalla casa.

-Devi andare con loro- dissi, lui scosse la testa.

-Io rimango con te- rispose, cocciuto.

-Amore, io ti voglio sapere al sicuro. Vai con loro e ti raggiungerò non appena tutto sarà finito. Ti prego, fallo per me- lo convinsi, lui annuì scettico. Lo baciai in maniera dolce. Quel bacio aveva un sapore di addio, ma non seppi il perché. Sarei ritornato da lui, una volta che tutto fosse finito. E l'avrei sposato. Perché così finiscono tutte le storie, no? E vissero per sempre felici e contenti...

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