Scrivere un dialogo che funziona

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Vi avverto subito: questo è un post con delle pretese. Per questo motivo, da parecchio tempo, me ne tenevo felicemente alla larga. Ogni volta che ne scorgevo il titolo nella breve lista di "post da scrivere"... be', semplicemente chiudevo il file. Arriva, però, un momento nella vita di un uomo in cui quello che devi fare, lo devi proprio fare. Oggi, quindi, con grande rammarico, parlerò di: dialoghi che funzionano

Accenni cronici

Come dicevo, erano mesi che questo post stava in lista d'attesa, in una sorta di limbo, come uno di quei "prima o poi lo farò" che pongono in perenne incompiutezza, e quindi meritevole d'essere vissuta, la nostra vita. Ciò mi rendeva felice, perché dava un senso al mio futuro; una sorta di aspettativa verso qualcosa ancora da fare che valesse la pena d'essere fatta. Un ragionamento contorto, ne prendo atto. Ecco, se c'è una cosa da dire sui dialoghi, fin da subito, è che meno sono contorti, meglio è per tutti: autore e lettore.

Da qualche mese, tuttavia, scorgevo continui cenni a questo argomento. Dove? Nei post di altri blogger, aspiranti scrittori, scrittori veri e propri, o addetti ai lavori di ogni tipo, forma, simpatia, talento, ecc. Un po' come quando decidi di acquistare un modello di automobile e, inevitabilmente, da quel momento in avanti, non fai altro che vedere in giro per le strade della tua città proprio quell'auto. Sembrano avercela tutti. Tutti, tranne te che devi ancora comprarla. Proprio questa settimana infine, Daniele, scrive un post che non c'entra nulla con i dialoghi, nulla con la scrittura creativa addirittura, ma nel bel mezzo di tante interessanti parole inserisce quell'accenno che mi spinge a scrivere questo post. L'affermazione era: Dialoghi che iniziano in mezzo alla narrazione (vanno evitati – NdR).

Bontà sua, dal suo punto di vista, Daniele, ha anche ragione. Tuttavia, presa così, quella frase può essere interpretata in modi sbagliati. Non è affatto errato far seguire il dialogo a una narrazione, inteso: nello stesso paragrafo. E ci sono autori che semplicemente delle regole e del buon senso se ne sbattono e mettono i dialoghi uno accanto all'altro, nello stesso corpo. Un botta e risposta tra personaggi senza mai andare a capo. Molto dipende da come si scrive e da cosa si scrive. Tuttavia, per dare un senso ordinato a un post complesso come questo, eviterò di parlare dei "casi eccezionali". Quindi i vari Joyce, McCarthy, Camus e compagnia bella, sono pregati di uscire. L'unico argomento ammesso qui, oggi, sono i dialoghi scritti da comuni mortali.

Regole generali

Prima di passare alle nozioni tecniche, facciamo una piccola carrellata di regole generali (e di buon senso) da tenere in grande considerazione quando si decide di scrivere un dialogo.

1. In linea di massima, un buon dialogo è un dialogo in cui accade qualcosa. Quando si narra, si stanno a tutti gli effetti raccontando dei fatti, cioè una concatenazione di cause ed effetti. Il dialogo è un fatto, ma di tipo diverso: è un fatto complesso, che si sta svolgendo lì, sotto gli occhi del lettore. In un dialogo, quindi, non basta che due individui parlino scambiandosi informazioni. Ciò che serve davvero, è che questi due "parlanti" agiscano. Vi sarà pur capitato di chiacchierare con qualcuno, no? Ebbene, durante i vostri, seppur sterili, colloqui, che fate? State fermi guardando il vostro interlocutore negli occhi e muovete esclusivamente le labbra? Io credo di no... Se va bene, gesticolate, giusto? Oppure vi muovete, magari compiete contemporaneamente altre azioni. Tutto questo fa parte del dialogo, quindi: va narrato.

2. Mai confondere un "parlato reale" con un dialogo scritto: non vivono nella stessa casa. Nemmeno nella stessa città. Sono semplicemente due mondi differenti. Provate, come spesso suggeriscono i manuali, a girare con un registratore in tasca e registrate dialoghi reali. Vi accorgerete che nessuna delle registrazioni può essere riportata in forma scritta senza far apparire il dialogo quantomeno bizzarro, irreale, in una parola: catastrofico. Eppure, i dialoghi scritti, devono apparire realistici, naturali, come fossero "parlati reali". Tale è la vera difficoltà di uno scrittore: rendere i dialoghi inventati, più realistici del parlato reale.

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