III

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  «Everything is blue 
his pills, his hands, his jeans [...] and it's blue»  


Luke e Heather rimasero lì fuori per circa un'ora, finché l'infermiera a cui lei aveva chiesto le medicine non uscì e li trovò, sgridandoli e intimandogli di rientrare.
Comunque, loro non smisero di ridere un attimo da quando rimisero piede nell'edificio, e Heather pensò che lui avesse una risata bellissima.
Poco dopo che avevano smaltito il divertimento era cresciuto l'imbarazzo, e alla fine Luke l'aveva salutata in modo impacciato, dicendole che doveva tornare dalla sua ragazza. Ma tutto alla fine era andato bene. Il peso sul petto di Heather si era alleggerito almeno un po', e lo ringraziò mentalmente per quello.
Quando tornò in stanza, c'era il dott. Irwin ad aspettarla, e aveva un cipiglio sulla fronte e dei fogli tra le mani. Come sempre, pensò Heather.
— Heather, quello che hai fatto oggi non si può ripetere. Capisco che tu sia sottopressione, e che quello che hai saputo sia difficile da accettare, ma noi vogliamo aiutarti. —
— Lei non ne ha idea di quanto sia difficile. —
Questo era il riassunto della loro conversazione, e Heather se n'era già dimenticata la sera stessa. Quello che si ricordava era ciò che le aveva detto subito dopo.
— Dovremo fare delle analisi, Heather. Spero tu capisca che abbiamo bisogno di esami, analisi e risposte mediche su ciò che è successo nella tua testa, anche se è più semplice di quello che credi. —
Chiuse gli occhi, cercando di dormire.
Lei non lo vedeva per niente semplice.

Nei tre giorni seguenti, Luke si fece vedere puntualmente sempre all'una e mezza, che era l'ora in cui le infermiere avevano appena lasciato la sua stanza dopo aver ritirato il piatto del pranzo appena consumato, e continuavano il giro. Così, non si sarebbero accorte della sua assenza. Inoltre, gli esami che faceva lei – ne aveva fatti solo due fino ad allora – erano sempre di mattina. Inizialmente, Heather odiò quel fatto, perché la costringeva a svegliarsi presto, ma poi con l'arrivo di Luke, divenne più conveniente.
Lui le disse che la sua ragazza era uscita dall'ospedale appena il primo giorno che loro si erano incontrati di nascosto durante la pausa pranzo, e quando poi tornò il giorno dopo, le disse che erano dovuti tornare per prendere il risultato di un paio di analisi; proprio per questo, si era fermato solo per una mezz'ora.
Alla fine, l'ultimo giorno, con un sorriso sulle labbra, lei gli aveva posto sempre la stessa domanda, e lui in risposta aveva alzato le spalle con le mani nelle tasche.
Adesso che stava per incontrarlo per il quarto giorno di seguito, era agitata e allo stesso tempo a sua agio.
Sapeva che lui aveva la ragazza, ma Luke era diventato importante. Non quanto lei per lui, certo, ma in poco tempo era riuscito a darle una sicurezza in quella vita che nemmeno lei stessa era riuscita a darsi.
Purtroppo era una ragazza che si affezionava subito. Le venne in mente l'ex–ragazzo che non voleva più avere nulla a che fare con lei e pensò cosa sarebbe successo se fosse stato Luke al suo posto.
Anche quel giorno, lui l'aspettava al solito posto; con le mani nelle tasche, la schiena contro il muro e un piede tirato su, poggiato sul calcestruzzo.
Quando sentì la porta chiudersi, alzò lo sguardo dal cellulare che aveva in mano e le sorrise.
Lei ricambiò, un po' titubante. Stava indossando una vecchia tuta che i suoi genitori le avevano portato da casa, e che una volta le apparteneva. Erano un paio di pantaloni grigi a vita bassa e una maglietta a maniche lunghe che si era leggermente alzata sui fianchi. Lei si accarezzò le braccia per infondersi calore e proteggersi dal freddo pungente di Febbraio. Si strinse nel giacchetto dello stesso colore dei pantaloni e si avvicinò a lui.
— Ehi, tutto bene? — le domandò Luke.
Lei annuì, ma non gli chiese perché fosse lì anche quel giorno. Avrebbe voluto e allo stesso tempo no, paurosa di sapere la risposta.
— Ti ho portato una cosa. — disse lui per smorzare il silenzio che si era creato. Si staccò dal muro e frugò nelle sue tasche prima di tirarne fuori un elastico. Lei sorrise inevitabilmente, dimenticandosi di tutte le incertezze che aveva un minuto prima. — Per la ragazza con i capelli sempre al vento, che le vengono davanti e le danno fastidio. —
Lei prese il laccetto blu dalle mani del ragazzo e lo tenne per un po', rigirandoselo tra le dita.
— E' blu. Il mio colore preferito. Ti ricorderà di me quando lo userai. — la informò lui, guardandola da quei parecchi centimetri in più d'altezza che portava. Il sorriso di Heather si ampliò, e non perse tempo a crearsi una piccola crocchia sulla testa.
Luke, istintivamente, le portò un ciuffo di capelli che le era scappato dietro l'orecchio.
Poco dopo, si incamminarono sul prato inglese e vi si sedettero sopra, parlando del più e del meno per la successiva ora e mezza. Stettero insieme più di quanto avessero mai fatto, e lei riuscì a dimenticarsi di tutto ciò che le opprimeva il petto il resto del tempo.
Questo era più o meno ciò che successe anche per i cinque giorni successivi, finché a Heather non venne comunicata la notizia che sarebbe stata dimessa quel pomeriggio.
I suoi genitori rimasero tanto impreparati a quel cambiamento quanto lei.
Sarebbe tornata a casa, nella sua vecchia stanza, alla sua vecchia vita. I suoi genitori avevano cercato sempre di non pressarla troppo o affrettarla a qualche decisione, ma era chiaro che lei sarebbe dovuta tornare a scuola e provare a ricominciare da capo una vita, seppur sempre con la speranza che la memoria potesse tornare.
E lei non sapeva se era pronta, ma non aveva scelta.
Per quanto riguardava quella coppia che chiamava i suoi genitori, ci aveva fatto abbastanza l'abitudine (le faceva male ammetterlo – quasi fossero una presenza che c'è e di cui non ci si può liberare), e pensava che prima o poi avrebbe anche potuto chiamarli nel modo che spettava loro. Il suo problema era la scuola. Tutti quei visi sconosciuti certamente già sapevano quello che era successo, e se non era così, lo avrebbero saputo, e lei non era pronta a tutte quelle occhiate curiose, le voci nei corridoi, i gossip, le domande. Il nervosismo cominciò già a crescerle dentro.

Quel giorno, non incontrò Luke.
I suoi genitori rimasero con lei dalla mattina per sistemare tutte le sue cose portate in ospedale, per parlare con il dott. Irwin e, comunque, per tornare a casa con lei. Così, Heather non ebbe modo di uscire neppure un attimo e avvertire Luke, o comunque dargli la notizia.
Quando ebbe finito di vestirsi per lasciare l'ospedale, raggiunse i suoi genitori e il dottore nella stanza che loro le avevano indicato.
Quando entrò, i suoi genitori erano seduti da una parte della scrivania, e dall'altra c'era il dott. Irwin che parlava con le mani unite sopra il legno della superficie. Tutti e tre si girarono a guardarla e subito suo padre si alzò dalla sedia, andandole incontro.
— Ettie, il dott. Irwin ha i risultati delle analisi. — mormorò lui vicino al suo viso, come se non volesse rompere il silenzio che si era creato in quella stanza.
La ragazza annuì, un po' riluttante e in ansia, e poi si sedette sulla terza sedia accanto a quelle di Elizabeth e Cole.
— Bene. — esordì il dottore, sistemando gli occhiali sul naso e armeggiando con diversi fogli. Tirò fuori da una busta bianca delle radiografie e poi le puntò su un schermo luminoso. La radiografia mostrò subito il cervello di Heather, che inarcò le sopracciglia cercando di capirci qualcosa.
— Allora, questo è ciò che è successo a Heather con l'incidente. Questo — Indicò un piccolo cerchio grigio nel mezzo del cervello. — è il lobo temporale. Con il colpo è stato danneggiato, e purtroppo sembra in modo permanente. —
Heather trattenne istintivamente il respiro, assimilando le parole che quell'uomo aveva appena detto.
— Sembra che il danno sia profondo, e voglio essere totalmente sincero con voi: è raro che i ricordi tornino. Quello che è successo è stato un gesto istintivo della tua mente per proteggerti da qualcosa di brutto. In questo caso l'incidente. Ha creato una sorta di blocco che ti impedisce di rivivere certi episodi. Poteva cancellarti i tuoi scorsi due, quattro, dieci anni, o tutti quelli vissuti prima del risveglio. E' chiamata amnesia retrograda. Potremmo provare a rievocare qualcosa, ma io... non so... —
Heather sbatté le palpebre ripetutamente, imponendosi di rimanere forte e non piangere, ma era davvero difficile.
Non solo le stava dicendo che probabilmente non avrebbe mai recuperato la memoria, ma le stava anche dicendo che le era capitato il peggio. Che avrebbe potuto dimenticarsi di appena due, tre anni, ma che invece si era dimenticata di tutto ciò che aveva vissuto prima di quel momento.
— Solo qualcosa di altrettanto significativo e decisivo potrebbe, forse, sbloccare i tuoi ricordi. —

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