VIII

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Era il terzo giorno di scuola.
Dopo la conversazione avuta con Michael le cose si erano fatte leggermente imbarazzanti, così per pranzo l'aveva invitata al tavolo con lui e i suoi amici.
Sembravano essere rimasti tutti piuttosto sorpresi, all'inizio, e Heather si era stancata di quella situazione, così alla fine se n'era uscita con un: "Se preferite rimango fuori dalla porta fin quando non avrete imparato a guardarmi senza che sembri abbiate davanti un cucciolo smarrito", al quale si erano tutti fatti una bella risata e al quale c'era scappato un "Eccola, la nostra Ettie" da parte di Michael che l'aveva fatta arrossire. Non sapeva perché.
Comunque, alla fine, seppure non fosse stata sua intenzione essere sgarbata, sembrava che nessuno se la fosse presa. Avevano mangiato tutti insieme ed era persino riuscita ad inserirsi in un paio di discorsi... okay, davvero solamente due, ma non era colpa sua. Non sapeva come prenderli, quei ragazzi. Seppure si trovasse bene in loro presenza. Erano genuini. Non facevano domande.
Così, la prospettiva del terzo giorno di scuola sembrò meno dura. La prima ora di Chimica era passata piuttosto lentamente e adesso non vedeva l'ora di prendersi qualche minuto di pausa, magari prendendo una boccata d'aria.
Finito di riporre i libri nell'armadietto, prese quelli di cui aveva bisogno per l'ora d'Inglese successiva e chiuse l'anta in ferro. Quasi sobbalzò quando trovò un viso a fissarla.
— Oh, scusa, non volevo spaventarti. —
— No, non preoccuparti. E' solo che non sono abituata a gente intorno a me. —
La ragazza annuì distrattamente; sembrava già star pensando a qualcos'altro.
— Va tutto bene? Posso esserti d'aiuto? — Questa sembrò pensarci su.
— Non ti ricordi di me, mh? —
Heather avrebbe voluto dirle che no, come poteva? Perché era sicura che ormai tutti in quella scuola sapessero di ciò che le era accaduto, ma non voleva essere sgarbata, così scosse semplicemente la testa con sguardo sconsolato. Ormai ci aveva fatto l'abitudine ad essere guardata con quel misto di delusione e "Rimango a fissarti perché magari da un momento all'altro potresti avere un dejavù". Certo, come no.
— Abbiamo Algebra insieme. Eravamo amiche. —
Heather non seppe cosa dire. Era inutile che le venisse detto ciò, cosa poteva farci ormai lei? Non aveva scelto quella situazione e se avesse potuto, avrebbe cambiato le cose. Ma non poteva. E le dispiaceva, ma non era la buona samaritana che tutti pensavano che fosse. Avrebbe forse dovuto fare ammenda a tutti quelli che aveva ferito involontariamente e dei quali neppure si ricordava?
La ragazza non sembrò voler dire null'altro e a Heather crebbe il nervosismo, così — Scusa, adesso devo proprio andare. — con il quale si liquidò, sfoggiando un mediocre sorrise tirato.
Le diede le spalle e infiltrandosi fra la massa uscì dall'edificio. Respirò aria fresca e chiuse gli occhi. "Eravamo amiche".
Strusciò lungo il muro e si accucciò contro il cemento freddo.
— Giornata dura, eh? —
Heather scattò con lo sguardo alla sua destra. Un paio di gambe slanciate e fasciate da dei skinny jeans neri le apparvero davanti alla visuale. Seppe subito a chi appartenevano. Alzò lo sguardo e un sorriso ammiccante le apparse davanti.
— Luke. —
Il giorno prima era l'unico rimasto stranamente in silenzio e Heather si era un po' stancata di dover preoccuparsi di tutti, anche se in quel momento era più la frustrazione a parlare per lei. Si sentiva oppressa da tutti quegli sguardi strani che riceveva ogni giorno. C'era già lei a commiserarsi, non servivano anche gli altri.
Incrociò le braccia sopra le ginocchia raccolte al petto e tornò a guardare davanti a sé. — Ed è solo la prima ora. —
Quando il ragazzo rialzò il braccio, notò che aveva in mano qualcosa... e la stava portando alla bocca. Quando la beccò a fissarlo, sorrise ancora. Lei assottigliò gli occhi.
— Fumi. —
Scrollò le spalle, — Ogni tanto. — Buttò fuori il fumo e Heather vi scorse un senso di libertà. — Sono di Calum. Ne vuoi una? —
Rimase un momento a fissarlo, in silenzio. Lui sembrò cercare di leggerle nel pensiero.
— Fumavo, prima? —
Lo sguardo di Luke sembrò addolcirsi. — Qualche volta. Con Calum o Michael. —
Lei annuì come se capisse, ma le se stava annebbiando il cervello. — Ma non volevi prendere l'abitudine, no. Dicevi che se dovevamo farci del male, tanto valeva farlo insieme. —
— Eravamo amici io e te? — Rialzò lo sguardo verso di lui, che ormai aveva gettato la sigaretta, schiacciata a terra accanto alle sue converse total black. Le sembrò passata una vita da quando aveva parlato l'ultima volta.
Luke non rispose, ma continuò a guardare davanti a sé con una calma da persona poco lucida. Come se avesse svuotato la mente in modo totale.
— Ha importanza? —
Heather non seppe dire quanto tempo dopo, ma Luke se ne andò.

Mangiarono nuovamente insieme quel giorno, in mensa.
Il ragazzo col quale aveva avuto una strana conversazione diverse ore prima sembrava essersi completamente dimenticato di ciò. Forse era l'unica ad ancora pensarci, eppure non riusciva a togliersi dalla testa la differenza fra quel Luke e quello impacciato e gentile che aveva conosciuto all'ospedale. Le piacque pensare che solo lei era a conoscenza di quel ragazzo, ma dei suoi sbalzi d'umore sembravano esserne a conoscenza tutti.
Era solo una brutta giornata, pensò Heather, mentre Michael la stava riaccompagnando a casa a piedi.
— E' vicino e ci farà bene una camminata! — le aveva detto e lei aveva sbuffato.
Nel tragitto, lui le aveva raccontato di come una volta l'avesse battuto a Fifa e per vendetta le avesse fatto il solletico fino a farle mancare il fiato. O del fatto che l'avesse accompagnata al ballo di fine anno dell'anno precedente e avevano interrotto il lento inserendo una canzone rock, cantandola insieme sul palco. Erano stati cacciati dalla serata, per quello, ma era andata bene così.
Era la prima volta che Heather non si sentiva a disagio a sentir parlare della precedente sé. Anzi, aveva riso come se le stesse parlando di tutt'altra persona. Ed era così. Il pensiero, tuttavia, la rendeva un po' triste. Aveva perso quei momenti.
— Dovevo essere popolare. — scherzò. — Oggi una ragazza mi si è avvicinata per rivendicare la nostra amicizia. —
Si sentì improvvisamente male, come se le avessero portato via tutto l'ossigeno e una forza la stesse spingendo contro il cemento della strada.
Eppure, quando Michael parlò, stava ancora camminando al suo fianco.
— Lo eri. — affermò serio. — Voglio dire, non eri popolare in quel senso, ma avevi amici. Eri una tipa apposto. Non ti mostravi ma neppure ti nascondevi. E poi eri la ragazza di... —
Il ragazzo sembrò fermarsi appena in tempo, ma Ettie ormai aveva impiantato i suoi piedi atterra e lo stava guardando con occhi sbarrati.
— Michael, prima non ho tirato fuori la questione perché mi sembrava un po' imbarazzante, ma... se sai qualcosa sul mio ragazzo, ti prego, dimmelo. — Il diretto interessato sembrò guardare dappertutto tranne che lei. Sapeva qualcosa. — Non riesco a trovare traccia di lui, com'è possibile? —
— Stavate insieme da poco. —
— E' quello che mi sono detta anch'io, ma neppure una foto nell'armadietto? C'è qualcosa di strano. —
Michael sospirò a pieni polmoni e finalmente la degnò di un'occhiata. Sembrava divertito come se stesse tramando qualcosa di cui lei era all'oscuro e allo stesso tempo stanco.
— Adesso devo andare. — La baciò sulla guancia e non le diede il tempo di replicare che, — Ehi, guarda, sei arrivata! — le urlò indicando l'edificio dietro di lei. Alzò le braccia al vento mentre retrocedeva all'indietro, le ammiccò e si voltò.

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