XXI

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Il pomeriggio con Grant passò fin troppo in fretta, ma fu molto piacevole.
Il campus era letteralmente immenso: avevano visto la Kane Hall, dove tenevano la classe di Tecnologia, di Fotografia e gli eventi. Dentro sembrava un teatro.
Poi avevano visto la Red Square, altre due biblioteche, il campus delle Arti Performative, quello di Scienze e Ingegneria, di Architettura, Fisica e Astronomia, ed erano sbucati su un'altra piazza con una fontana circolare gigantesca, sulla quale affacciava la Bagley Hall, che sembrava essere il Dipartimento di Chimica. A quel punto, Grant era riuscito a procurarsi un depliant e così avevano visto il resto attraverso le foto.
Alla fine, si erano fermati nel primo bar che avevano incontrato ed erano rimasti a chiacchierare e guardare i ragazzi che passeggiavano fuori dalla finestra.
Avevano fantasticato sull'anno successivo, quando sarebbero andati all'Università, e Heather gli aveva confessato di non aver ancora idea quale college frequentare, con tutto quello che era successo, e che per questa ragione stava pensando di prendersi un anno di pausa.
Grant non era un tipo che giudicava, infatti annuì comprensivo e cambiò argomento quando capì che non le piaceva parlarne. Le raccontò di tutte le volte in cui era venuto in quel posto per rilassarsi sotto ad un albero, o semplicemente per confondersi un po' fra i collegiali.
Aveva detto che se mai fosse successo qualcosa e non avesse potuto arruolarsi, avrebbe frequentato quel college insieme al fratello e preso Giurisprudenza.
Grant sembrava davvero un ragazzo apposto, e a Heather sembrava ancora impossibile averlo conosciuto e starlo frequentando.
Lui era così diverso dai quattro ragazzi con i quali era stata sin dal primo giorno di scuola. Non che Michael, Ashton, Calum e Luke non fossero fantastici. Ma Heather aveva bisogno anche di altro. Aveva bisogno di riscoprire ogni sensazione, ogni emozione, ogni brivido, ogni sfumatura di quella vita. Era come una necessità e un dovere allo stesso tempo. Era come trovarsi a Londra e fermarsi a vedere solo il Big Bang. O come trovarsi a Roma e vedere solo il Colosseo.
C'era molto di più. C'era così tanto. La vita era come le mille sfumature del cielo durante il tramonto. Ogni giorno, erano diverse da quello precedente.
E quando chiudeva gli occhi, Grant era una bellissima sfumatura di blu.

Quella domenica, di pomeriggio, lui le aveva semplicemente mandato un messaggio con scritto Ci vediamo domani x. Heather si era sentita estasiata, sebbene a malapena significasse qualcosa. Non aveva idea di come funzionassero queste cose.
Così, il lunedì a scuola, non appena incrociò i ragazzi, raccontò loro tutto. Dalla telefonata al posto in cui l'aveva portata, alle loro chiacchierate sul futuro. Si erano mostrati tutti contenti, e Ashton le aveva ripetuto che lui era davvero un bravo ragazzo, eppure le poche cose che dissero – cose come "Grande!", "Wow, sembra fantastico" o "Sono felice per te" – le erano sembrate forzate, come se si fossero sentiti di dirle così solo per farla contenta.
Luke fu il primo ad allontanarsi; faceva tardi alla classe di Educazione Fisica. Heather lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete: mancavano ancora cinque minuti all'inizio delle lezioni. Sperò si fosse dimenticato della discussione di un paio di giorni prima, perché lei già l'aveva rimossa, e non aveva proprio voglia di rimuginarci sopra come faceva di solito.
Dopo pochi secondi, anche gli altri la salutarono, dandole appuntamento a pranzo, dopodiché ognuno prese una strada diversa, lasciandola da sola in mezzo al corridoio.
Heather non ci fece più di tanto caso; capitava spesso che i ragazzi facessero cose strane come quelle: cambiare argomento con disinvoltura quando lei arrivava, ad esempio. All'inizio pensava che fosse per la sua amnesia e per il fatto che ancora non avessero quel rapporto che avevano ora. Ma succedeva ancora, così Heather aveva capito che finché non fosse stato un problema per la loro amicizia, sarebbe andato bene anche a lei.
Luke non si presentò ad Algebra. Alla prima ricreazione, Heather avrebbe voluto trovarlo e chiedergli cosa fosse successo, ma non trovò nessuno dei ragazzi. Mandò loro un paio di messaggi, ma non ricevette mai risposta.
Mentre fissava il cellulare per la centesima volta, seduta sul prato con il proprio vassoio al fianco, Heather sbuffò. Quando lo ripose in tasca, una figura imponente la salutò.
— Grant! — ricambiò lei, sorridendogli.
— Volevo chiederti se domani ti andava di accompagnarmi da una parte? —
— Oh, certo. Posso sapere dove? — Si morse il labbro. Questa volta era curiosa.
— Voglio farmi un tatuaggio. —
— E' grandioso – —
Heather non fece in tempo a finire la frase che un altro ragazzo montò sulle spalle di Grant, facendogli quasi perdere l'equilibrio.
Aveva i capelli biondi, gli occhi cerulei e un sorriso malizioso da cui era difficile spostare lo sguardo, quasi fosse una calamità. Era bello; di una bellezza opposta a quella di Grant.
Portava una giacca viola con il disegno di un bulldog sul retro.
Heather capì che quello era Tyler. Lo aveva visto spesso per i corridoi con un altro gruppo di ragazzi che indossavano una giacca identica, e aveva intuito componessero la squadra di football della scuola.
— Ehi, amico, sei scomparso! — lo rimproverò con un sorriso sulle labbra e lasciandogli pacche sulla schiena. Quando vide Heather, sembrò capire. — Oooh, sei con una ragazza. Piacere, sono Tyler. Tyler Brooke. — Le porse una mano e lei la strinse. Dal suo sguardo sembrava dire "So che sai chi sono, ma lo dico lo stesso per far scena".
— Heather Cole. —
Due ragazzi imponenti le torreggiavano sopra; decise di alzarsi.
— Allora, che state combinando voi due? — domandò con umorismo.
— Tyler, smettila. Stiamo solo parlando. — Poi si rivolse a Heather. — Scusalo, non è sempre così coglione. Anzi, lo è, ma un po' di meno. —
Heather si accorse che anche lui stava ridendo. Battibeccarono un po', e a lei parve una bella amicizia. Non sapeva cosa potessero avere in comune, ma certe volte era meglio così, pensò, almeno non ci si stancava l'uno dell'altro.
— Allora a domani, Heather. —
Lei annuì e Grant le fece l'occhiolino.
— E' stato un piacere, Ettie. — disse Tyler. Il sorriso della ragazza svanì quando ormai loro le davano le spalle. Come diavolo faceva a sapere il suo nomignolo?
Magari se l'era inventato al momento, pensò. Da un tipo come lui era possibile.
Scrollò le spalle e guardò il suo hamburger di spinaci.
Quando, tempo prima, Michael aveva reagito così male alla sua risposta su cosa pensasse del vegetarianismo, Heather aveva capito d'aver detto qualcosa di sbagliato. Poi a casa aveva trovato diverse scatole di tofu e seitan, e aveva fatto due più due. Quando aveva chiesto ai suoi genitori, loro le avevano confermato che prima era vegetariana.
Da qualche giorno stava provando a tentare di non mangiare carne, ma le sembrava piuttosto difficile e si chiese come avesse fatto la sé di prima.
Luke non si presentò neppure a Spagnolo. Durante il cambio classe tra la penultima e l'ultima ora, a Heather parve di vedere i capelli blu di Michael – sì, alla fine si era fatto blu – e quelli biondi di Luke, ma non era riuscita a raggiungerli prima che scomparissero dietro l'angolo.
Così, alla fine della sesta ora, uscì, speranzosa di parlare con i ragazzi una volta per tutte. Non si sarebbe mai aspettata di trovare Luke appoggiato al muro, mentre guardava verso la folla che divampava fuori dalle porte.
— Luke. —
Lui sembrò innervosirsi, quando lo raggiunse, ma subito le sorrise.
— Ehi. Ti va se ti do un passaggio a casa? — Indicò la Corolla del 2003 metallizzata parcheggiata sul ciglio della strada.
Lei guardò il suo viso: sembrava stanco, terribilmente stanco, ma anche temperato, come se stesse facendo uno sforzo immane per rimanere calmo.
Heather non poté fare altro che mettere da parte qualsiasi altra questione e rivolgergli un sorriso affettuoso, poi seguirlo.
Una volta che si trovarono dentro l'auto e che furono partiti, sembrò essersi rilassato un po', ma lei riusciva a capire quando aveva i nervi a fior di pelle: teneva lo sguardo fisso su qualcosa, ma il respiro era misurato; la mascella rilassata, ma i muscoli contratti; le mani apparentemente poggiate su qualcosa, ma la presa salda.
Heather decise di lasciargli spazio per pensare, ma davvero non capiva che problema ci fosse.
Alla fine, nemmeno lei riuscì a dire nulla. Aspettò che fossero sotto casa sua.
— Luke, va tutto bene? —
Lui sembrava evitare il suo sguardo.
— Ettie, — Era la prima volta che la chiamava così. Sentì un colpo al cuore e dovette soffocare un ansimo. — mi dispiace. —
Luke continuava a non guardarla negli occhi, ma fissava un punto alle sue spalle con gli occhi spenti. La loro solita lucentezza non c'era più.
— Luke... —
— Mi dispiace per quello che ho detto l'altra sera. Grant è un bravo ragazzo e sono contento che tu stia riuscendo ad andare avanti. —
— Luke, che... — Sembrava quasi che le stesse dicendo addio. Heather sentiva come se qualcosa le si stesse sgretolando fra le mani come sabbia.
— E' quello che noi ragazzi volevamo sin dall'inizio. —
Il suo tono era sereno, le sue labbra erano inclinate in un sorriso, ma i suoi occhi sembravano vuoti.
Lo guardava cercando di fermarlo, ma non sentiva uscire nulla. Era ridicolo! Che diamine stava succedendo? Perché aveva come l'impressione di starlo perdendo? Come se le avessero ficcato una mano nel petto e le stessero tirando via il cuore a strattoni.
Perché lo amava, e Grant era appena entrato nella sua vita. Perché amava Luke e sentiva che lui stava barricando quella strada. Stava puntando dei chiodi sul suo cuore.
Poi, finalmente alzò lo sguardo su di lei e, per un attimo, Heather avrebbe preferito che non l'avesse fatto.
— Domani Ashton pensa di passarti a prendere con la su auto. Io e te ci vediamo a scuola, okay? — Le sorrise, ma si vedeva che stava cercando di fare la cosa giusta per lei.
Poi si girò e si allontanò.
Heather ricominciò a respirare e lo rincorse.
— Luke! — Lo afferrò per un braccio e lo bloccò sul posto. Lui stendeva imponente di fronte a lei, con le sue spalle grosse e la sua lunghezza.
Si ricordava ancora la prima volta che lo aveva visto in quella sala d'attesa all'ospedale: le gambe lunghe e affusolate erano fasciate dai skinny jeans e allungate scompostamente sul pavimento. Con i capelli arruffati e i tagli sul volto, Luke le era sembrato bello. Una bellezza ribelle e scomposta, ma non ci aveva pensato subito.
Ci aveva rimuginato e rimuginato sopra, come faceva con tutto. Solo che con lui aveva sempre paura di rovinare qualcosa, se ci si metteva troppo a pensare.
Perché Luke era qualcosa di speciale, senza un perché. Era una di quelle cose che aveva saputo sin da subito.
Lui si fermò per un attimo, ma abbassò lo sguardo su qualcosa che sembrò catturare la sua attenzione. Le afferrò e alzò delicatamente il polso.
— Lo hai ancora? — le domandò, sfiorando l'elastico blu che le aveva regalato i primi giorni che si erano conosciuti all'ospedale, come se fosse una cosa tanto strana quanto bella. Sembrava sorpreso.
— Non l'ho mai tolto. — gli confessò. Lui cominciò a giocarci sfiorando la sua pelle, poi si fermò, prese un respiro e la guardò dritta negli occhi.
— Devo andare. —
Sembrava un po' più sollevato di prima, ma comunque amareggiato.
— Luke, — Lo fermò afferrando un lembo della camicia aperta che portava, fissandolo negli occhi. — promettimi che non mi lascerai. —
Era una cosa che aveva sentito di dovergli chiedere.
Lui sembrò colto alla sprovvista, poi addolcì lo sguardo.
— Lo prometto. —
Lo vide allontanarsi da lei e in quel momento capì che se Grant era una bellissima sfumatura di blu, Luke era centinaia di sfumature insieme capaci di togliere il fiato.

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