XVII

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Quando si svegliò, le faceva male tutto.
Un braccio era schiacciato tra l'addome e il sedile e di conseguenza si era addormentato; il collo le doleva per la scomoda piega in cui era rimasto tutta la notte.
Ci mise un po' per ricordare come fossero andate le cose la sera prima.
Lei e Luke erano tornati a casa verso le dieci di sera, dopo essersi fermati a fare un giro e aver mangiato nella zona intorno alla Cascade Mountain.
I suoi li avevano visti, ma loro erano rimasti a chiacchierare in macchina e alla fine si erano addormentati. Non sapeva come fosse successo. Ricordava solo che stavano ascoltando i cd delle band che piacevano a Luke mentre lei un po' lo prendeva in giro e un po' si godeva la musica, poi, d'improvviso, era mattina.
I suoi genitori non l'avevano svegliata – si domandò perché.
Qualcosa bussò contro il vetro del finestrino.
Era suo padre che con sguardo comprensivo e un po' divertito li guardava. Non sembrava arrabbiato. Quando la sera prima li aveva chiamati e detto loro come le cose erano andate, inizialmente i suoi genitori avevano taciuto. Heather era sicura che sua madre stesse pensando a quanto stava deludendo la sua vera figlia con tutte queste bravate, quella che ormai era morta,.
Alla fine le avevano detto che la prossima volta avrebbe dovuto chiedere a loro spiegazioni o dubbi sul suo passato, e poi le avevano raccomandato di tornare subito a casa. Loro sarebbero rimasti a lavoro fino all'ora di cena.
Si era sentita in colpa da morire, specialmente quando aveva sentito il tono categorico di suo padre, quello che raramente sentiva, perché lui raramente si era lasciato sfuggire.
Ma poi si era divertita così tanto. Luke le aveva fatto dimenticare tutto.
Erano andati a cena in una sorta di pub, ma solo a metà pasto si erano accorti fosse un locale per gay. Avevano passato tutta la serata a rifiutare flirt o a stare al gioco. Avevano resistito fino al dessert, ma quando poi la musica aveva cominciato a suonare, erano scappati prima di essere coinvolti in qualche situazione imbarazzante.
Ci avevano riso su praticamente per tutto il viaggio di ritorno. Lei non aveva avuto il coraggio di entrare in casa, una volta giunti, ma sapeva che i suoi genitori si erano accorti che fosse tornata.
Comunque non avevano fatto domande.
Adesso, con suo padre che batteva le nocche sul vetro, con un'aria serena, gli occhiali da lettura in bilico sul naso e il caffè in una mano, sembrava tutto tornato alla normalità.
Le mostrò l'orologio per indicarle che fosse tardi: erano le 7:30.
Merda! Sarebbe dovuta essere a scuola in venti minuti e in dieci alla fermata dell'autobus. A meno che Luke non l'avesse portata.
All'improvviso, si ricordò del ragazzo e si voltò verso di lui. Dormiva ancora a pancia in su sul sedile reclinato dell'auto, con il viso rivolto verso la postazione del passeggero, ovvero verso di lei. Aveva il labbro inferiore leggermente sporto in avanti e il piercing che contrastava quell'aria da cucciolo che aveva assunto nel sonno. I capelli biondo grano erano arruffati sulla testa proprio come lei li aveva immaginati – non è che ci avesse mai pensato... – e le ciglia del medesimo colore erano lunghe e gli sfioravano a malapena gli zigomi.
Si chiese perché lo stesse fissando e si voltò velocemente verso suo padre; lui non c'era più.
Raccolse il giubbino dai sedili posteriori, cercò il suo cellulare e poi uscì dal veicolo.
A metà del vialetto costeggiato da ciottoli, suo padre fece nuovamente capolino dalla porta con due tazze di caffè in mano. Gliene porse una.
— Grazie. — Sorrise un po' in colpa. — E mi dispiace per ieri. Sbaglierò tante volte, ma... vi prego, non arrendetevi con me, papà. —
A Cole sembrarono illuminarsi gli occhi. Era la prima volta che lo chiamava papà. Lui annuì senza riuscire a dire nulla e poi la baciò sulla fronte.
Afferrata la tazza fumante, si rivolse verso l'automobile. Luke sembrava essersi appena svegliato e star facendo un resoconto di ciò che era successo e della ragione per la quale si trovasse in un'automobile a dormire.
Heather sorrise involontariamente.
Sentì il cuore scaldarsi e si rese conto di non sapere quando si fosse innamorata di Luke. Non sapeva neppure quando la cotta fosse cominciata.
— Ehi. — la salutò quando rientrò nell'auto.
Lei ricambiò con un sorriso e gli passò la tazza di caffè. Ne aveva più bisogno lui. Aveva ancora la pelle sotto agli occhi gonfia e rossa per il sonno.
— Grazie. — Bevve un sorso. — Allora, uhm, ci siamo addormentati. — Si guardarono negli occhi per un momento, poi scoppiarono a ridere.
Heather odiava quella situazione, ma pensò che Luke avesse un sorriso magnifico. Per non parlare del resto: le sue grandi mani affusolate stringevano la tazza fumante cercando di ricavarne del calore. Le labbra erano leggermente più gonfie e più colorite del solito e spiccavano sulla sua pelle chiara.
Le sembrò che quel sentimento le crescesse dentro ogni volta di più, come un palloncino. Quando l'attenzione le ricadde sull'orologio digitale del veicolo, imprecò.
— Merda. Devo essere alla fermata dell'autobus in tre minuti. —
— Oh, posso portarti io. Mio fratello può portare mio padre a lavoro oggi. —
Heather gli sorrise. — Hai bisogno del bagno o vuoi qualcosa da mangiare prima di andare? —
Lui scosse la testa, — Non prendendo l'autobus siamo in anticipo per scuola, perciò possiamo fermarci a prendere qualcosa lungo la strada. Ma solo se lasci che sia io a pagare. —
A Heather sembrò che non fosse passato un minuto dalla sera prima, e sperò che restasse tutto così ancora per un bel po'. — Affare fatto. —

Quando erano al tavolo della prima tavola calda che avevano incontrato, il cellulare di Luke aveva cominciato a suonare non appena lo aveva acceso.
Era Calum. E i ragazzi l'avevano chiamato altre due volte. Heather pensò che le ricordavano una fidanzata possessiva.
— Ehi, dove cazzo sei? E' da ieri che ti cerchiamo! Sei scomparso! Sei in uno strip club? —
Luke e Heather risero al telefono in vivavoce.
— No, merde. Sono con Heather. E siete in vivavoce. —
— Oh. — sentimmo Calum mormorare. In sottofondo si sentiva il rumore del traffico e di voci. Heather per un attimo pensò che fosse stata una pessima idea dirglielo. Le cose fra lei e i ragazzi non erano finite molto bene. — Allora... avete passato la notte in uno strip club insieme? —
In sottofondo, delle risate echeggiarono. Ashton e Michael.
— Fottetevi. — disse Luke, ma aveva un sorriso sulle labbra.
— Mammoletta! — gridò Michael avvicinandosi al telefono.
Calum rise, poi, — Venite oggi a scuola? —
— Sì. Ci siamo fermati per prendere qualcosa da mangiare. —
— Portateci delle ciambelle! —
Luke alzò lo sguardo su Heather e risero, poi la ragazza si allontanò per fare come richiesto. Mentre si allontanava, sentì Luke rispondergli "D'accordo, coglioni!".
Inspirò la vampata di dolce e fritto che la investì e subito dopo quella di erba appena potata che proveniva da fuori.
Le sembrava tutto così normale, così calmo. Non c'era abituata. Sapeva che non sarebbe durato. Aveva vissuto solo tempeste fino ad allora.
Perciò, voleva godersi il momento.
Prese il pacchetto con la sua ordinazione e tornò al tavolo dove Luke stava ancora parlando al telefono.
— Ma piantatela! — gridò Luke al cellulare, al che Heather pensò che lo avessero sentito in tutto il locale. Ma, guardandosi attorno, si rese conto che loro non facevano altro che confondersi nel brusio di decine di persone che parlavano e facevano colazione contemporaneamente. Nessuno faceva caso a loro.
— I ragazzi dicono di non fermarci in uno strip club sulla via del ritorno. — Luke alzò gli occhi al cielo, riponendo il cellulare nella tasca dei skinny jeans, poi prese un sorso dal suo caffè con la più totale indifferenza; eppure a Heather parve di vedere le sue guancie colorirsi.
Gli sorrise, poi, — Andiamo. — disse, si alzò e lo prese per il braccio. Il ragazzo fece appena in tempo a lasciare qualche banconota sul tavolo che venne scortato fuori.
Heather continuò a camminare a passo svelto.
— Dove stiamo andando? —
Heather si voltò verso di lui mentre ancora camminava eccitata.
— C'è questa foto in camera mia che ritrae quattro ragazzi, fra cui me, che si trovano talmente in alto da far sembrare gli edifici dietro di loro delle casette di campagne. — Luke sembrò non afferrare il concetto, ma non aveva la voglia di distruggere la felicità che colorava gli occhi della ragazza che aveva di fronte. — Ho fatto una piccola ricerca, e so dove mi trovassi. Eravamo in cima al Rainier Square. Voglio andarci, Luke! Non è come la Cascade Mountain. Mi piacerebbe fare questa pazzia, con te. —
Luke rimase per un momento in silenzio, fissandola negli occhi. Heather pensò che fosse stata una pessima idea chiederglielo. Lo stava trascinando da una parte e dall'altra per i suoi capricci.
— Erano loro, vero? Gli altri tre. — Heather sentì tutto l'entusiasmo svanirle dentro.
— Sì. Sì, erano loro. Ancora non so perché i miei avrebbero voluto nascondere quelle foto, oppure perché voi me lo abbiate nascosto. —
La prima volta li aveva visti nelle foto dentro lo scatolone, e quando poi li aveva incontrati al locale, non aveva subito ricollegato che erano le stesse persone.
Luke sembrò non saper che dire, poi si avvicinò di colpo a lei. — E' per questo che eravamo amici. Tu eri pazza. — Heather non seppe decifrare la giusta dose di rabbia e dolore in quel tono. — Proprio come noi. —
Poi, si riallontanò, le sorrise e porse la mano.
— Allora, andiamo? —

C'erano voluti solo una decina di minuti per arrivare.
L'edificio era altissimo e si estendeva ai loro piedi come un gigante. Heather strabuzzò gli occhi una volta sotto di esso. Sembrava davvero raschiare il cielo. Pensò che, una volta in cimo, avrebbero potuto toccarlo anche loro.
Le persone entravano e uscivano così tranquillamente che si chiese se li avrebbero notati nel tragitto fino al tetto. Sembrava un'impresa impossibile da così in basso.
D'un tratto si voltò verso Luke. — Perché hai finto di non conoscermi all'ospedale? —
Il ragazzo non sembrava infastidito o imbarazzato, quanto piuttosto come se si aspettasse quella domanda. Non rispose subito.
Heather aveva come la vaga sensazione che non sarebbero mai entrati in quell'edificio.
— E' un casino, Heather. Ho fatto un casino. — Scosse energicamente la testa.
— Ma di che parli? —
Quando rialzò lo sguardo su di lei, Heather per poco non sussultò. I suoi occhi erano morti. Il loro colore era spento, come se qualcuno avesse spento le luci improvvisamente.
— Lo senti? — Heather scosse la testa, non riuscendo a dire nulla. Luke si guardò intorno: il cielo sereno, l'edificio che si estendeva sopra di loro, le migliaia di persone che camminavano loro attorno senza vederli, l'aria fresca, e, infine, Heather accanto a lui, con i capelli che le ondeggiavano al vento e l'elastico blu che lui le aveva regalato al polso. — E' come se il tempo non fosse mai passato. —

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