XIV

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Prima che Heather incontrasse per la prima volta i ragazzi in quel locale il primo giorno di scuola, non aveva nessuno. Tutte le persone che si era ritrovata intorno dicevano di conoscerla, ma per lei non era così. La riempivano di attenzioni, sorrisi consolatori e falsi che la facevano solo sentire più sola.
Era stato Luke, sin dal primo giorno all'ospedale, che anche solo per puro caso, era riuscito a distrarla. Lui le parlava di quel mondo a lei sconosciuto: di Seattle, delle città che aveva visitato, delle vacanze di Natale, della famiglia, dei film che gli piacevano, i libri che aveva letto, la musica che ascoltava... Riusciva a infonderle una tale curiosità... ma questa durava massimo un paio d'ore.
L'odio e il risentimento verso quella vita che le era stata strappata via era troppo grande per essere colmato da quelle poche parole.
Era stato quando aveva conosciuto quei quattro ragazzi che la vita aveva cominciato ad apparire un bel posto in cui vivere. Che magari le era stata data una seconda opportunità e che avrebbe dovuto approfittarne.
Le sembrava come d'essere uscita da quel tunnel buio, di aver ripreso fiato dopo essere stata per tutto quel tempo sott'acqua. Quella sensazione, no?
E adesso le sembrava di essere punto a capo.
Mentre ricordava come aveva riso insieme ai ragazzi la sera prima, si sentì come intrappolata in una stanza a vetrate dove lei poteva guardare all'esterno, ma gli altri non potevano vedere lei.
Erano riusciti a far mangiare Michael durante la notte ed erano rimasti tutto il tempo, fino all'alba, svegli a giocare alla playstation, a scherzare e allentare la tensione. Michael sembrava stare davvero meglio e Heather aveva davvero ringraziato quel Dio in cui aveva smesso di credere, perché, seppure potesse sembrare egoistico, il fatto che Michael stesse bene faceva stare bene anche lei.
"Lei è morta. Quella è solo una ragazza uguale a Heather". Sentì una fitta trafiggerla e dovette fermarsi dal fare quel che stava facendo per prendersi una pausa. Aveva bisogno di uscire da quella casa.
Aveva finto tutta la notte che andasse tutto bene, ma effettivamente non era così.
S'infilò le converse nere e silenziosamente uscì dalla stanza. La casa era ancora quasi del tutto buia, perciò Heather camminò a tentoni. Ad un certo punto s'imbatté in un ostacolo: era il bordo del divano sul quale era poggiato un giacchetto. Urtandolo, lo fece cadere e sentì il rumore di qualcos'altro sul pavimento.
Dalla tasca era fuoriuscito un pacchetto di sigarette. Lo raccolse e ricordò le parole di Luke quando le aveva fumato davanti. Dovevano essere di Calum.
Non sapendo neppure perché, aprì il pacchetto e constatò che ne mancavano all'incirca cinque. Pensò che Calum non si sarebbe accorto se gliene avesse presa una.
Deglutì e sfilò una sigaretta dal pacchetto, poi ripose tutto come lo aveva trovato in modo frettoloso, come se avesse paura che lei stessa potesse ripensarci.
Uscì dalla porta principale: fuori, il cielo si stava tingendo di bianco. Ashton le aveva detto che non sarebbero venuti a scuola neppure quel giorno e mentre loro si addormentavano, lei era sgusciata via. Non perché non volesse fare assenze, ma perché non ce la faceva a rimanere lì. Avrebbe parlato con loro più tardi.
Quando tornò a casa, suo padre si era appena svegliato. Il lavoro al cantiere lo costringeva a svegliarsi presto.
— Heather, pensavamo fossi da Michael. —
— Sì, be', non sono riuscita ad addormentarmi, così ho pensato di andare a scuola. —
— Sai che non devi se non ti va. Per me e tua madre va bene. — Le sorrise e le schioccò un bacio sulla fronte, poi la lasciò da sola. Ringraziò mentalmente i suoi genitori per essere così comprensivi.
Decise di farsi una doccia fino a che non fosse arrivata l'ora di andare.
Come previsto, quel giorno i ragazzi non si trovarono oltre la strada che costeggiava l'edificio scolastico, perciò per tutte e tre le prime ore non si preoccupò minimamente di incontrarne uno.
Estrasse il cellulare dalla tasca del giacchetto, quando toccò qualcos'altro di familiare. La sigaretta. Se n'era totalmente dimenticata.
Improvvisamente, s'incamminò verso l'esterno. Non che morisse dalla voglia di provare a fumare, ma non si sarebbe dovuta sentire in colpa, no? Dopotutto, ne aveva già fumata una... prima. Voleva recuperare così tanto quello che aveva perso che se sapeva di aver già fumato o fatto sesso nella vita precedente, lo voleva fare anche ora. Non voleva più sentirsi come una bambina nel corpo di un adulta. Le vietavano di uscire, di bere, di fumare, la controllavano più dei ragazzi della sua stessa età.
Chiese in prestito l'accendino ad un ragazzo, il quale la squadrò da capo a piedi, e poi si rifugiò a fumarla in un angolo sotto alle scalinate dove non c'era quasi nessuno.
Vedeva i suoi coetanei tutti in gruppi, a ridere e scherzare. Se fosse stata una ragazza normale, anche lei avrebbe fatto parte di uno di quei gruppi.
Prese un lungo tiro e lo respirò a pieni polmoni. Il fumo non sembrava farle molto effetto. E non la fece neppure sentire meglio.
Finì la sigaretta e si sentì solo più vuota.
Si domandò se stesse deludendo la sé di prima.
Si sentiva giudicata persino da se stessa, anzi in primo luogo da se stessa.
Quello doveva essere il suo inferno personale, dove lei era il suo Satana.

Tornò a casa col desiderio di dimenticare tutto.
Dopo il pranzo, le ultime due ore le aveva passate in classe, cercando, ai cambi dell'ora, di evitare i volti della gente.
Si spogliò del giubbino ed oltrepassò la cucina e il salotto. Quando raggiunse il piano superiore, sua madre sbucò dalla sua stanza.
— Heather. — la salutò, sorridendole calorosamente. Si sentì scaldata da quel sorriso ormai familiare e le si avvicinò. Nemmeno il tempo di ricambiare il saluto che il sorriso di sua madre si spense.
— Hai fumato. — Heather sbiancò, ma rimase in silenzio. Come poteva difendersi? In quel momento le venne in mente che magari nella sua vita precedente aveva avuto problemi con le droghe o l'avevano già beccata.
Qualche volta, aveva detto Luke.
— Perché? Pensavi che non l'avremmo scoperto? — Lo sguardo di delusione e dolore della madre la risvegliò dai suoi pensieri e la colpì in pieno stomaco. Socchiuse le labbra, ma non seppe che dire.
Giocarsi la carta della disperazione per tutto quello che le stava accadendo le sembrò così meschino che preferì rimanersene in silenzio a subire.
La verità era che l'aveva fatto anche un po' per Luke. Avrebbe voluto passare un po' di tempo con lui, conoscere anche quel lato del ragazzo e magari... piacerle. Essere alla sua altezza. Aveva pensato che magari fumando le sarebbe piaciuta.
Si sentì una stupida e le venne voglia di piangere, ma rimase forte perché non meritava neppure di farsi consolare o compatire dalla madre.
Prese un respiro per dirle che le dispiaceva, ma la donna l'aveva già superata per andare al piano inferiore.
Si chiuse in camera e si lasciò andare contro la porta.
Non pianse. Non pianse più. Non si guardò neppure più allo specchio. Si fece la doccia, ma li evitò tutti.
Stava di nuovo affogando, senza però sapere quando fosse caduta in acqua.



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