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«there's this scream inside that we all try to hide [...] oh it eats us alive»

Il dott. Irwin tornò una ventina di minuti dopo che Heather fu rientrata nella sua stanza d'ospedale, ancora più amareggiata di prima.
— Allora, Heather, ho appena parlato con i tuoi genitori, e, se e quando tu sarai d'accordo, potrai incontrarli. —
— Che vuol dire se e quando? Sono i miei genitori, è ovvio che io voglia vederli! —
Heather si sentiva stordita. Una parte di lei – una grossa parte di lei – le diceva che quelle persone erano estranei, che non era pronta e vedere i loro visi distrutti e realizzare che fosse colpa sua e che non potesse fare niente al riguardo; ma un'altra parte le diceva che se li avesse visti, magari qualcosa sarebbe scattato. Qualcosa che le avrebbe fatto tornare alla mente ricordi.
Il dott. Irwin poggiò le cartelle che aveva in mano sul tavolo di plastica all'angolo della stanza e si avvicinò al letto.
— Ascolta, Heather, so che tu lo dici con le buone intenzioni, perché speri di ricordare qualcosa, e non posso neppure immaginare quanto questo desiderio sia forte, ma ti sei svegliata da un coma di una settimana appena un'ora fa, e non sappiamo ancora cosa sia successo nella tua mente durante questo tempo. — Heather cominciava a perdere il filo del discorso. — Non voglio essere la persona che ti ha impedito di vedere i tuoi genitori e che ha distrutto una speranza... dico solo che, se tu avessi avuto un'amnesia – perché ormai penso tu abbia capito di cosa si tratti – solo dei scorsi cinque anni, magari vederli sarebbe stato d'aiuto, ma nel tuo caso... potrebbe solo ferirti emotivamente. —
— Sta dicendo che non c'è speranza che io recuperi la mia memoria? — domandò Heather con un pizzico di irritazione, quando capì cosa il dottore volesse dire.
Lui spostò lo sguardo da lei ai fiori che erano stati portati e che si trovavano sul comodino accanto al letto d'ospedale. Erano peonie rose e margherite bianche. Pensò che dovesse adorarli una volta, ma adesso non le dicevano niente.
— Sai quanti anni hai, Heather? — chiese poi il dottore, rialzando il suo sguardo su di lei. Sembrava che quella domanda fosse più complicata di quello che appariva, e non ebbe nemmeno la forza di arrabbiarsi col dottore perché, andiamo, o si stava prendendo gioco di lei (ed era una cosa davvero crudele) o era una domanda davvero importante. Ma non le andava di pensarci troppo su. Era stanca di pensare così tanto.
— Non lo so. — rispose con voce atona.
— Be', io sì. Hai diciotto anni. E hai una bellissima famiglia. I tuoi genitori hanno acconsentito che io ti raccontassi cosa è successo una settimana fa. Hai avuto un incidente stradale, come tu sai. I tuoi genitori ti avevano fatto come regalo di compleanno un weekend col tuo ragazzo in una baita di montagna di proprietà della famiglia di quest'ultimo. Ma quando stavate tornando... —
— Come si chiamava il mio ragazzo? — Le fece strano pronunciare quella parola e poi non ricordare niente di quella persona.
Il dott. Irwin sospirò, come se fosse successo qualcosa di sbagliato.
— Perché si è salvato, vero? — domandò Heather con più ansia di quella che si aspettò di trovare nella sua voce. Non voleva avere sulla coscienza un'altra persona che comunque non avrebbe ricordato. Sarebbe stato il culmine.
— Oh, sì, si è salvato, tranquilla. Il fatto è che... ha chiesto se fosse possibile non fare il suo nome o qualunque suo riferimento. —
Heather, nonostante non conoscesse quel ragazzo, lo odiò, e pensò che fosse davvero una cosa spregevole quella che aveva fatto. Lo odiò e si sentì ancora più amareggiata, come se lei fosse una persona che non valeva la pena di conoscere, se si aveva l'opportunità.
Come un reset. La sua testa si era appena resettata.
Lo sguardo della ragazza era vuoto e perso. Aveva solo voglia che il dottore uscisse e le facesse vedere i suoi genitori come attraverso una vetrina di un negozio di vestiti: se le fosse piaciuto ciò che vedeva lo avrebbe preso, altrimenti no. Se avesse riconosciuto i suoi genitori, li avrebbe accettati, altrimenti no. E sapeva che fosse crudele, ma sentiva che loro potevano essere la su unica speranza o la sua condanna.
Sarebbe scoppiata se non li avesse riconosciuti.
— Heather? —
Il dottore era davanti a lei che la chiamava.
— Oh, sì? —
— Non mi sembra il caso di far entrare i tuoi genitori– — le disse, probabilmente dopo aver visto quanto tutto quello l'avesse colpita. Ma come poteva pensare che non fosse così?
— Ma io voglio vederli. — affermò decisa.
Il dottore esitò un momento senza dire nulla, poi: — Va bene. — assentì, e si dileguò.
Heather ebbe appena il tempo di pentirsi di tutta quella sicurezza e lasciar sgretolare il castello di speranze che si era creata, che due signori con lo sguardo pieno di trattenuta impazienza e un dolore straziante entrarono.
La donna – quella che era sua madre – aveva un caschetto nero che le accarezzava dolcemente il collo e degli occhi verdi, adesso lucidi. Sembrava molto più giovane di come Heather se l'era immaginata. Eppure, quando cominciò ad avvicinarsi, poté notare le piccole rughe intorno agli occhi e alla bocca, segno anche della stanchezza o di quel dolore che le sembrava quasi tattile.
Una morsa le attanagliò lo stomaco.
L'uomo accanto alla donna aveva i capelli più chiari, sul castano scuro, che si curvavano dietro l'orecchio – si notava fossero stati manomessi più volte da mani agitate. Aveva gli occhi azzurro chiaro, e Heather sperò di essere almeno la metà di quanto erano belli loro.
Si tenevano stretti le mani e alle dita avevano delle fedi nuziali che fecero venire a Heather la voglia di piangere.
— Oh mio dio, Ettie! — urlò subito quella che era sua madre, lasciando la mano del marito e portandola alla bocca. Heather poteva vedere i suoi occhi inumidirsi mentre correva verso di lei.
Ettie? Doveva essere il suo soprannome, capì. Si lasciò abbracciare, perché non solo lei aveva perso qualcosa. Non voleva ferire ancora quelle persone, eppure, sin da quando erano entrati, e tutt'ora mentre la stavano guardando con tanto amore da regalarne ai bambini orfani, lei non vi aveva riconosciuto nulla.
Per Heather, quelle erano solo due persone che avevano appena perso una figlia. Probabilmente per sempre.
E si sentì maledettamente, tremendamente sofferente per questo. E per la prima volta, capì che forse il male peggiore non era capitato a lei.

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