XII

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Quella notte, Heather aveva capito due cose.
La prima era che quando ti succede qualcosa di grande, qualcosa che lascia il segno, bella o brutta che sia, non puoi dimenticare le sensazioni che hai provato tanto facilmente.
Heather aveva voglia di ridere con i ragazzi la mattina, ma di piangere il pomeriggio. E si sentiva stanca, come se la soluzione di tutto fosse dormire, per sempre.
Se pensava a lui, le veniva voglia di urlare fino a che non le fosse rimasto nelle orecchie l'eco delle sue urla.
Aveva voglia di imprimersi quel dolore, quel senso di vuoto e solitudine, per ricordarselo quando poi avesse riso con i ragazzi. Si sentiva in colpa anche per quello: mentre intorno a lei tutti soffrivano e fingevano di star bene, lei sentiva realmente di potersi perdonare.
E poi c'era quello che provava per Luke. Non poteva prendersi tante prerogative o farsi illusioni. Si sentiva sciocca e umiliata da se stessa, e questa era la cosa più triste: al di fuori delle mura della sua stessa mente, dove era scoppiata una bomba e c'era il caos infinito, dove c'era sofferenza e grida, l'esterno era come una gigantesca bandiera bianca. All'esterno si poteva ascoltare il suono che sussegue una battaglia all'ultimo sangue: l'infinito silenzio.
La seconda cosa che aveva realizzato era che, per quanto volesse, non poteva condividere questi pensieri con nessuno.

I ragazzi si ritrovarono ancora una volta sotto casa sua, quel lunedì. Avrebbe voluto dire loro che qualcosa non andava, ma non volle rovinare il loro entusiasmo.
Mentre, qualche passo indietro, li guardava ridere fra di loro, si sentì stordita. Come se si fosse imbottita di medicinali. Si chiese perché dei ragazzi come loro avessero voluto frequentare una come lei. Ma poi si riprendeva da sola, ricordando a se stessa che lei non era la Heather di una volta. Doveva proprio essere in gamba, pensò.
Finalmente giunsero a scuola e le prime tre ore di lezione furono infernali.
Quando suonò la campanella, rimase sola in classe. Con le braccia conserte sul banco, vi poggiò sopra la testa e passò i successivi dieci minuti a ripetersi quanto fosse codarda, a non uscire neppure.
Lei non stava andando avanti. Mentre gli altri ci provavano, lei si ancorava al passato e gli remava contro. Non solo si stavano tutti facendo in quattro per stare bene per lei, o almeno fingere, ma comportandosi così rendeva vani i loro sforzi.
Si sentiva il petto così pesante, come se vi avessero poggiato sopra una pietra gigantesca. Eppure se ci pensava le veniva da ridere, perché lei, ad essere sincera, si sentiva solo vuota. Svuotata di emozioni, di ricordi, di informazioni, di immagini. Non sapeva com'erano i suoi genitori da giovani, o il giorno del loro matrimonio. Non ricordava i suoi precedenti compleanni, la sua prima cotta, il suo primo bacio... e la sua prima volta? L'aveva almeno avuta?
Un attimo prima che le lacrime le riaffiorassero agli occhi, per la seconda volta, qualcuno la chiamò dalla porta.
Luke aveva un'espressione affranta in viso.
— Tutto okay? —
Fece qualche passo verso di lei, ma Heather lo stroncò sul posto.
— No. — Si sorprese lei stessa della durezza con la quale pronunciò quelle parole. Non ce l'aveva con Luke, ma davvero non ce la poteva fare a sopportare ancora gentilezza da parte sua. Da parte di tutti loro. Sarebbe stato più facile se l'avessero odiata.
L'amnesia avrebbe dovuto essere l'occasione perfetta per ricominciare non solo per lei, per tutti.
— Ho solo un po' di mal di testa. Credo che andrò a casa. —
Afferrò al volo i suoi libri e lo oltrepassò per varcare la porta, quindi si diresse, al contrario di come aveva detto, verso lo stanzino del bidello. Avrebbe atteso lì la fine dell'intervallo, perché non aveva proprio voglia di incontrare i ragazzi fuori.
Il lato positivo dell'arrivo di Luke? Non la fece piangere.

— Lo sta facendo di nuovo. — Continuò ad agitarsi e a spostare il peso da una gamba all'altra davanti all'armadietto. Si torturava il labbro bucato mentre nel frattempo con lo sguardo vagava fra le teste che occupavano il corridoio.
— E' quello che fa, Luke. — disse Michael, tentando di calmarlo. C'era abituato, lui. Non era la prima volta e ormai aveva imparato che non aveva armi con il quale contrastarlo. — Si da la colpa, tira su i muri e mentre finge che vada tutto bene chiude le porte. E in un attimo, senza accorgertene, tu sei fuori senza aver potuto fare niente. —

Heather tornò a casa subito dopo che tutti furono rientrati in classe e i corridoi si furono svuotati. Disse ai suoi genitori che aveva un mal di testa tremendo e si chiuse in camera fino all'ora di cena. Quest'ultima trascorse piuttosto normalmente. Già da diversi giorni, ormai, le cose avevano cominciato ad assumere un calore familiare. O almeno quello era ciò che credevano i suoi genitori e che credeva lei fino al giorno prima. Credeva di poter sistemare tutto. Lo pretendeva, ma poi succedeva qualcosa, anche di minuscolo, che riusciva a distruggere tutte le sue certezze.
Il giorno dopo, Heather si svegliò mezz'ora prima per evitare d'incontrare i ragazzi e dover percorrere con loro la via verso scuola. Andò persino tutto bene, fino all'ora di pranzo. Fino a quando non uscì dalla classe per pranzare e non decise di farlo fuori, sapendo che i ragazzi sarebbero rimasti dentro.
E quando lo fece, Luke era lì. Perché Luke era sempre lì, dovunque andasse, qualunque cosa facesse, e Heather avrebbe solo voluto cancellarlo dalla sua mente con una gomma da cancellare, quasi fosse impresso a matita. Da quel giorno all'ospedale, si chiese cos'avesse fatto di così significativo per scombussolarla così.
Certamente, era stato quello che si era impegnato di più per metterla a suo agio, come se gli venisse naturale, eppure... eppure in quel momento desiderò di non averlo mai incontrato. Avrebbe preferito non dover provare quello che stava provando in quel momento, anche se significava non averlo mai conosciuto.
Lo vide abbracciare quella ragazza mora della discoteca... anzi no, la sua ragazza. Lei strinse la sua maglietta mentre sussurrava qualcosa al suo orecchio.
Doveva andare avanti, e certamente non avrebbe dovuto farsi confondere dai sentimenti per quel ragazzo. Rientrò a grandi falcate nell'edificio e si diresse verso la mensa.
Li vide subito. Questa volta, nessuno parlava. Sembravano tutti sovrappensiero.
— C'è posto per me? —
Michael alzò di scatto il viso dalle sue patatine che a malapena aveva toccato, con gli occhi che brillavano: — Heather. —
— Certo. — disse Ashton, facendole un occhiolino con un piccolo sorriso caloroso sulle labbra.
Fece un respiro profondo e si sedette con loro, in silenzio, a mangiare il suo panino, mentre sentiva lo sguardo di Michael su di sé.

Il ragazzo dai capelli rossi la riaccompagnò a casa, quel giorno.
— Allora, stavo pensando di tingermi di nuovo i capelli. — le sorrise su di giri, — Che colore? —
Heather rise, — Non ne ho idea. Che colori hai già fatto in precedenza? —
Lui la fissò ancora con il sorriso sulle labbra, mentre, ormai quasi arrivati, camminavano.
— Che c'è? —
— Niente. — Scosse la testa e il sorriso scomparve, d'un tratto. — Domanda stupida. Lascia stare. —
— Mi piacerebbe darti la mia opinione. — insistette lei.
— Ci vediamo domani, che ne dici? — Sembrò indeciso se baciarla sulla guancia o meno, ma alla fine le sorrise semplicemente e se ne andò, lasciandola davanti il vialetto di casa sua.
Heather rientrò, ancora un po' confusa. Cos'era appena successo? Cos'aveva detto 'stavolta di sbagliato?
La sera, dopo essersi infilata il pigiama, sentì dei rumori piuttosto vicini appena fuori la portafinestra e decise di uscire in balcone. Sulla balaustra bianca c'era la traccia di una scarpa. Le scappò un sorriso e controllò che al di sotto le luci del salotto fossero accese, poi si arrampicò sulla balaustra e successivamente sulle tegole sporgenti della tettoia.
Una volta su, l'aria fresca e umida sembrava ancora più inebriante. Lassù c'era Luke, in bilico fra i due tegolati obliqui, con le gambe piegate e le braccia sopra di esse, a guardare il cielo stellato davanti a sé.
Heather non avrebbe saputo dire se fosse arrabbiato, deluso, triste, oppure se fosse tutto okay. Ma sapeva che aveva voglia di parlare con lui e basta, pure se era da egoisti chiedere di dimenticare tutto.
— Ciao. — lo salutò.
— Ciao. — lui ricambiò, finalmente guardandola. Gli brillavano gli occhi per il riflesso della luna e delle stelle. Per un po', rimasero in silenzio.
— Ho bisogno di tempo, Luke, e non voglio ferirvi perché... —
— Lo so. — Sorrise tristemente, senza guardarla, — Avevo un'amica, una volta. Se stava male, non portava giù tutti con sé. Prima li allontanava. —
Heather non c'aveva mai fatto caso, ma aveva capito che il tetto fosse il suo posto preferito della casa.
— Buonanotte, Luke. —



non è giusto come mi sto comportando, quindi giuro che d'ora in poi aggiorno più spesso, anche se ci saranno due persone a leggere questa storia. x

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