Era una solita giornata noiosa e sicuramente la mia stupida sveglia fra meno di un'ora avrebbe iniziato a strimpellare come una cornacchia ed al mio solito, l'avrei presa a pugni.
Quel giorno erano le cinque passate del mattino, sembrava sempre tutto così cupo e tranquillo.
La mia solita vita monotona con mio padre che lavorava al commissariato e faceva tardi la sera, il giorno seguente avrei iniziato il college ed io con l'ansia non ebbi mai la possibilità di andarci d'accordo.
Sarebbe finito tutto ciò fra un paio di mesi, quando avrei compiuto i miei vent'anni anni e non avrei permesso alla mia vita di essere così: nettamente uguale.
Ed eccolo lì, mio padre che era appena entrato nella mia camera di soprassalto, come se ci fosse stato qualcuno pronto ad aggredirmi, provò a stare attento nel suo disagio non volendo far rumore, ma fallendo miseramente inciampando appena sui miei scarponi.
Trattenni un sorriso sugli angoli della mia bocca.
«Piccola mia.» sussurrò insicuro del suo essere «mi spiace essere così tremendamente diverso da lei, e non saper nemmeno schifosamente imitarla, ma è così difficile, lei era così meravigliosa.» parlava ancora una volta di mia madre e desideravo inutilmente che un giorno avrebbe smesso di sminuirsi.
Adoravo mio padre come ho sempre idolatrato mia madre, nessuna distinzione e mi mancava, mancava così maledettamente che l'aria certe volte sembrava rarefatta.
Ma infondo non potevo far nulla, non sono nessun tipo di Dio o essere sovrannaturale, semplicemente non posso farla tornare indietro impedendo il mio lutto o chiedere a qualcuno di alleviare questo mio dolore.
«sei come lei.» mandai giù quel nodo alla gola formatosi dopo la sua constatazione, ma quando le sue labbra ed una lacrima infuocate si posarono sulla mia pelle fredda, i ricordi ebbero la meglio tramandando una delle dolorose fitte al petto.
Continuavo a ripetermi di non ricordare.
Il cuore al suono dei ricordi iniziava a sgretolarsi, per la paura di rimanerci.
Essa viene chiamata Mnemofobia ed è una delle più tremende paure che incutono il dolore.
Feci finta di sistemarmi meglio, mio padre spostò i capelli lunghi dal mio volto per poi sfiorarmi con il suo palmo grande.
«buonanotte Alissa.» rimasi lì, a fissarlo mentre se ne andava, mio padre era andato via esattamente il giorno in cui mamma era morta, la sua anima l'aveva abbandonata su quella sedia al cimitero, mentre adagiava quei girasoli sulla tomba.
Mio fratello Ashton sembrava attraversare un brutto periodo, sapendo che il giorno seguente avrei iniziato il college, non ricevetti nessuna telefonata e questa cosa mi turbò molto, essendo perennemente legati dalla nascita.
Subdolamente da quando venne a conoscenza della bocciatura si isolò esternandosi dal mondo esterno.
Come sarebbe stato affrontare un passo di quel tipo senza aver avuto la benedizione di mia madre?
Non benedizione, più che altro, presenza.
Il giorno seguente sarebbe stato il primo passo per uscire dalla piattaforma di un'adolescente e lei non ci sarebbe stata.
Chissà con chi sarei finita in camera, magari con un secchione o magari con uno di quei ragazzi punk rock che vagano per la stanza immedesimandosi nei testi delle canzoni con la musica strimpellante.
Sarebbe stato un anno impegnativo, desideravo solo che nessuna ragazza avesse intralciato il mio cammino.
Odiavo le ragazze, fin troppe avevano messo i loro bastoni fra le mie ruote, non mi sono mai piaciute, preferivo passare del tempo con i ragazzi adeguandomi al contesto.
Avremmo seguito gli stessi corsi io ed Ashton, ed io sicuramente avrei dovuto rimetterlo «in pari con il programma» come mi ebbe raccomandato mio padre.
Eppure non riuscivo a chiudere occhio quella notte ed una strana, paura mischiata alla nostalgia, mi diceva di non lasciare mio padre da solo.
Cosa avrebbe combinato senza di me quel matto? Non avrei mai dovuto scegliere il college, avrei dovuto stare qui a prendermi cura della mia famiglia.
Lui era tutto quello che avevo, escluso mio fratello.
Il telefono vibrò sul mobile della mia stanza e mi preoccupai, perché non ricevevo messaggi a quell'ora, se non da Haria, ma la ragazza in questione aveva già mandato un messaggio circa due ore prima.
Ash:
Scusa se non mi sono fatto vivo questa settimana, ti spiegherò meglio domattina quando sarai arrivata, mi manchi davvero molto, non vedo l'ora di vederti.A quel messaggio inaspettato sorrisi, sapevo che in un modo o nell'altro non ci avrebbero mai diviso.
Haria non l'avrebbe presa bene, sarei partita senza salutarla, neanche un abbraccio, mi avrebbe odiata, sapevo che l'avrebbe fatto, ma non sopporto gli addì.
Sarà un nuovo capitolo della mia vita, come quando chiudi un libro appena finito e lo appoggi sullo scaffale lasciandolo impolverare, ma aprirne un altro e scriverne il titolo sentendo quanto l'odore di inchiostro fra le righe sia fresco, era come stare a guardare il cielo.
Ed io ebbi già scritto il titolo di questa nuova storia, la mia.
N/B:
Questa è una delle tante ff che conservavo sul cellulare ed ho deciso di continuare, spero che vi piaccia, fatemelo sapere lasciando qualche commento, detto questo: buona lettura belli.✨STALKERATEMI
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Mnemophobia » Luke Hemmings. #Wattys2016
FanfictionE se la paura di ricordare potesse esistere? «esiste la paura dei ricordi?» chiese annoiato dai miei lunghi discorsi. «credo... credo di sì, vediamo...» cercai nell'innumerevole elenco e poi la vidi, ma il ragazzo dagli occhi cristallini la lesse pr...