8. VIII. Repeat.

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Alissa's.

"Quale concetto del 'la biologia è la prima parte della scienza' non capisci?" Sembrava stupito da così tanta ignoranza.

"Mi dispiace." Mi trattenni dal ridere. Io non rido, che sto facendo?

"Allora, ricominciamo." Sbuffò esasperato. "La biologia forma la—" mi invitò a continuare e così feci.

"Famiglia?" Credetti fosse giusta, ma quando il palmo grande della sua mano si andò a schiantare sulla sua fronte dedussi di no, non era giusta.

"Sei un caso disperato." Sbraitava e mi faceva venire una pazzesca voglia di ridere, ma io non ridevo più da molto tempo, non sapevo neanche come si facesse e poi non dovevo farlo, non lo meritavo. "Allora ti spiego in parole che anche un neonato capirebbe."

"Ci sono." Mi sistemai sul posto, assumendo una miracolosa faccia da concentrazione.

"Siamo in una giungla e tu stacchi una foglia, la foglia si spezza in due parti e da esse fuoriesce del liquido verdastro. In questo momento due avvenimenti importanti si incontrano. Cos'è successo Als?" Chiese lui, assumendo un tono incitatore.

Luke's.

"È successo che è morta una foglia e poi dimmi come ci siamo arrivati in una giungla?" Adesso mi stava sul serio prendendo in giro, almeno lo spero, pensai.

"Facciamo che per oggi abbiamo finito." Borbottai chiudendo il libro che tenevo fra le mani.

"No, adesso inizio io." Parlò incerta.

"Oh, no." Mi alzai dal letto con noncuranza. "Mi incasinerai il cervello, lo sento." Borbottai.

"Sai da cosa è metabolizzata la memoria?" Chiese velocemente ed iniziai a pensare.

"Dai ricordi, credo?" Suonava come una domanda, la mia risposta.

"Sai in quale modo disponiamo i ricordi?"
Stava iniziando a fottermi il cervello.

"Li riponiamo su uno scaffale?" La derisi, poi mi tirai via la maglia.

"Sai come e quando lo facciamo?" Esattamente come faceva a fare questo?

"Credo mentre dormiamo i migliori attimi della giornata li cataloghiamo." Borbottai.

"Sai chi sei?" Che diavolo di domanda era? Sentivo improvvisamente il petto farsi pesante.

"Sono Luke Hemmings." Risposi cercando di sdrammatizzare con un sorriso, ma stavo sentendo troppa tensione in mezzo alle vene.

"Sai da dove vieni?" A lei non serviva un libro da dove prendere lo spunto, parliamo di psicologia, appropriarsi della ragione e far degenerare la situazione.

"Vengo dal Birmingham, sono cresciuto lì." Risposi riempiendo le mie tempie di una rabbia inaudita.

"Sai cosa ti è successo?" Chiese mandando giù quel nodo che si era formato anche nella sua gola.

"Credo non mi sia successo nulla." Mi sentivo confuso, crollai per un momento barcollando di poco sul suo letto. Lei era nel mio.

"Sai cosa ci fai qui?"

"Studio." Risposi con un filo di voce.

"Sai perché sei qui?"

"Mio padre vuole che faccia l'avvocato." Risposi secco e la rabbia mischiata alla tristezza traspariva fra le mie parole

"Sai perché hai paura?" La sua voce dura, distaccata e priva di emozioni mi chiese.

"No, io non ho paura." Risposi deciso.

"Parliamo di paure... chiedimi qualsiasi tipo di paura..." indecisa di guardò intorno.

"Ne conosco un paio, ma altre no..." gesticolai. "Esiste la paura di essere dimenticati?" chiesi curioso.

"Athazagorafobia: paura di essere abbandonati, dimenticati o semplicemente ignorati." Riusciva a ricordare anche i termini, quella ragazza era una macchina.

"La paura dei demoni?" Chiesi nuovamente scrutando per bene le emozioni cambiatesi sul suo viso.

"Demonofobia o anche Daemonofobia: paura dei demoni sovrannaturali e la parte inconscia del cervello umano." Rispose guardando qualcos'altro.

"Paura della rabbia?" Credevo non potesse esistere, ma quando la vidi corrugare la fronte focalizzai.

"Hydrophobofobia: paura della rabbia, di arrabbiarsi e rispondere in modo sgarbato o semplicemente paura che la rabbia prenda il sopravvento." mi guardò intensamente e "dimmene una..." provò la ragazza.

"La paura dell'amore..." non ricordai come si chiamasse e "credo esista..." continuai.

"Esiste, ehm... la—" neanche lei sembrò ricordarne il termine poi un lampo di genio, ricordai di averlo letto in un libro della Linton.

"Philofobia: paura dell'amore o semplicemente di innamorarsi." continuai velocemente e la guardai in modo quasi ossessivo. "Philofobia, mi piace..." sussurrai incerto.

"perché menti?" mi ebbe detto poco dopo.

"Io non ho mentito." Mi agitai sul posto.

"Sai perché hai paura?"

"Non ho paura dell'amore!" Sbottai tirando la maglia che stringevo fra le dita.

"E Algofobia?" Non ricordai che paura fosse, io non avevo paura di nulla.

"Neanche di quella." Il mio petto era fin troppo rigido.

"Perché in questo momento sei confuso?"

"Sono le tue domande, non mi piacciono più." Risposi secco.

"Sai chi sei?" Perché ripeteva le stesse domande?

"Sono Luke Hemmings." Continuai con la stessa storia.

"Perché fai questo?"

"Questo cosa?" Avevo il cervello in fiamme e sapevo anche che finché non si sarebbe fermata avrebbe continuato ad infuocare.

"Negare la tua perenne paura? Negare la sofferenza?" Chiese.

"Non ho paura di soffrire!" Sbottai strattonando la mia pelle con le dita.

"Sai chi sei? Sai cosa vuoi?" Chiese l'ultima volta.

"Sono Luke, voglio semplicemente che tu la smetta." I miei occhi si erano socchiusi, non la guardavo neanche.

"Sai cosa vuoi?"

"Tornare indietro." La mia risposta era stata fredda, secca, distaccata, ma soprattutto mia.

Non ricevetti altre domande, i suoi occhi fissi sul mio corpo, sapevo che aveva fatto un tipo di diagnosi sulle mie risposte e sapevo anche che non mi avrebbe detto niente.

"Hai perso qualcuno di importante, Luke?" La sua domanda mi aveva completamente fatto inciampare fra i miei pensieri e soprattutto aveva diminuito tutto l'ossigeno disponibile intorno a me.

Non riuscì a rispondere, ma lei aveva capito.

"Non serve la biologia, non serve la geometria, non serve la matematica, quando riesci a parlare attraverso le emozioni." Mi stava semplicemente fottendo il cervello e forse aveva ragione.

Ero andato via, dopo quella risposta, mi ero rivestito e l'avevo lasciata lì, lei e il suo manipolatrice discorso.

Sapevo bene che quella ragazza sarebbe stata un inferno da esplorare, ma non sarebbe stato il mio inferno personale, lei era già entrata nelle tenebre della mia anima.

Mnemophobia » Luke Hemmings. #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora