Stockholm

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Il nome di quella città era famoso, ma in pochi la conoscevano davvero.
Io non ero uno di quelli.
Andai a Stoccolma perché mi ricordava il titolo di una canzone dei Blink-182, detta "Stockholm Syndrome".
Era una delle mie preferite.
Prima di ascoltarla non ne avevo mai sentito parlare.
Con l'espressione sindrome di Stoccolma si intende un particolare stato di dipendenza psicologica e affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica, vittime di prigionia.
Non potevo dire che Nina mi avesse maltrattato fisicamente o verbalmente, ma sicuramente lo aveva fatto psicologicamente.
Ero ancora sotto il suo incantesimo.
E anche se il suo amore che mi teneva prigioniero scomparve, in un modo o nell'altro, ero ancora legato a lei.
Nina mi aveva abbandonato in balia della Sindrome di Stoccolma.
I nostri ricordi facevano male come uno schiaffo dritto in faccia, inaspettato.
Ero seduto su una panchina e guardavo il cielo con le cuffie nelle orecchie mentre ascoltavo i Bring Me The Horizon, quando un ricordo mi balenò in mente.
Il giorno in cui tutto accadde.

Nina mi disse che stava andando a casa di una sua amica per studiare e io la lasciai fare.
Le credetti.
In quel momento mi trovavo a casa sua, le diedi un bacio a stampo e mi incamminai via.
Tornai a casa.
Stetti tutto il giorno seduto sulla mia scrivania: scrissi una canzone per lei.
Ci avevo impiegato giorni e finalmente l'avevo completata.
L'avevo chiamata 'Never Be' e parlava di noi.
Quando posai la penna, guardai quel testo e quelle note confuse e mi sentii orgoglioso di me, per una volta.
Non volevo più aspettare, volevo farle una sorpresa e fargliela sentire immediatamente.
Lei aveva una chitarra e avrei potuto suonargliela, e cantare per lei.
Era quasi l'una di notte e andai a piedi verso casa sua, impaziente di vederla sorridere, di avere un suo bacio, un suo abbraccio.
Forse le avrei anche chiesto di fare l'amore, anche se non sarebbe stata la nostra prima volta.
Ma quella notte volevo amarla con tutto me stesso.
Non volevo solo sesso da lei:
volevo amarla.
Non credevo di poter provare qualcosa di cosí grande per qualcuno.
Mi arrampicai fino alla sua finestra con fatica e poi guardai attraverso il vetro.
La scena che mi si presentò non era assolutamente quello che mi aspettavo di vedere.
Nina dormiva tranquilla, con un semplice lenzuolo, ma era senza un vestito addosso.
E non era sola.
Un ragazzo cingeva con le braccia il suo corpo fragile, dormiva con la testa sulla sua spalla.
Lo riconobbi subito: l'avevo visto spesso a scuola, guardarla da lontano per poi andarsene non appena mi avvicinavo a lei.
Se non mi sbaglio il suo nome era Brad.
Anche lui non aveva vestiti indosso.
Tutti gli abiti che riconobbi come loro erano sparsi per il pavimento la stanza, inclusi gli indumenti intimi.
Non mi ci volle molto a capire ciò che fosse successo.
Non seppi che fare, ero solo paralizzato.
Non piansi, ero solo ferito.
Scesi dalla finestra e mi diressi verso la sua porta, suonando il campanello con fare insistente.
Con rabbia.
Non riuscivo ancora a credere ai miei occhi.
Vidi dopo qualche minuto la porta aprirsi, di scatto, rivelando una Nina per un secondo arrabbiata, e il secondo dopo senza parole.
Nemmeno una parola da dire.
Gli occhi mi pizzicavano.
E i suoi, da opachi, divennero lucidi.
«Sai, avevo scritto una canzone per te. Ci ho impiegato tutto il giorno, sono scappato di casa e ho corso fin qui per fartela sentire.
Avrei voluto vederti sorridere non appena avessi iniziato a cantare e a guardarti, avrei voluto che tu mi baciassi.
Poi sono arrivato davanti alla finestra...»
Non ebbi la forza di continuare.
«Calum, posso spiegarti...»
La sua voce era più titubante della mia.
La vidi avvicinarsi lentamente a me per abbracciarmi, ma la allontanai.
«Mi hai illuso. Mi hai ferito. Io... Io credevo che tu mi amassi. E invece che fai? Vai a letto con un altro!» non avevo più tristezza, ma solo collera.
Urlai.
Nina pianse, cercando in tutti i modi di farmi calmare, sussurrando dei "mi dispiace" confusi, ma non ci fu verso.
La spintonai via da me.
«Non toccarmi. Non voglio più vederti. Mai più.»
Scappai via correndo, mentre lei cercava di seguire le mie orme, gridando il mio nome.
Non la ascoltai, fino a quando non la sentii più.
Ci aveva rinunciato.
Immaginavo che lo avrebbe fatto.

Non ero un ragazzo che piangeva.
Tutti mi dicevano che nonostante il mio cuore fosse a pezzi, ero forte.
Ero capace di risollevarmi.
Ma non era così.
Quella notte, piansi.
Non avevo pianto nemmeno quando Jenna mi aveva lasciato, ma per Nina, piansi.
Lei era riuscita a distruggermi definitivamente.
L'amavo davvero: non avevo mai amato nessuno così tanto prima.
Pensavo che lei mi amasse quanto l'amavo io, ma non andò così.
Chiamai Michael, quella notte.
Gli raccontai quello che mi era successo mentre lui era distrutto per la mancanza di Violet.
Eravamo entrambi a pezzi.
Dopo aver chiuso la telefonata, scrissi una lettera e la lasciai sulla mia scrivania.
Poi me ne andai.

Nina, la odiavo ed amavo.
Mi aveva strappato il cuore dal petto e mostrato com'era davvero l'amore.
Dopo quello che era successo, all'inizio provai solo rancore.
Ma con il passare del tempo imparai che se ami una persona, la ami nonostante tutto il male che ti ha fatto, nonostante gli sbagli.
La odiavo.
Ma la odiavo perché il mio cuore la amava, e nella mia mente sapevo che fosse sbagliato.
Noi due insieme eravamo un errore.
Volevo dimenticarmi di lei, ma viaggiare non faceva altro che ricordarmi di lei ed amarla di nuovo, come la prima volta.
Mi mancava.
Mi mancava averla accanto a me, farle le coccole, baciarla e farle l'amore.
Mi mancava il suo sorriso, i suoi occhi blu, i suoi capelli colorati che si muovevano nel vento.
Mi mancava e non potevo farci niente, perché lei mi aveva sicuramente dimenticato.
Non ci saremmo riabbracciati.
Perché io la amavo ancora, ma ormai non importava.
Il filo che ci univa si era spezzato.

»Binario Nove; Calum HoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora