London

102 20 5
                                    


Ero stato a Londra solo una volta insieme ai ragazzi.
Ci chiamarono per partecipare ad una competizione internazionale per band emergenti e decidemmo di cogliere quell'occasione al volo.
Non capita tutti i giorni di volare per Londra alla ricerca di fama.
Sfortunatamente non arrivammo ad una posizione cosí alta, ma eravamo comunque felici di avere partecipato insieme come gruppo.
Ci avevamo messo tutto il cuore nella nostra esibizione, sebbene non fosse un granché.
A volte certi sacrifici non vengono ripagati nel modo giusto.
Quando tornammo, vidi Michael molto abbattuto per aver fallito.
Mi ricordai che gli misi una mano sulla spalla, facendogli un piccolo sorriso.
«Chiuso un capitolo, se ne apre un altro.»
Fu ciò che gli dissi, mentre vidi gli altri ragazzi sorridere con me.
Senza di loro non avrei saputo dove andare.
Ma con gli anni le cose cambiano.

Londra era una città piena di cose.
Ovunque ti girassi qualcosa di essa riusciva a catturare la tua attenzione.
I parchi verdi e rigogliosi, le gente cortese, gli edifici.
Le cabine telefoniche rosse.
Starbucks.
Ogni cinquecento metri trovavi uno di quei locali, ce n'erano davvero molti che facevano capolino in quelle vie.
Nonostante tutto, Londra era una città parecchio fredda e per questo mi piaceva molto.
Mi rispecchiava.
Il giorno in cui vi giunsi pioveva a dirotto, e mi rifugiai dentro lo Starbucks più vicino, bevendo un caffellatte caldo e guardando le gocce di pioggia che scendevano sul vetro.
Quel posto mi ricordò di me e Nina.
Capitò una volta durante le vacanze di Natale in cui la portai allo Starbucks principale di Sydney e prendemmo due frappucini.
Mi raccontò un episodio divertente che riguardava lei e il suo cane e risi così tanto che mi uscì il frullato dal naso.
Ricordai che scoppiammo a ridere come non mai, mentre la gente ci fissava stranita, ma non ci importava.
Eravamo felici.

Londra era come la mia seconda casa.
Se avessi potuto scegliere un posto dove vivere oltre Sydney, avrei scelto Londra.
Lì mi sentivo al sicuro.

Il giorno in cui lasciai Londra, prima di andarmene, feci una cosa che non credetti di poter fare.
Entrai dentro una cabina telefonica.
Mi sentii stretto stretto lì dentro, ma non mi importava.
Misi una moneta e digitai il numero di Nina.
Lo ricordavo ancora a memoria.
Sperai che non avesse cambiato numero in quel lasso di tempo.
Volevo parlarle, volevo perdonarla.
Volevo avere la possibilità di riabbracciarla.
Stavo per perdere le speranze, quando la sentii rispondere dall'altro capo del telefono.
La sua voce era sempre la stessa, non era cambiata.
Era sempre quel tono di voce che mi aveva accompagnato per giorni, che mi rendeva felice, che avrei voluto sentire per il resto della mia vita.
Non riuscii a credere di aver sentito la sua voce.
Sussurrai il suo nome, così piano, in modo quasi non udibile.
Volevo dirle tante cose, ma alla fine non ebbi il coraggio di parlare.
E chiusi la cornetta.
Per un attimo mi chiesi se lei avesse pensato che fossi io, se mi avesse riconosciuto.
Scacciai quell'idea dalla testa facendo spallucce, e mi arresi.
Sicuramente si era dimenticata di me.
Lasciai la cabina telefonica aperta, in balia di sé stessa e camminai fino al Big Ben.
Mi sentii davvero piccolo sotto di esso.
Avrei tanto voluto salire su quella torre, girare le lancette dell'orologio e tornare indietro nel tempo.
Indietro al giorno in cui ci eravamo conosciuti, indietro al nostro primo bacio, alla nostra prima volta.
Ma non potevo.
Mi ero perso lì a Londra, e volevo solo correre indietro da lei.

»Binario Nove; Calum HoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora