Rio de Janeiro

93 13 0
                                    


Durante i primi anni di liceo, ero davvero un bravo calciatore.
Mi allenavo ogni giorno: di solito vincevo tutte le partite contro i miei amici e insegnavo loro qualche trucchetto per giocare al meglio delle proprie capacità.
La scuola calcio era la mia seconda casa: mi tenevo in allenamento con un coach che era come un padre per me, avevamo stretto un rapporto strettissimo e pieno di fiducia.
Tutti gli istruttori mi ripetevano che ero bravissimo e che nel futuro avrei potuto davvero fare successo.
Un giorno il mio allenatore mi prese in disparte e mi propose di andare in Brasile per intraprendere la carriera da calciatore.
All'inizio non ero molto convinto. Sapevo che il Brasile era un Paese pazzesco per il calcio e che da lí uscivano calciatori straordinari e in gamba, ma sapevo anche che quella sarebbe stata una decisione impegnativa.
Non avevo mai viaggiato da solo fino a quel momento e il pensiero di stare chilometri e chilometri lontano da casa senza neanche una persona conosciuta accanto mi terrorizzava.
Era uno dei miei più grandi sogni, ma non sarebbe stato per niente facile.
Dall'altra parte, c'era la band.
Con Michael, Luke e Ashton avevo avuto delle esperienze straordinarie: erano i miei migliori amici e non potevo mollarli cosí, non me la sentivo.

Alla fine, partii per un mese.
Quel posto era straordinario: la cultura, il cibo, la gente...
Tutto di esso ti lasciava a bocca aperta, ma poco a poco iniziai a sentire la nostalgia di casa.
Quei piccoli viaggi che avevo fatto negli anni precedenti con la band mi erano piaciuti tanto, ma quella volta ero da solo e la cosa stava diventando troppo grande per un ragazzo di appena sedici anni.
Capii che quella vita non faceva per me, non ancora, e decisi di tornare a Sydney.
Decisi di tornare dalla band.
Senza di loro non ero niente.
E anche a distanza di anni non mi pentivo di quella scelta: avrei sempre scelto loro, sopra tutti.
Anche se a distanza di anni ci eravamo separati mi mancavano.
Ero ancora legato a loro, in qualche modo.
Avrei dovuto tornare indietro da loro anche quella volta?

Crescendo le cose erano cambiate: ormai non avevo più paura di viaggiare da solo, i mezzi di trasporto erano diventati i miei migliori amici.
Un paio di anni mi era bastato per cambiare completamente caratterialmente.
Il ragazzino timoroso che viveva dentro il mio corpo non c'era più: ero diventato piú forte, mi tenevo sulla pelle nuove cicatrici e segni indelebili che le delusioni mi avevano recato.
Avevo ancora paura e per questo scappavo.
Ma il mio corpo si era già abituato a soffrire.

Rio de Janeiro era come la ricordavo: soleggiata, piena di vita e persone alla mano.
Non era una città molto ricca, ma aveva il suo fascino.
Mi ci ambientai perfettamente come la prima volta.
A vegliare su essa c'era sempre il Cristo Redentore, l'unica statua religiosa che mi affascinava davvero come poche.
Avrei voluto tanto salirci sopra e vedere tutta Rio da lì, sentirmi il re del mondo e vedere il sorgere del sole.
Mentre camminavo per i quartieri poveri della città, vidi un gruppo di bambini correre dietro ad un pallone.
Sorrisi, istintivamente: mi ricordarono tanto la mia infanzia.
Giocavo a calcio 24 ore su 24, la notte sognavo di diventare Pallone D'Oro.
Il calcio era parte del mio cuore, nonostante fossi tornato dalla band.
Ad un certo punto, vidi la loro palla volare via lontano, in un posto indefinito.
Vidi la disperazione nei loro volti: probabilmente avevano perduto la loro unica fonte di divertimento.
Non mi piaceva vederli così tristi, anche se non li conoscevo.
Da piccolo non ero un bambino capriccioso, ma se avessi perso il mio pallone da calcio ci sarei rimasto davvero male.
Scesi al centro della città e comprai un pallone nuovo per i bambini: volevo compiere un gesto carino per loro.
Il loro aspetto trasandato mi rese sicuro del fatto che non avrebbero potuto permettersene uno nuovo.
Quando tornai, mi avvicinai ai bambini e diedi loro il pallone.
Non riuscivano a credere che uno sconosciuto fosse cosí generoso.
Continuavano a ringraziarmi e a ripetere come potessero sdebitarsi.
Semplice: chiesi loro di fare una partita tutti insieme.
Fui felice quando approvarono la mia richiesta.
Il calcio mi era mancato.
Quello a Rio fu di sicuro il viaggio in cui mi divertii di più, in cui ero davvero felice.
Non ridevo da tanto tempo e quel posto era riuscito a donarmi un po' di allegria che avevo perso.
Avrei voluto rimanere lì per sempre, in quella città cosí semplice, ma cosí piena di energia.
Era quello il mio ambiente.
Ma un giorno, uno dei bambini mi chiese di me, della mia famiglia: se avessi una ragazza.
Fu in quel momento che mi crollò il mondo addosso e capii che non potevo rimanere lì.
Rio era straordinaria, ma non era la mia casa.
La mia casa era Nina, la mia casa era Sydney.
Ma non sapevo se avessi potuto ancora tornare indietro da lei, se mi avesse ospitato di nuovo o se mi avesse dimenticato.
Magari lei in quel momento era felice insieme ad un'altra persona che non ero io, mentre io pensavo a lei.
Quel solo pensiero mi fece andare fuori di testa.
L'avevo lasciata andare e poi la rivolevo indietro.
Cosa mi stava succedendo?

»Binario Nove; Calum HoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora