VIII

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Dopo le due ore e quaranta minuti di punizione, Maya uscì in strada e respirò l'odore familiare di smog e sporco, quindi si diresse verso la metropolitana.
Aveva mollato Riley in corridoio. Tutte le attenzioni che la moretta aveva per lei la mettevamo a disagio. Camminò sul marciapiede per un paio centinaio di metri, poi, dall'altra parte della strada vide l'ingresso per andare sotto terra ed attraversò la strada.
Per raggiungere casa sua doveva prendere la Central Line*, la più vecchia metropolitana di quelle che passavano per New York. Era anche quella che faceva tutte le fermate.
Tirò fuori la sua metrocard e le porte si aprirono. Si fece trasportare dalla fiumana di persone, senza passato e con lo sguardo perso. Tutta quella gente aveva un vita, uno scopo, ma in quei momenti tutto si eclissava, rimanevano solo le sue cuffie, il ritmo frenetico della massa e l'odore penetrante della metropolitana. Quando il treno arrivava un forte vento la investiva, ma non era un vento fresco, era aria calda, direttamente dai sotterranei di New York.
Maya montò sulla metro e cercò un posto a sedere. Sulla Central, negli orari di punta, è però impossibile trovare un posto. La ragazza si attaccò ad un palo e aspettò la chiusura delle porte. Dopo pochi secondi il treno partì e sfrecciò nei sotterranei della città. La bionda si stupiva sempre della velocità e del nero al di fuori della carrozza.
Una cosa che Maya aveva imparato sin da piccola era che quella linea, la Central, era spesso soggetta a guasti, essendo la linea più vecchia della città. Si fermava e stava bloccata per ore in quel cunicolo angusto. La maggior parte degli incidenti accadeva prima che la bionda arrivasse a destinazione, siccome abitava nella periferia della città e quasi tutti, o a volte tutti, i passeggeri erano scesi.
Fortunatamente quel giorno, Maya scese con puntualità alla fermata e si diresse verso casa sua, con la voce di Shawn Mendes che le rimbombava nelle orecchie.
Era stranamente stanca, anche se non aveva fatto molto. Era stanca mentalmente; aveva vissuto tantissime emozioni, quel giorno. La bionda sapeva già che quella notte non avrebbe dormito.
Ma la cosa positiva era che di solito quando era stanca non aveva fame e il cibo che aveva rubato sarebbe durato di più.
Prese le chiavi dalla tasca ed entrò nello stabile. Di fronte a lei, attaccato alla parete, in cima a degli scalini, c'era uno specchio sporco che Maya usava per vedere il suo outfit.
Si specchiò in un tutta la sua fiera altezza. I capelli biondi, pieni di doppie punte e brutti, doveva davvero farci qualcosa, a quel cespuglio, scendevano sulle spalle e quindi sul giubbotto di pelle vecchio che le aveva regalato la madre troppi anni prima. Il suo sguardo scese e si guardò i pantaloni, un altro regalo della madre, adesso tutti bucati e logori.
Quanti anni erano che non festeggiava il suo compleanno? Ormai sapeva a stento la sua età. Quattordici, giusto? Si chiese dubbiosa.
Forse avrebbe dovuto mettersi via un po' di soldi per il suo compleanno, solo un paio di dollari, per un pasticcino da dividere con sua madre.
Spinse la porta d'entrata e si tolse le all star nere, il giubbotto e si buttò sul letto, che in tutti quegli anni era sempre rimasto uguale, pronto ad ascoltarla anche senza risponderle e ad accoglierla. Guardando il vecchio mobile si accorse si quanto era cambiata.
Forse una piccola Maya non sarebbe stata così chiusa in sé stessa da non avere amici. E nemmeno così tanto per fare di tutto per allontanarli da lei. Ma era quella la nuova Maya, che non aveva bisogno di nessuno, che viveva senza amare, e faceva tutto da sola. Con unica compagna la musica che non l'avrebbe mai rifiutata, e l'avrebbe accompagnata per sempre. Una delle poche cose che amava ricordava del padre era una frase che aveva detto lui stesso una sera mentre stringeva la moglie e la figlia, ascoltando un vecchio disco degli U2.
"Creare una propria playlist significa creare la colonna sonora alla propria vita"
Erano tempi chiari, dove l'unico pensiero di Maya era se colorare la tigre di arancio o giallo.
La ragazza li rimpiangeva, come un alcolizzato con il vino.
E faceva male, ricordare.

Maya si addormentò così, completamente vestita e distesa scompostamente nella sua camera distrutta mentre un espressione serena si dipingeva sul suo volto.
In quelle ore non sognò, per una volta dormì un sogno tranquillo, senza che i fantasmi del suo passato tormentato le venissero a far visita.
Ma era troppo bello per durare. Poche ore dopo si svegliò con molta fame. La stanchezza era sparita.
Maya si alzò ed andò in cucina, saltellando, perchè il pavimento era un campo minato. Cocci, pezzi di muro, specchi un frantumi, erano tutti per terra.
La bionda prese l'ultimo tozzo di pane e salì sulla scala antincendio.
Lì si mise a sbocconcellare il suo tozzo di pane.
Le piaceva stare seduta, col vento freddo della notte che le accarezzava le braccia; da quella posizione osservava tutta New York. Persino il grande Empire state building sembrava piccolo di fronte alla luna. Maya si sentiva bene, come non le capitava da tempo.

Josh non riusciva a dormire. Continuava a camminare su e giù per la sua stanza. Le visioni terribili del giorno precedente gli impedivano di prendere sonno. Ed era incredibile come quella ragazza, Maya, gli si era fissata in mente.
Non riusciva a togliersela dalla testa. Gli occhi azzurri, pezzi di ghiaccio, che lo trapassavano da parte a parte, lo tormentavano.
Poi si era aggiunta pure la scommessa. Se la ragazza ne fosse venuta a conoscenza sarebbe scoppiato un casino. E ci sarebbe andato di mezzo lui.
Decise di smettere di girare per la stanza ma di buttarsi a letto.
Si tolse la maglia e prese una sigaretta dalla tasca dei pantaloni. L'accese e si distese.
La luce della luna che entrava dalla fiestra di fronte al letto, gli illuminava gli addominali, ma soprattutto il tatuaggio.
Il suo tatuaggio, il simbolo della sua vita passata, che aveva deciso di abbandonare.
Droga e alcool non facevano più parte della sua vita, ma al fumo non riusciva proprio a rinunciare.
Il segno nero sul suo petto, poco sotto la spalla sinistra. Rappresentava tredici stelline disposte in cerchio ed all'interno c'era il numero tre, secondo i numeri latini, ed una data, il 1776.
Josh ci passò la mano sopra e sospirò. Non gli mancava di certo quella vita.
Guardando il fumo della sigaretta cominciò a pensare alla sua città, New york, ed a come stava lentamente declinando. Lo vedeva dalle strade. Dalle persone nelle strade. Si sentiva nell'aria, ed era sulla bocca di tutti. Quasi come la bocca di Maya sulla mia. La mente di Josh ormai si sviava da sola, ad ogni argomento ne sbucava fuori un altro ed era impossibile dipanare la matassa che si era creata nella sua testa. Ma il filo dei pensieri conduceva sempre e soltanto da una persona sola. Maya.
Doveva assolutamente invitarla ad uscire e vincere la scommessa. Così magari si sarebbe liberato di lei, nella sua mente. (te piacerebbe, eh?)
Si alzò nuovamente e rinunciò all'idea di poter dormire, quella notte. Aprì la finestra e lanciò il mozzicone della sigaretta fuori. Lo osservò volare giù, con grazia e poi schiantarsi al suolo.
Si vola per cadere.

*è una linea di Londra, ma penso ci sia anche a New York.

bewitched space
allora. non so se lo sapete, ma URIAH JUSTUS SI È FATTO UN TATUAGGIO. eleonora è morta per questo.
potevo aggiornare anche subito ma ero offesa con wattpad.
due aggiornamenti in due giorni. AMATEMI TUTTI
eleo.

on purpose Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora