Intoppi Lavorativi (E Non Solo)

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Martedì.
Il pensiero di dover tornare di nuovo al lavoro mi fa venire la nausea, ma devo; dopotutto sono il capo.
Nel tragitto per raggiungere l'edificio ripenso a ieri pomeriggio. Per fortuna mi ero tolta la fasciatura prima di tornare a casa e i graffi non li ha notati nessuno.
Guido accendendo la radio, riconoscendo subito le note di Kiss me. Il mio cuore perde un battito quando mi viene in mente l'episodio nella stanza di Luke, quando la stava cantando per me. Mi mordo il labbro, cominciando a cantarci sopra. Con lui ho quasi tutti bei ricordi, tranne quando litigavamo o prima della mia partenza. Sospiro mentre il mio sorriso si spegne e la canzone arriva alla fine, lasciandomi solo l'amaro in bocca.



Entro nel mio ufficio e accendo subito il computer, entrando nelle mail e vedendo che ne ho abbastanza da stare occupata tutto il giorno. Scorro velocemente con lo sguardo per vedere i mittenti e poi alzo la cornetta del telefono, conscia di ciò che sto per fare, ma devo.
Dopo qualche minuto sento bussare alla porta e faccio entrare la persona. Il suo sguardo indugia su di me, prima di entrare completamente nella stanza.
Indico la sedia di fronte alla mia scrivania, dove può accomodarsi e così fa, rimanendo in silenzio.
«Dobbiamo parlare» inizio, puntando lo sguardo in quello di Will, che sembra a disagio e annuisce solamente. «Per ieri...» Deglutisco, interrompendomi e cercando di mettere insieme una frase.
«Mi spiace, non hai idea come mi sono pentito, ti prego, perdonami...» dice lui, prima che possa continuare. Mi passo la lingua sulle labbra, a disagio.
«Io non volevo licenziarti... ero solo arrabbiata, ma...» Prendo un respiro profondo. «Quello che è successo non deve ripetersi più, né con me, né con nessun'altra dell'azienda... o sarò costretta a riferirlo a Victor... non voglio gente del genere sul posto di lavoro...» Il cuore mi martella nel petto. Mi è costato abbastanza dire tutto ciò, soprattutto perché siamo soli e non so come potrebbe reagire.
«Sì, certo... mi dispiace, Amanda... perdonami, non so cosa mi sia preso, ero nervoso e arrabbiato per un'altra faccenda, scusami, non penso nulla di ciò che ti ho detto...» Distolgo lo sguardo e annuisco lentamente.
«Puoi andare...» Si alza dalla sedia e si dirige alla porta, senza dire nulla.
«Comunque ieri dovevamo andare dal medico...» dice, mentre apre la porta. Non fiato, attendendo che se ne vada o continui; anche se preferirei la prima. «Abbiamo deciso di avere un bambino...» Esce e chiude la porta, lasciandomi con quelle parole nella testa.
Un bambino? Sospiro, perché troppi pensieri mi si stanno affollando nella testa, mandandomi in confusione. Mi concentro sul mio computer e mi metto a rispondere alle mail. Il lavoro prima di tutto.



Quando esco tiro un sospiro di sollievo, dirigendomi verso la macchina; finalmente posso tornare a casa dalla mia famiglia e dedicarmi completamente a loro; non vedo l'ora.
Metto in moto la macchina e parto verso casa, accendendo la radio su una stazione qualsiasi, tanto per non dover essere costretta a stare nel silenzio più totale; si sa come andrebbe a finire: pensieri indesiderati.
Spengo la radio solo quando sono nel vialetto, scendo dalla macchina prendendo la mia borsa e nel preciso istante in cui scendo, percepisco una vibrazione venire proprio dall'oggetto che ho tra le mani.
Tiro fuori il telefono e vedo che c'è un nuovo messaggio di Gregg.

-Problema. So che sei già uscita, ma c'è un problema con un cliente, mi servi.-

-Non puoi chiedere a tuo padre?-

-E tu che figura ci faresti?-

Sbuffo. Ha ragione.
Sto per girare i tacchi e rientrare in auto, quando la porta di casa si spalanca.
«Amore! Sei tornata giusto in tempo, stavamo per andare a prendere un gelato, ti va?» La vista di mia madre con un cappellino e gli occhiali da sole sportivi, riesce a regalarmi un sorriso.
«Scusa, mamma, ma c'è stato un problema, devo tornare al lavoro...» Sospiro, vedendo comparire anche mia figlia.
«Mamma!» Mi corre incontro e la prendo in braccio, lasciandole tanti baci sul viso.
«Amore mio, la nonna mi ha detto che stavate andando a fare una passeggiata.» Sorrido e lei annuisce.
«Veni ache tu?» Mi sorride, ma non solo con le labbra, vedo proprio una luce negli occhi, in quegli occhi.
«Amore, devo tornare al lavoro...» Il sorriso si spegne e con esso anche la sua luce.
«Va bene...» Abbassa gli occhi, chiudendo le labbra e annuendo debolmente. Mi si spezza il cuore.
«Cucciola, tornerò presto...»
«Ok» dice fredda, cercando di staccarsi da me.
«Tesoro...» Alzo gli occhi, vedendo che mia madre è accanto a noi. «Perché non ci porti a vedere la tua azienda? Scommetto che Jane sarebbe contenta, vero piccola?» Ma lei non dice e non fa niente, rimanendo immobile tra le mie braccia. Guardo mia madre.
«Non credo che le interessi...» rispondo, anche se con una nota di tristezza.
«Almeno potreste stare insieme, no?» Jane si rianima in un secondo, guardando la nonna.
«Sì, mamma!» Gira il viso verso di me e mi guarda, con un sorriso più grande di quello precedente.
Deglutisco e osservo prima lei e poi mia madre, in attesa di una mia risposta.
Tornare al lavoro con loro, però, significherebbe che tutti i miei colleghi le vedranno e tra i miei colleghi c'è Luke, che lavora solo a qualche ufficio più in là.
Però il sorriso di mia figlia, quella luce così magica nei suoi occhi, mi riempiono il cuore; non posso vederla di nuovo triste, mi si spezzerebbe il cuore.
Sono ad un bivio, un bivio bello grosso.
Metto giù Jane e salgo in macchina, chiudendo la portiera e prendendomi un attimo di rifelssione. Con la coda dell'occhio vedo che mia madre mi guarda stranita e a Jane è già scomparso il sorriso.
«Dai, salite» dico infine, indicando i sedili posteriori.






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