Non Dovrebbe Essere Difficile

1.6K 104 27
                                    

Non dovrebbe essere difficile.
Suonare al suo indirizzo, dirgli che sono io, la ragazza che gli ha spezzato il cuore e risolvere tutto dicendogli che mi dispiace.
Semplice, no? Per niente.
Sono bloccata con quello stupido foglio tra le mani, in macchina, sotto casa sua e con le mani che tremano. Non solo ho paura che mi possa respingere, ma non so neanche cosa dirgli; sono state le parole di Gregg a spingermi per venire qui, è stato il dolore che ci stava dietro che mi ha fatto sentire una pessima persona e ora sono qui a struggermi non sapendo cosa dire.
Se non fossi così tesa, probabilmente mi metterei a ridere per la situazione.
Una donna di trentaquattro anni che teme uno di ventiquattro.
Che assurdità.
Stamattina, quando ho lasciato Jane da Isabelle, le ho confessato cosa avevo intenzione di fare; inutile dire che ha cominciato ad esultare, sostenendo di aver ragione su ciò che provo per lui.
«Belle, voglio solo chiudere tutta questa faccenda e basta...» le ho risposto, sospirando.
«Va bene, chiudila... magari a letto con lui...» Ha fatto l'occhiolino ed è scoppiata a ridere, lasciandomi a bocca aperta, letteralmente.
«Belle, ma cosa dici?! È... giovane!» Ho sentito un calore diffondersi nel mio corpo alla velocità della luce, ma non saprei dire il perché.
«Beh, lo avrete fatto, anni fa, no?» Il suo sorrisetto malizioso era abbastanza irritante.
«Sì, ma è stato uno sbaglio... e poi era diverso...»
«Fare l'amore non è mai uno sbaglio e poi avete comunque gli stessi anni di differenza che avevate prima, non cambia proprio nulla.» Mi ha guardata con sufficienza e odio ammetterlo, ma aveva ragione. Ovviamente non gliel'ho detto e me ne sono andata, scuotendo la testa.
Ora che ci penso, qua, con questo foglietto sgualcito tra le mani e la sua collana al collo, posso dire ogni cosa, ogni menzogna, ma non posso negare che mi piacesse fare l'amore con lui; sentire il mio nome pronunciato da lui in un ansimo di piacere, avere le sue mani che mi accarezzavano il corpo, le sue labbra che mi baciavano il collo, sentire il calore dei nostri corpi fondersi. Era qualcosa di estremamente eccezionale.
Scuoto la testa, cercando di non pensare a dettagli troppo piacevoli, di certo non mi fa bene, soprattutto dato che non faccio nulla da anni.
Ripiego il pezzo di carta e lo metto in borsa, dandomi un'ultima occhiata nello specchietto; apro lo sportello e scendo dalla macchina, nel momento esatto il cui sento una vibrazione dal mio cellulare. Gregg.
«Pronto?»
«Amanda, sei già da lui, vero?» Aggrotto la fronte e mi guardo intorno. Come diavolo fa a saperlo? Gli avevo solo detto che sarei arrivata nel pomeriggio, ma nessun accenno alla mia decisione di andare da Luke.
«Come lo sai?» chiedo, anche abbastanza spaventata.
«Rachel, mi ha scritto dicendomi che c'era una macchina parcheggiata sotto il nostro palazzo da venti minuti... quindi ho presunto fossi tu...» Ok, mi sento decisamente violata.
«Io... sì, sono io e quindi? Ho bisogno dei miei tempi e...» mi interrompe.
«Non me ne frega nulla, ti ho chiamato solo per dirti di farti aprire il portone da Rachel, quindi suona al campanello con scritto Hankins e Morris, così puoi salire al piano di Luke... se avessi suonato tu non ti avrebbe mai aperto, ti ho fatto anche un favore, vedi come sono gentile?» Un sospiro mi esce dalla labbra, sentendo questa sua superbia, anche se devo ammettere che mi è stato davvero utile; non avevo pensato che, sentendo la mia voce, non avrebbe esitato a mandarmi via senza neanche aprirmi.
«Grazie, Gregg...» Accenno un sorriso e ci salutiamo, chiudendo poi la chiamata. Espiro e volgo lo sguardo verso l'edificio che mi sta di fronte, pensando che ci separano solo queste mura. Un brivido mi percorre il corpo e sento di non potercela fare; non so ancora cosa dirgli e temo di bloccarmi appena lo avrò di fronte, con i suoi occhi limpidi, ma pieni di odio verso di me.
Suono al citofono, come mi ha detto Gregg, guardandomi costantemente intorno, come se avessi paura di essere beccata.
«Sì?» Presto la mia attenzione alla voce di Rachel e mi schiarisco la gola.
«Sono... Amanda...» Deglutisco e sento il rumore del cancelletto che si sblocca, producendo un rumore metallico.
«Sai già a che piano si trova?» Anche lei sa di Luke, evidentemente. Certo, come poteva Gregg tener la bocca chiusa e non dirlo alla sua fidanzata? Dannazione, mi sento ancora più stupida di quanto non posso già sembrare.
«Sì... sì, lo so già...» Mi trattengo dal sospirare di nuovo e mi avvio verso l'ingresso, sentendo un "Buona fortuna" provenire dall'apparecchio.
«Mi servirà...» sussurro a me stessa, varcando la porta d'ingresso e salendo le scale. Terzo piano, appartamento C.
Il silenzio mi circonda e ciò non mi fa stare per niente tranquilla; i pensieri continuano a sovrastarsi tra di loro e non so più se sia una buona idea.
Parlare con lui potrebbe essere un'arma a doppio taglio.
Cosa potrei dirgli, in fondo? "Sai, Luke, me ne sono andata da New York perché ero incinta di te e non volevo addossarti questa responsabilità, quindi non pensare neanche per un secondo che non ti amassi, perché ti amavo come amo lei, nostra figlia."
Mi vengono i brividi al solo pensiero di come potrebbe reagire.
Non bene.
Mi fermo di fronte all'appartamento e deglutisco, mentre il cuore esplode in un ritmo impazzito e lo stomaco si attorciglia in modo decisamente eccessivo.
Non dovrebbe essere difficile, eppure lo è, molto.
Prendo un respiro profondo mentre mi avvicino alla porta, l'unico ostacolo che ci separa, ma il mio corpo si blocca proprio con la mano a mezz'aria.
Non ce la faccio, non riesco a bussare, ad entrare nella sua vita in questo modo, a presentarmi qui come se potessi sistemare tutto con delle scuse.
Mi allontano e mi passo le mani sul viso, frustrata.
Non so cosa fare; sono qui di fronte, ma ogni singola fibra del mio corpo mi sta dicendo di andaremene, di scendere le scale e lasciar perdere tutto, che non ne vale la pena, che tanto non potrebbe mai cambiare nulla, che sono una completa idiota. Poi ripenso alle parole di Gregg, al dolore di Luke e deglutisco di nuovo, cercando di autoconvincermi che peggio di così non può andare, ma non vorrei che fossero proprio le ultime parole famose.
Busso con decisione e il suono riecheggia in tutto il piccolo abitacolo. Riesco a percepire solo il mio respiro affannoso quando torna il silenzio e lo stomaco non la smette di fare i salti mortali.
«Chi è?» La sua voce mi colpisce le orecchie e la voce mi si blocca in gola. Sono paralizzata e non riesco neanche a pronunciare il mio nome. Deglutisco e schiudo le labbra, ma la sua voce, che ripete la stessa domanda, mi fa ammutolire di nuovo.
La porta si spalanca e percepisco un brontolio da parte sua che appena mi vede si zittisce. Ha un piccolo accenno di barba, gli occhi fissi su di me e i capelli scompigliati. Deglutisco e rimango immobile a fissarlo, non ce la faccio proprio a muovere un muscolo.
«Che cazzo ci fai qui?! Cosa vuoi?!» Il suo tono aggressivo mi fa sussultare.
«Volevo... volevo vedere come stavi...» rispondo, titubante. Lo sapevo che non sarebbe stata una buona idea.
«Stavo bene finché non ho aperto la porta... vattene...» E chiude la porta, anzi, la sbatte, lasciandomi lì, come una stupida. Tengo lo sguardo fisso di fronte a me per qualche secondo e poi, come un istinto, inizio a bussare.
«Luke, ti prego, voglio solo parlare...» inizio, non sapendo neanche come mi siano uscite quelle parole. Non sento nessun suono dall'altra parte e sospiro, lasciando scivolare la mano sulla superficie.
Ormai non c'è più niente da fare; non vuole parlarmi, non vuole neanche vedermi, non vuole avere più nulla a che fare con me e devo rispettarlo, come lui non ha avuto scampo alla mia decisione, quattro anni fa.
Devo rispettarlo, anche se fa male.
Mi volto, allontanandomi dalla porta per scendere di nuovo e andare al lavoro.
«Ciao, tesoro, problemi con il biondino?» Mi blocco e osservo l'uomo che ha parlato; è uscito dall'appartamento accanto a quello di Luke. Credo abbia più di cinquant'anni e si è lasciato decisamente andare, deduco dalla sua taglia leggermente ingombrante.
«N-no, tutto a posto, grazie...» Mi sistemo la borsa sulla spalla, improvvisamente a disagio e abbasso lo sguardo.
«Sicura? Sai, se non ti ha ancora pagata posso pensarci io...» Rialzo lo sguardo in un secondo, osservando il suo ghigno sul viso paffuto.
«Cosa? Pagarmi? No! Perché dovrebbe?» rispondo, abbastanza confusa e un brivido mi si irradia nel cirpo. Ho una brutta sensazione.
«Per i tuoi servigi... non sei una prostituta?» La sua risata profonda mi scuote le viscere.
«No! Io non...» mi interrompo, vedendo che sorpassa l'uscio per venire verso di me, osservando le mie gambe. Abbasso lo sguardo su di esse, dando un'occhiata alla mia gonna che finisce solo prima del ginocchio. Non avrà pensato che sia una prostituta solo per questo, vero?
«Piccola, posso pagarti quanto vuoi...» Vedo il suo corpo avvicinarsi a me e indietreggio fino ad arrivare contro la parete. Vorrei urlare, ma la voce sembra essersi bloccata in gola.
«Mi scusi, ma non sono una prostituta, quindi... mi lasci in pace, per favore...» Non so che tono abbia assunto la mia voce, ma non deve essere stato per niente convincente.
«Possiamo trattare, che ne dici? Cento dollari ti vanno bene per un pompino?» Sento la bile salirmi in gola e il cuore battere incessantemente. No, non di nuovo.
«Patrick, lasciala stare.» Volgo lo sguardo verso la figura di Luke, in piedi, sulla porta, che ci fissa con un'espressione seria.
«Biondino! La vuoi tutta per te, eh? Dai, lasciamela per un'oretta...» Mi appiattisco ancora di più alla parete, se possibile, e vedo Luke che si muove verso di noi, fermandosi vicino a lui.
«Non è una prostituta, va bene? Lasciala stare, ci siamo capiti?» La sua voce mi risuona nelle ossa: calda, profonda, la salvezza.
«Bah, voi giovani siete tutti strambi... potresti scopare con la tua ragazza, ma ci litighi e basta! Ci credo che poi volete le bamboline come lei... cazzo Lucas, in che agenzia l'hai trovata?» Non so se essere più sconvolta perché continua a pensare che io sia una prostituta o per il fatto che sia un impiccione di prima categoria, oltre che un buzzurro. Tra l'altro: Lucas?!
«Patrick... non te lo dirò ancora... lei non è una prostituta e non farà nulla con te... lasciala stare o sarà peggio per te.» Di nuovo quel tono basso e profondo. Un brivido mi accarezza di nuovo la schiena, finché non mi sento prendere per un polso e vengo trascinata all'interno dell'abitazione di Luke, mentre Patrick ci fissa confuso.
La porta si chiude alle mie spalle e mi ritrovo a sospirare di sollievo.
«Grazie...» dico, cercando di rallentare i miei battiti cardiaci.
«Quando la situazione si sarà calmata potrai andartene... senza fermarti, va bene?» Punto lo sguardo sulla sua schiena e mi mordo il labbro, abbassando lo sguardo. Per un secondo ho pensato che ci tenesse a me, almeno in minima parte, ma la verità è che non voleva solo che succedesse un casino.
«Va... va bene...» Non ho neanche la forza di replicare e di convincerlo ad ascoltarmi, non ho la forza di trattenerlo mentre va in quella che dovrebbe essere la cucina. E resto così, immobile, sulla soglia della sua casa, ad osservare il suo interno. È un piccolo appartamento, sui toni del bordeaux, con un divano in salotto, la televisione e un tavolo da pranzo.
«Hai intenzione di stare lì per tutto il tempo?» Il suo corpo spunta sulla soglia, guardandomi annoiato.
«Credevo che...» Sospira, facendomi zittire.
«Ormai sei qui... vieni.» Mi muovo, raggiungendolo in cucina; molto piccola e accoglinte, con solo un frigorifero, il forno, i fornelli, un ripiano per cucinare e un tavolino per due.
«Luke...» inizio, ma lui mi ferma.
«Non dire nulla, siediti e basta.» Faccio come dice e rimango muta.
Saranno minuti lunghissimi.





~
Bho.
Date voi una definizione a sto capitolo perché io non so cosa sto facendo.
Aiuto.
Siamo alla fine della storia e ancora non è successo NIENTE!
Picchiatemi, me lo merito.

Dopo questo sclero, spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Un bacio :*
~

One Chance [Sequel]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora