Le catacombe

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Lavinia e i suoi fratelli passarono il pomeriggio all'interno del Tempio. La gente andava e veniva, nessuno faceva caso a loro che, inginocchiati in un angolo, avevano l'aspetto raccolto di chi prega. Invece non facevano altro che bisbigliare fra loro, cercando di rassicurarsi a vicenda sulla sensatezza di quanto stavano per fare. Man mano che il sole calava, era sempre più difficile per loro stare buoni e calmi.

"Mi raccomando, se qualcosa va storto tornatevene a casa e fate finta di non essere mai stati qui" ripeté Lavinia per l'ennesima volta.

"Cosa potrebbe andare storto?" piagnucolò Antonino, ansioso. Ma Lavinia non aveva cuore di prospettargli i drammatici scenari che aveva sognato a occhi aperti per tutta la notte. Se Fedro Poccolani li spiava, ad esempio, e avesse deciso di intervenire proprio quella sera per catturarli, lei non avrebbe avuto scampo. Ma non voleva spaventarli ancora di più.

"Dovete solo tenere d'occhio l'ingresso delle catacombe e bloccare chiunque venga su da lì. Lo prendete e ve lo portate a casa. Io vi raggiungerò..." I rintocchi delle campane erano tanto poderosi che il Tempio parve tremare. L'eco rimbalzò assordante da un punto all'altro, e Lavinia seppe che era ora.

"Mi raccomando, cercate di non farvi notare troppo" cercò di dire, nervosa, mentre si alzava in piedi.

"Facile a dirsi vero?" replicò Antonino, stizzito. Lavinia si rese conto ancora di più di quanto dovesse costare loro essere lì: Antonino la guardava come una bestia ferita, e Fabrizio stava fermo immobile a braccia incrociate, per nascondere il fatto che tremava come una foglia. Si piegò di nuovo e abbracciò i due fratelli, scoccando un bacio sulla tempia del più grande e poi del più piccolo.

"Vi voglio..." iniziò, ma poi non ebbe il coraggio di procedere: "Vedrete, andrà tutto bene" borbottò, staccandosi prima che le venisse da piangere. Lavinia Fabiani, orfana diseredata di specchiata onestà, stava per compromettere il proprio nome mischiandosi a un gruppo di congiurati. 

Si alzò e uscì dal Tempio, sul sagrato c'erano molte persone che ancora si attardavano, dopo gli impegni della giornata, per una preghiera o per qualche chiacchiera in compagnia. Gironzolò per qualche minuto, sperando di non essere particolarmente visibile; ma come tutti, indossava un mantello e che bighellonasse non diede niente da pensare a nessuno. 

All'improvviso scorse un movimento dietro una finestra illuminata in una delle case che circondavano la piazza del Tempio. Era Settimo, le faceva cenno di avvicinarsi. Col cuore in gola, si girò come per assicurarsi che nessuno la guardasse, ma in realtà cercava gli occhi di Fabrizio che, nascosto nell'ombra del portale del Tempio, poteva vederla perfettamente. Quindi si avviò senza più voltarsi indietro. Settimo le aprì la porta e lei entrò trafelata.

"Non temere, cara, nessuno può sapere che siamo qui" le disse con dolcezza. Le offrì una maschera di cuoio che le copriva l'intero volto, e ne indossò anch'egli una simile. Poi, ancora avvolti nel mantello, seguirono un'altra figura mascherata che teneva spalancata una botola nel pavimento. Aiutò Settimo a scendere, sentendosi avvolgere dall'odore di vecchio che le pareti emanavano. Intorno a loro solo sacchi e botti di vino, un ambiente asciutto e stranamente ventilato. La loro guida li precedette con una torcia, fino a un panno steso che nascondeva una angusta scala di legno che scendeva ancora, quasi nascosta fra le botti e il muro. Settimo passò a fatica, ridacchiando piano mentre cercava di procedere in quella discesa.

Per lunghi momenti Lavinia dovette combattere contro il senso di soffocamento: il fetore che sentiva era la cosa più rivoltante che avesse mai sentito. Man mano che procedevano, Lavinia si rese conto che forse il problema erano i corpi scheletrici distesi lungo i bordi del corridoio, le ossa infilate a forza nelle nicchie in cui il colore era colato insieme ai liquidi dei corpi in decomposizione con cui erano stati in contatto. 

La torcia illuminava brevemente scorci di ricchezza incredibile, marmi, pitture, stucchi. Tutto nascosto da simboli della nuova Religione, da ossa e misere sepolture in legno ormai deteriorato. Sotto la sporcizia del pavimento su cui camminavano, Lavinia credette di scorgere una lastricatura di marmo. C'erano porte, di tanto in tanto, ma loro proseguirono lungo il corridoio fino a giungere a una sala più grande. 

Lì l'odore nauseabondo di morte e decomposizione non c'era più. Dall'alto soffitto pendevano corde di rampicanti e qui e lì gli ultimi raggi del sole offrivano una ormai flebile lama di luce: ormai era il tramonto. Intorno a lei, c'era un'antica aula. Forse il luogo in cui si recitavano le funzioni per dare l'estremo saluto ai propri cari. 

Di sicuro la ricchezza di quei luoghi era rimasta intatta: il pavimento per quanto rovinato offriva ancora l'antica decorazione geometrica in ritagli di marmo, e a colpo d'occhio Lavinia riconobbe almeno cinque tipi di marmi differenti; le pareti erano percorse da pitture gigantesche, su uno sfondo rosso tanto acceso da ferire gli occhi. 

Quasi dimentica del motivo per cui era lì, si ritrovò a bocca aperta ad osservare il corteo solenne di donne e uomini, riccamente vestiti, che la osservavano con un contegno altero, le labbra strette tanto simili a quelle del suo Colosso, gli occhi grandi sembravano tutti puntati su di lei. 

Erano rappresentati nell'atto di procedere verso il fondo dell'aula, là dove il pavimento era rialzato, e fra le braccia recavano cesti ricolmi di ogni ricchezza. C'erano donne con spighe di grano, uomini con armi, fanciulle con la fronte decorata da gemme preziose, un ragazzo con un idolo nero che assomigliava incredibilmente a quello che si conservava nel Tempio. La somiglianza con il trattamento delle figure che facevano i fratelli Artemisia era tale che le fu subito chiaro dove essi avessero tratto ispirazione.

Sobbalzò quando sentì una mano sulla spalla. Ma era solo Settimo, che le indicava muto l'uomo che era appena arrivato, e la piccola folla che gli stava intorno. Il messo, a differenza degli altri, aveva solo gli occhi e il naso coperti dalla maschera, e salì di un paio di gradini verso il fondo dell'aula, per essere sentito da tutti. Anche Lavinia e Settimo si avvicinarono.

Amor oblita - Di congiure e catacombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora