Un gioiello

174 18 11
                                    

"Signore, sono certo che mia sorella non intendesse..." cercò di dire Fabrizio.

"No, no, Fabrizio, ti prego. Ho un alto concetto del parere di tua sorella, lo sai bene. Ho cieca fiducia in lei e nel suo discernimento. Chi avrei tradito, Lavinia?" le domandò di nuovo, guardandola fisso negli occhi.

"La mia fiducia" tagliò corto lei, ancora troppo arrabbiata per cedere alla paura che avrebbe dovuto provare, nell'affrontare con quei termini sfrontati un uomo importante come lui. "Mi avete trascinata con voi a dichiarare un rinnovato rispetto per il Principe, e io vi ho seguito. Ma non mi avevate detto che volevate regalargli la statua che vi avevamo venduto noi Fabiani. Avreste dovuto dirmelo, come minimo" recriminò, nonostante gli avesse già fatto questo discorso in carrozza. Cesare sollevò le sopracciglia, un movimento quasi impercettibile.

"Lavinia, ritieni che il mio comportamento sia stato inferiore alla mia statura?" le domandò, congiungendosi le mani dietro la schiena.

"Ma certo che no!" si intromise Fabrizio, portandosi di fronte alla sorella. Ma lei lo scansò, insofferente.

"E invece sì!" esclamò, ritrovandosi di fronte a Cesare. Incapace di trattenersi, gli puntò l'indice contro il petto, picchiettandolo minacciosa sempre più forte mentre parlava: "E dirò di più, oltre che meschina, è stata una mossa politica piuttosto inutile, perché non ha convinto il Principe a desistere da questa sua folle idea di essere minacciato da onesti studiosi come Settimo della Vite e noi Fabiani! Peraltro, non avete fatto nulla per..." avrebbe continuato, ma Cesare le afferrò la mano nella sua, ancora guantata di nero raso. Senza staccare gli occhi da quelli di lei, si portò la mano di lei alle labbra, nonostante le sue proteste. Le stampò un lungo bacio sul dorso della mano, lasciandola senza parole.

"Spero esista un modo per fare ammenda, se hai trovato il mio comportamento tanto spiacevole" le disse lasciandola andare. Lavinia ritirò la mano come se si fosse scottata, ammutolita.

"Sarebbe bello che voi intercedeste affinché la statua venga posta in pubblico" riuscì a dire, dopo aver balbettato un poco e alzò il mento cercando di darsi un contegno. Fosse stata sola, si sarebbe schiaffeggiata. Cesare credeva di poter farla franca con un po' di galanteria? Per non contare il fatto che era il baciamano peggiore che le avessero mai fatto.

"Farò tutto ciò che è in mio potere affinché la statua non vada distrutta, se il contrario mette a rischio la nostra amicizia, donna Lavinia" dichiarò Cesare solennemente. Questa volta fu Lavinia a sollevare entrambe le sopracciglia, ma senza guardarlo e deglutendo a vuoto.

"Molto bene" riuscì solo a dire. "Grazie per avere a cuore la nostra amicizia, anche i miei fratelli ve ne sono grati" aggiunse, sentendosi la mano che le aveva baciato andare a fuoco.

"Lasciamo stare i vostri fratelli, sono sicuro che la loro stima nei miei confronti è intatta" replicò lui con dolcezza carezzevole, rivolgendo uno sguardo veloce a Fabrizio che sembrava sul punto di svenire.

Lavinia non trovò niente da dire e così Cesare le sorrise di nuovo, questa volta più rilassato.

"Bene. Cosa abbiamo qui?" domandò, allungando il collo oltre la spalla di Lavinia, per sbirciare. Con una smorfia di disappunto, Lavinia si rassegnò a farsi da parte, e Cesare si mise a curiosare fra le casse.

"Non hanno alcun valore artistico, sono solo ninnoli e frammenti" disse Fabrizio, impaziente. Cesare Pallante immerse la mano in mezzo ai frammenti di un vaso e ne estrasse un sacchettino di velluto rosso di cui Lavinia non si era ancora accorta.

"E qui dentro? Per essere nel velluto, deve avere qualche valore" domandò, offrendolo a Lavinia. Lei non ricordava affatto quel sacchetto, e lo soppesò dubbiosa mentre si dirigeva verso il ripiano di marmo, seguita da Fabrizio e Cesare. Versò il contenuto del velluto con attenzione, prima sul proprio palmo, poi sul ripiano.

"Oh" mormorò stupita, nel vedere l'oro scintillare. Erano preziosi tubuli dorati, alternati a piccoli castoni contenenti luminosi frammenti di ambra: ce n'erano abbastanza per farne una collana.

"Credevo che Antonino lo avesse..." stava per dire 'perduto a qualche scommessa', ma si corresse in tempo: "venduto a qualche amica di sua moglie"

"Per fortuna non è così" disse Cesare soddisfatto. "Questo gioiello sarà un ornamento perfetto per la più bella donna di Amor!"

Lavinia si volse, riluttante. Aveva deciso che non avrebbe più commerciato con Pallante, ma era anche vero che aveva appena rischiato grosso con lui, mettendo su quella scenata. Un altro uomo non avrebbe esitato ad alzare le mani o a insultarla. Cesare le aveva addirittura baciato la mano... Ma chi era la più bella donna di Amor per lui? Quell'interrogativo le bastò a capire che non poteva vendergli quell'oro. Lo ripose con attenzione nel suo sacchetto.

"Mi dispiace, signore, queste perle non posso vendervele." Disse, sentendo accanto a sé Fabrizio sbottare.

"Ma certo che puoi" la corresse il fratello, cercando di prenderle il sacchetto dalle mani.

"Ho detto di no" ribadì Lavinia, tenendosi stretta i preziosi e pestandogli un piede. Fabrizio mollò subito le presa con un'imprecazione fra i denti.

"Via, non è il caso che voi bisticciate per due preziosi. Quanto vuoi, donna Lavinia?"

"Questi preziosi non sono in vendita"

"Lo sono, signore, vi assicuro che lo sono. Lo ha detto prima, li dava per venduti" disse Fabrizio. Cesare era sempre più confuso e innervosito.

"Per caso mi serbate ancora del risentimento per la statua?" chiese a Lavinia, raddrizzando appena le spalle.

"No" mentì Lavinia, consapevole com'era che da quell'impasse non si sarebbe più usciti, se avesse ricominciato a recriminare una cosa per cui lui le aveva già promesso di rimediare.

"Allora non dovreste avere problemi a vendermi questo gioiello."

"Cinquemila" cedette lei alla fine. Fabrizio era sempre più sconvolto. Le strappò il sacchetto di mano e andò a poggiarlo direttamente nel palmo teso di Cesare Pallante:

"Perdonatela, signore. Non avevo idea che potesse essere così impudente. Mille saranno più che sufficienti, e voi siete già stato molto generoso..."

"Sciocchezze, Fabrizio, credo che tua sorella sappia perfettamente cosa stia facendo. Cinquemila, non un soldo di meno. Sei soddisfatta, donna Lavinia?" le domandò, in aperta sfida. Lavinia combatté con tutte le sue forze per sfoggiare un sorriso.

"È un piacere fare affari con voi."

"Purtroppo ora dobbiamo salutarci" disse Cesare, tendendole la mano per un baciamano. Lavinia nascose le mani dietro la schiena.

"Non mi sento a mio agio di fronte a tanta galanteria, Cesare" dichiarò infine, senza guardarlo. Lui scoppiò in una risata risollevandosi appena.

"Non ti senti a tuo agio" ripeté, incredulo e come divertito. "Ti farò avere il tuo compenso dal mio segretario, insieme all'onorario per il lavoro di Fabrizio. Buona giornata."

"Lavinia..." la salutò Fabrizio, facendo strada a Cesare Pallante. Lei li guardò andare via, sentendosi le gambe di burro. Cesare era un vero mascalzone, non c'era che dire. E suo fratello era un testone di prima categoria. Si ricordò solo allora che avrebbe potuto chiedergli il taccuino, intanto che era lì. Pestò il piede per terra, per scaricare la tensione: che giornataccia. Poi tornò al suo lavoro, sperando di non subire ulteriori interruzioni.

Amor oblita - Di congiure e catacombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora